Ciao, Silvio!

Imprenditoria, televisione, Milan, politica.
Può piacere o non piacere, ma Silvio Berlusconi è stato quello che tutti vorremmo essere stati: “Un uomo di successo”.
(P.s. Il selfie è palesemente finto, ma lui si sarebbe fatto una risata)…

Non esattamente una botta di allegria, ma fa riflettere…

Ci avete mai pensato?
Tra 100 anni, per esempio, nel 2123, saremo tutti sepolti con i nostri parenti e amici.
Gli estranei vivranno nelle nostre case, che abbiamo lottato tanto per costruire e possiederanno tutto quello che abbiamo noi oggi.
Tutte le nostre proprietà saranno di sconosciuti, che non sono ancora nati… compresa quell’auto per cui hai speso una fortuna, probabilmente sarà rottamata o nella migliore delle ipotesi sarà nelle mani di un collezionista sconosciuto.
I nostri discendenti, poco o quasi nessuno sapranno chi eravamo, né si ricorderanno di noi. Quanti di noi, conoscono il padre di nostro nonno?
Dopo la nostra morte saremo un ricordo per qualche anno, poi saremo solo un ritratto sulla libreria di qualcuno e qualche anno dopo la nostra storia, le nostre foto, le nostre gesta saranno nel bidone dell’oblio della storia… non saremo nemmeno più ricordi.
Forse, se un giorno ci fermassimo ad analizzare queste domande, capiremmo quanto fosse ignorante e debole il sogno di ottenere tutto…
Se solo potessimo pensarci, sicuramente i nostri approcci, i nostri pensieri cambierebbero, saremmo altre persone…
Avere sempre di più, senza avere tempo per ciò che vale davvero la pena in questa vita …

Io cambierei tutto questo per vivere e godermi quelle passeggiate che non ho mai fatto…. quegli abbracci non dati… quei baci ai figli e ai nostri amori… quegli scherzi che non abbiamo avuto tempo di fare… I viaggi e i momenti da condividere…

Questi sarebbero sicuramente i momenti migliori da ricordare, in fondo ci riempirebbero la vita di gioia….. che sprechiamo, con avidità, prepotenza e intolleranza giorno dopo giorno!
C’è ancora tempo per noi! Pensiamoci!!!
(Anonimo)

DAL VOSTRO INVIATO A MODENA

All’alba del nuovo giorno, con l’eco degli applausi e, soprattutto, delle risate, giungono i miei ringraziamenti per la bellissima serata di ieri, al Teatro Cittadella di Modena.
Con oltre un centinaio di spettatori, abbiamo raccolto una cifra significativa, che potremo devolvere in beneficenza all’Associazione G.P. Vecchi, presieduta da Emanuela Luppi, che si occupa di assistenza e sostegno per i familiari degli ammalati di Alzheimer. Una bella collaborazione che, speriamo, possa continuare.
Grazie, perciò, agli amici che hanno partecipato, con il loro contributo: il “vecchio amico” Marco Toselli e Virna, i “viaggiatori” Elena Angelini e Davide Bortolotti, la nostra attrice di diversi spettacoli Marina Montanari e la sua famiglia (un saluto affettuoso alla mamma!), la grande cantante Cristina Migliari (con 4 amici, dovevo salutarvi a modo!), Olivia Balboni (la sorella di Balbo Andrea Balboni) e Massimo, la mitica giornalista Patrizia Gazzotti, la nostra “fedelissima” Laura Soldani, la sempre presente Patrizia Gardinali, il simpaticissimo scrittore-musicista Roberto Roganti, con signora (vi devo assolutamente presentare Santiago!) e tutti gli altri amici che hanno passato il sabato sera insieme a noi.
Ringrazio, naturalmente, Don Pietro Rota, per l’ospitalità al Teatro Cittadella; la nostra fantastica responsabile della comunicazione Paola Ferrari (è lei che ci ha messi in contatto con l’Associazione G.P. Vecchi: e ci ha pure trovato il ristorante per la cena!); il leggendario Orazio Giannone, scrittore, filmmaker e attore, nostro “punto di riferimento modenese” quando siamo in terra geminiana, visto che oltre a fare stupendamente la parte di Poldo, ci ha anche portato moooolti oggetti di scena e scenografia; Anna, la moglie di Orazio, stavolta nelle vesti di “bigliettaia” super carica e di implacabile ragioniera (è lei che vi ha accolto in biglietteria!); il grande presentatore “all’americana” Alessio Bardelli, che ha reso frizzante l’inizio e la fine dello spettacolo (un saluto anche a mamma e papà: li ho visti in forma!): la “Regina delle Torte” (in realtà è molto di più!), Anna Rita Bonantini, insieme a Fabio: ci ha fatto una grande sorpresa, con un regalo esclusivo realizzato dal papà, il celebre scultore modenese Tomaso Bonantini.
Ringrazio, naturalmente, tutti gli attori della Compagnia “I Teatroci” di Torino, cominciando dalla impareggiabile regista Erica Maria Del Zotto (anche autrice della sceneggiatura di “L’AMOR SENZA BARUFFA FA LA MUFFA”), protagonista nei panni di Filomena detta “Mena”; quindi, insieme a me, gli altri due fondatori della Compagnia: Gualtiero Papurello (stavolta nel panni del saggio Don Giovanni Casanova) e Luca Bertalotti, a cui è toccato il ruolo drammatico della commedia, quello di Vanni, che vede spegnendosi la memoria della sua Wanda. Grazie a Paola Ivaldi, spumeggiante Gina dall’accento e dalla verve molto piemontese, alle prese con un marito campione del mondo di pigrizia, interpretato magistralmente proprio da Orazio Giannone; Caterina Fera, sempre più spigliata nei panni di Palmira, la perpetua assai svampita e segretamente innamorata di Don Giovanni; Mirco Negri, il nostro mago-audio video, che stavolta ha fatto letteralmente i salti mortali (credetemi: si è infilato su una scala altissima, sprezzante del pericolo, ma con il casco in testa…) per assicurare al pubblico la migliore acustica e la migliore illuminazione possibile; Riccardo Cestaro, il nostro “figlioccio” adottivo, direttamente da Bosco Mesola (Ferrara), inventore delle nostre locandine, dotato di molta pazienza, soprattutto quando gli chiedo mille ritocchi in extremis; Marco Sarro, che con la sua voce stentorea ha reso assolutamente credibile ascoltare il Signore – con le sue pillole di saggezza – parlare con Don Giovanni (un po’ come nei film di Don Camillo!); il nostro fotografo modenese ufficiale, Christian Gardinali, che ha fatto 600 scatti, a colori e in bianco e nero, che prossimamente vedrete…su questi schermi!
A chi non è potuto venire ieri sera, ce ne sono tanti, che avevano già precedenti impegni, cito per esempio gli amici Luigi Guicciardi Daniela Ascari Daniela Ascari Marco Melara, promettiamo presto un nuovo tour modenese e, nel frattempo, possono sempre mettere una mano sul ❤️ cuore e fare un’offerta all’Associazione G.P. Vecchi!
Grazie ancora a tutti! A prestissimo!

Carolina Morace, la prima vera opinionista di calcio

Si è fatto un gran parlare, in questi giorni, di Katia Serra, l’ex calciatrice ora commentatrice tecnica in tv, anche per la finale degli Europei Inghilterra-Italia. In un tripudio di “prima volta di una donna che commenta il calcio in televisione”, è doveroso ricordare che – nella realtà dei fatti – la prima vera opinionista di calcio di sesso femminile è stata la mitica Carolina Morace, oggi 57 anni. Una stella assoluta, a livello mondiale, del calcio femminile e una donna con una storia speciale, tutta sua. Oltre ad essere stata per vent’anni attaccante della nazionale azzurro (e anche capitana), segnando raffiche di gol con tutte le squadre con cui ha giocato, è diventata anche la prima (e finora unica) allenatrice a guidare una squadra maschile professionistica di calcio (la Viterbese, nel 1999), anche se – con il vulcanico presidente Gaucci – durò appena 100 giorni e tre partite di campionato, quando si è dimessa dopo l’intenzione del patron di licenziare la sua vice Betty Bavagnoli e il suo preparatore atletico. In tempo, tuttavia, per essere inserite nella classifica di “Time” delle donne che, a quel tempo, stavano cambiando l’Europa, unica italiana insieme a Emma Bonino.
Poi, tante esperienze in Italia (anche la nazionale femminile) e in giro per il mondo (Canada, Trinidad), panchine prestigiose, come Milan e Lazio. E, ancora più importante, il suo “coming out”, pubblicato nella biografia “Fuori dagli schemi”, in riferimento alla sua omosessualità.
Carolina Morace è sposata dal 2012 con Nicola Jane Williams, ex giocatrice e allenatrice nata in Inghilterra e cresciuta in Australia. Vivono insieme, allenano insieme, stanno bene insieme, hanno mille progetti insieme…
Carolina Morace, la prima in tutto.
Insomma: (ri)date a Carolina quel che è di Carolina.

Auto sempre più “esclusivamente elettriche”: lo dicono anche Ford e Jaguar

Sarà il 2030, secondo Ford, l’anno in cui tutte le auto prodotte e vendute in Europa saranno elettriche.

È l’ultima affermazione del gigante automobilistico per definire i piani e allontanarsi dai motori a combustione interna inquinanti, prima di incombere nel divieto sui veicoli a combustibili fossili.

Dopo le perdite di questi ultimi mesi, è di un miliardo di dollari l’investimento previsto per convertire un impianto di assemblaggio di veicoli a Colonia, in Germania, e farlo diventare il suo primo impianto di veicoli elettrici in Europa. La produzione su larga scala comincerà nel 2023. Una ventina di miliardi di euro serviranno per finanziare il cambiamento su scala mondiale.

Da Ford affermano che due-terzi dei suoi veicoli commerciali saranno completamente elettrici (o ibridi) entro il 2030.

La casa automobilistica, tornata a guadagnare in Europa solo lo scorso anno, ha stretto un’alleanza con Volkswagen per utilizzare la sua piattaforma e costruire alcuni modelli.

Anche Jaguar-Land Rover, gioiello britannico oggi proprietà dell’indiana Tata Motors, ha dichiarato che le sue auto di lusso a marchio Jaguar saranno esclusivamente elettriche entro il 2025. Non ci saranno più veicoli a benzina, quindi, a partire dalla metà di questo decennio.

Ha dichiarato Thierry Bolloré, Amministratore Delegato di Jaguar-Land Rover: “Nei prossimi cinque anni, Land Rover produrrà sei varianti completamente elettriche, la prima delle quali arriverà nel 2024. Durante quella stessa linea temporale, Jaguar avrà completato una totale rinascita per emergere come un marchio di lusso esclusivamente elettrico”.

Anche General Motors – che ha dovuto chiudere temporaneamente diversi stabilimenti in Usa, Messico e Canada per mancanza di chip – punta ad avere una gamma a emissioni Zero entro il 2035.

Il Regno Unito, intanto, ha annunciato il divieto di vendita di auto e furgoni nuovi alimentati interamente a benzina e diesel a partire dal 2030.

Anche questa è una Jaguar! Magari non proprio elettrica….

Ciao, mitico “Goreno”!

Quanta panchina mi ha fatto fare, il mister “Goreno”! Ma si vede che me la meritavo…
Però allora ci rimanevo male: e una volta, quando mi disse “Scaldati!” ad un minuto dalla fine, ritenni giusto rifiutare, per somma dignità. Una volta, viceversa, che ero stranamente titolare con la maglia numero 7, nonostante una buona partita, mi tolse dal campo nel secondo tempo, sostituendomi…e io gettai la maglia dalla rabbia…un po’ come le vere star viziate del pallone! Poi ci fu un anno in cui giocavo spesso titolare, ma anche lì – puntualmente – mi toglieva a tutte le partite dopo dieci-quindici minuti dall’inizio del secondo tempo…e mi giravano le scatole!
In realtà, a discolpa del leggendario mister Renato Caselli, va il fatto che io fossi un’ala destra sì veloce e generosa, ma senza alcuna confidenza con il gol, senza un gran talento e senza nemmeno una grande…visione di gioco (a causa delle mia apocalittica miopia!).

Ecco perchè “Goreno” (non ho mai saputo il perchè di questo soprannome!) aveva sempre ragione: ma lo riconosco ora, 30 anni dopo la fine di una disonorevole carriera, molti chili e molti capelli dopo. E adesso che ci ha lasciati – in attesa che, giustamente, gli intitolino il campo sportivo di Sant’Agostino (Ferrara) – mi tornano in mente tanti aneddoti, legata alla maglia verdi dei “Ramarri” (il nomignolo del C.S., Circolo Sportivo, proprio per via del colore verde), ma anche a trasferte improbabili, su una Renault 4 o un Fiorino stracolmi di giocatori, a gelati e pizze pagate a tutta la squadra dopo una vittoria, a tanti momenti di allegria e spensieratezza, per noi che giocavano nel vivaio del C.S. e che al pallone dovevamo, ovviamente, abbinare lo studio, rubando due ore di qua e due di là, per gli allenamenti. E poi, le partite del sabato o della domenica mattina…
E questi ricordi, e pure qualche foto un po’ sfumata dal tempo, ci rimangono dentro e ci rimarranno per sempre. A tutti i giocatori che “Goreno” ha visto passare sotto le sue “grinfie” in 50 anni (mi sa di più!): qualcuno poteva diventare un campione e non ce l’ha fatta, qualcuno si è divertito a giocare una vita tra i dilettanti, altri – come me – erano proprio dei brocchi. Non siamo diventati campioni, ma uomini sì, anche grazie agli insegnamenti del mister. E pure grazie alle mille panchine che ho fatto. Ma quante ne ho fatte!
Ciao, mitico “Goreno”.

i 40 anni “sempreverdi” di Valentino Rossi

Sembra impossibile che Valentino Rossi, con quella sua aria sbarazzina da eterno Peter Pan, compia oggi 40 anni.
Però la carta d’identità parla chiaro: 16 febbraio 1979.

Auguri, ragazzo di Tavullia!

40 anni, 40 candeline. Ma per noi rimane sempre il ragazzo di Tavullia, che cominciò a vincere appena sbarcato nel Motomondiale, già dalla classe 125, poi – titolo dopo titolo – nella 250, nella 500 e, infine, nella MotoGp

Un palmares da “marziano”

Anche il suo curriculum straordinario parla chiaro: 9 titoli di campione del mondo (6 nella MotoGp e uno ciascuno in 500, 250, 125) e 115 vittorie, secondo solo all’altro fenomeno del motociclismo italiano e mondiale, Giacomo Agostini.

Ma i numeri, da solo, non bastano a spiegare il Fenomeno “Dottore”.

Tomba, Valentino, Pantani: che trio da leggenda

Un personaggio spontaneo, spesso bonariamente sopra le righe, un “Valentino nazionale” patrimonio di tutti gli italiani, senza nemmeno bisogno di usare un cognome cos“`i normale per un campione assolutamente fuori dal comune.

Negli ultimi 30 anni, in Italia, solo Alberto Tomba e Marco Pantani hanno raggiunto una popolarità e un tifo “da leggenda” come Valentino Rossi.

Italiano in tutto e per tutto

Italiano in tutto e per tutto, in qualche piccola caduta di stile (ricordate il caso dell’evasione fiscale e del “patteggiamento” con il fisco? Oppure, sportivamente parlando, le stagioni deludenti alla Ducati?), ma a cui gli italiani – e non solo gli appassionati di motori – hanno sempre perdonato, continuando a tifare per lui, ogni domenica, su ogni circuito, con l’apoteosi del tifo “nazional-popolare” in quel novembre del 2015, a Valencia, quando il sogno del decimo titolo mondiale di Valentino fu spezzato dal diabolico duo spagnolo Lorenzo-Marquez.

Ma il sogno del numero 46 di conquistare il titolo numero 10 continua: ci riproverà anche quest’anno, Valentino, in sella alla sua Yamaha, che nel 2019 gli piace ancor di pi`ù perchè è color nero e azzurro, proprio come la sua amata Inter.

Perchè il 46?

Fin dagli esordi, Valentino ha sempre usato il numero 46, anche nelle annate in cui ha avuto la possibilità di sfoggiare il numero 1 di campione in carica: il 46 era il numero utilizzato nel Motomondiale sia dal padre,Graziano Rossi, sia da un pilota giapponese di cui era molto appassionato, Norifumi Abe. Da quest’ultimo Rossi prese spunto per il suo primo soprannome, “Rossifumi”.

A caccia del titolo numero 10

Ci proverà ancora, Valentino, a vincere il decimo titolo mondiale.
Prima magari di pensare al futuro, forse come manager di una sua scuderia (ha già una avviatissima Accademia) o magari di un team di rally, un’altra sua grande passione.

Ci proverà ancora. Sempre con il suo sorriso da quarantenne stampato sul viso giovanile e quel suo accento più romagnolo che marchigiano, a dispetto della sua residenza tavulliese.

E, tra i tanti tweet che ha ricevuto in questo suo giorno speciale, Valentino Rossi apprezzerà quello ricevuto dall’Inter, che lo raffigura, forse poco meno di vent’anni fa, in compagnia del suo idolo Ronaldo.

Lui che è diventato l’idolo di milioni di giovani e meno giovani.
Quelli che avrebbero voluto essere semplicemente come lui.
Come Valentino.

 

Giornalista, il mestiere più pericoloso (in certe parti del mondo)

La giornalista bulgara Viktoria Marinova è la settima giornalista uccisa in Europa dall’inizio del 2017 (a cui andrebbe aggiunto il giornalista saudita Khashoggi, di cui non si hanno più tracce da quando è entrato nel consolato del suo paese in Turchia).
Viktoria Marinova stava lavorando ad un’inchiesta su corruzione e abusi legati ai fondi dell’Unione europea. L’assassino, che ha confessato, è però un giovane bulgaro di 21 anni, di etnia rom, che l’avrebbe violentata al parco di Ruse, soffocata e uccisa, prima di fuggire in Germania, dove vive da anni la madre. La Bulgaria è rimasta sconvolta dalla morte di Viktoria Marinova.

questo link è possibile trovare la lista dei professionisti della notizia uccisi nel 2017: spiccano i 12 morti in Messico, 11 in Afghanistan, 10 in Siria e 6 in India.

Slovacchia: Ján Kuciak

Ján Kuciak, 27 anni, stava indagando su presunte frodi fiscali che coinvolgevano uomini d’affari legati al partito al governo della Slovacchia. Come segnala Valigia Blu, il giornalista si era anche occupato di persone vicine alla ‘Ndrangheta in Slovacchia e delle loro passate relazioni con il principale consigliere statale del primo ministro Robert Fico, Mária Trošková. Su quest’ultimo tema, Tom Nicholson, che lavorò anche con Kuciak, scrive su POLITICO che il giovane giornalista slovacco “fece progressi importanti (…). Ján aveva stretto un’alleanza con giornalisti investigativi italiani in grado di confermare le identità e le associazioni criminali degli italiani che erano attivi in ​​Slovacchia”.

Transparency sottolinea come esista una relazione tra libertà di stampa, corruzione percepita e violenza contro i professionisti dell’informazione. Dal 2012 a fine 2017, 368 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro: il 96% di questi omicidi è avvenuto in Paesi dalla corruzione elevata nel settore pubblico, ovvero con punteggio CPI (Corruption Perception Index) inferiore a 45. L’Italia ha 50.

Inoltre, un giornalista su cinque tra quelli uccisi nel mondo stava indagando su casi di corruzione. Il Messico dal 2014 è sceso di sei punti nell’indice, passando da un punteggio di 35 a 29.

Malta: Daphne Caruana Galizia

Il 16 ottobre è stata ammazzata Daphne Caruana Galizia, collega maltese fatta saltare in aria con una autobomba piazzata nella macchina presa a noleggio. A dicembre tre persone sono state formalmente accusate di omicidio ma la Federazione Europea dei Giornalisti ha lanciato un appello alle autorità maltesiper approfondire le indagini sui mandati reali dell’omicidio.

Danimarca: Kim Wall

La giornalista freelance svedese è stata uccisa e fatta a pezzi in Danimarca ad agosto dopo essere salita a bordo del sottomarino civile di Peter Madsen. Stava scrivendo un articolo su di lui e sul crowdfunding che ha permesso la realizzazione del mezzo. Madsen, che inizialmente aveva negato ogni coinvoglimento e aveva parlato di un incidente, è stato condannato all’ergastolo.

Russia: Nikolai Adrushchenko

Adrushchenko, 73 anni, è morto ad aprile in un ospedale di San Pietroburgo dopo essere stato picchiato selvaggiamente da degli assalitori sconosciuti sei settimane prima. Si occupava di crimine e violazioni dei diritti umani e aveva co-fondato il Novy Petersburg nel 1990. Nel 2007 era stato messo in carcere per diffamazione e ostruzione alla giustizia.

Russia: Dmitry Popkov

Co-fondatore e caporedattore del quotidiano locale russo Ton-M, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella città di Minusinsk il 24 maggio 2017. Il suo corpo è stato trovato nel suo cortile. C’è un’indagine in corso che punta a diverse piste, inclusa “l’attività professionale” della vittima”. Popkov era stato eletto nel parlamento regionale per il Partito Comunista e, durante la sua carriera, ha scritto di corruzione tra le forze dell’ordine.

Turchia: Saaed Karimian

Nell’aprile di quest’anno, il dirigente televisivo iraniano Saaed Karimian è stato ucciso a Istanbul, in Turchia. Degli uomini armati hanno fatto fuoco sul suo veicolo uccidendo anche il suo partner, originario del Kuwait. La macchina usata per l’esecuzione è stata poi trovata carbonizzata. La polizia turca sta ancora indagando sul caso.

Karimian, 45 anni, è stato fondatore e presidente della tv in lingua persiana GEM che doppia i programmi stranieri e occidentali nella lingua parlata in Iran. Per questo motivo, è stata criticata in passato dalle autorità iraniane con l’accusa di aver diffuso la cultura occidentale e mostrato programmi contrari ai valori islamici. Processato in contumacia da un tribunale di Teheran nel 2016, era stato condannato a sei anni di carcere per aver veicolato propaganda contro lo stato.

Arabia Saudita e Turchia: Jamal Khashoggi

C’era anche un esperto di autopsie nel team di agenti sauditi che avrebbe fatto sparire Jamal Khashoggi. Lo scrive il New York Times citando gli investigatori turchi. Un commando di 15 persone, secondo le ultime ricostruzioni, lo avrebbe fatto a pezzi con una segaossa all’interno del consolato saudita a Istanbul. Altre fonti da Ankara sostengono che il corpo del giornalista saudita sarebbe stato caricato su un van nero.

“Questa è un’area piena di telecamere, è un consolato, basta andare laggiù per vedere che ci sono telecamere in cima all’edificio e lungo le strade. Sappiamo che i turchi stanno cercando di avere accesso ai filmati – spiega la giornalista della Reuters, Emily Wither – Gli inquirenti non forniscono troppe informazioni, quindi può darsi che siano più avanti nelle indagini rispetto a quanto riferito pubblicamente, ma al momento dicono solo che vogliono perlustrare il consolato”.

Il giorno della scomparsa del giornalista, due aerei privati sono arrivati dall’Arabia Saudita. Per le persone a bordo sarebbero state prenotate camere in un hotel vicino al consolato, ma nessuno ha trascorso la notte in albergo.

“Fonti industriali ci hanno detto che questi aerei sono di proprietà del governo saudita e sappiamo che questi 15 persone sono entrate nel consolato nello stesso momento in cui Jamal arrivava a ritirare i suoi documenti – conclude Emily Wither – sono partite dopo un paio d’ore e sono andate direttamente all’aeroporto. I funzionari turchi stanno ora cercando di scoprire da chi fosse composto esattamente questo gruppo e se ha qualche coinvolgimento nella scomparsa di Jamal”.

Sono almeno sette i sospettati dalle autorità di Ankara e ora si viene a sapere che, il 2 ottobre, il personale turco del consolato era stato invitato a non presentarsi in ufficio, perchè ci sarebbe stato “un incontro diplomatico”.