TUTTI ALLO SKYWAY MONTE BIANCO!

SPECIALE SAINT-VINCENT – SKYWAY, L’OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO
di Cristiano TassinariLa grande bellezza di Saint Vincent permette alla città del casinò di non essere affatto gelosa delle altre splendide località della Valle d’Aosta, anzi: dalla vicinanza con le piste di sci più belle e con le montagne piu spettacolari, St.Vincent trae ispirazione per nuove opportunità turistiche. Lo fa sicuramente il St.Vincent Resort & Casinò: agli ospiti del Grand Hotel Billia viene offerta la grande occasione su un piatto d’argento: una visita mozzafiato e irrinunciabile allo Skyway Montebianco, giustamente definita l’ottava meraviglia del mondo. Che ci porterà – perchè ci stiamo andando anche noi! – sempre più in alto, fino ai 3462 metri (o 3466 metri, a seconda dei cartelli) di Punta Helbronner, dedicata all’ingegnere e alpinista francese Paul Helbronner, proprio nel cuore delle Alpi, le Alpi Graie, incastonata all’ombra del Monte Bianco. Anche se poi, di ombra, in realtà, ne abbiamo trovata poca: abbiamo avuto la fortuna di incontrare una bellissima giornata di sole, che ha baciato in fronte la nostra spedizione turistica. 
Tragitto St.Vincent-Courmayeur in mezzoretta di autostrada e, nemmeno il tempo di rendercene conto, ci troviamo già alla base di partenza dello Skyway Montebianco. 
Operativa da fine maggio 2015, la nuova funivia sul Monte Bianco è un capolavoro architettonico e ingegneristico pari soltanto al capolavoro della natura che ci sta attorno: dalla stazione di partenza di Pontal d’Entreves (quota 1300 metri) – con questa cabina panoramica – si sale subito alla stazione intermedia, Pavillon du Mont Frety, e poi all’ultima, quella più in alto, di Punta Helbronner. Da qui siamo praticamente i nuovi vicini di casa del Dente del Gigante (vista la forma, si capisce bene il perche del nome) e i coinquilini – noi e molti altri turisti – del Cervino, del Monte Rosa e del Gran Paradiso, tanto per citare le cime piu famose, tutte ben visibili e identificabili con il loro inconfondibile DNA bianco. 
Il nostro stupore, in mezzo a cotanta natura, è genuino: non fa nemmeno freddo, il sole batte forte, siamo oltre gli zero gradi, pensate: a 3466 metri! E allora, da questa fantastica terrazza d’Europa, ispirata alla forma di un cristallo, potremmo mai perdere l’occasione per una bella intervista.


Lo Skyway Montebianco è una meraviglia anche in fatto di numeri: un dislivello di oltre 2000 metri, 4 anni di lavori, 100 e passa milioni di euro di costo,.centinaia di operai imbragati come alpinisti, al lavoro anche con 20 gradi sottozero! Tutto questo già spiega a sufficienza la maestosità dell’opera. Tutta made in Italy, dalla progettazione alla realizzazione. I vicini francese, dalla parte di Chamonix, rosicano. La grandeur è italiana. 
Le linee architettoniche, tanto vetro e tanto acciaio e forme disegnate seguendo il vento che soffia, la neve che cade e le valanghe in agguato, rendono questa strepitosa infrastruttura un’opera d’arte quanto mai sicura e affidabile. E ci può far cullare durante la rotazione – dolcemente impercettibile – a 360° delle cabine panoramiche, in modo da poter abbracciare il paesaggio nella sua orgogliosa interezza. Della rotazione – nei 4 minuti e mezzo del primo tratto e nei sei minuti del secondo tratto – te ne accorgi soltanto perchè nella cabina cambia il vicino di posto, anche lui, anche noi, protagonisti consapevoli e fluttuanti in questo spazio temporale così naturale, attraverso lo schermo di questa cabina vetrata che sembra un portapillole e invece porta…i turisti, 80 alla volta, 800 all’ora, di punta. 
E poi è già tempo di scendere, all’avveniristico Pavillion – che sembra una stazione spaziale -, ultima fermata prima dei piedi per terra, è già tempo di uno sprizz, di uno stuzzichino, di un po’ di relax, di una passeggiata nella neve, di tirarsi le palle di neve, persino di fare un’intervista seduti nel bianco che più bianco non si può.

sky lo facciamo a cuor leggero, non siamo affatto tristi, tanto siamo convinti di poterci tornare presto. E se lo chiedete agli amici del Saint Vincent Resort & Casinò, vi riportano su di nuovo anche domani. Promesso!
E, insieme agli auguri di Buone Feste, dalla vetta dello Skyway Montebianco non potevamo che gettare lo sguardo e allargare gli orizzonti verso i prossimi, futuri eventi del Saint Vincent Resort & Casino’

CULLE SEMPRE PIU’ VUOTE: CI SARA’ UN PERCHE’….

Nel 2015, in Italia, la riduzione della natalità ha toccato il minimo storico dall’Unità d’Italia, ma nel 2016 i numeri sono risultati ancora peggiori. E’ questo il quadro emerso dai dati pubblicati dall’Istat, che per la prima parte del 2016 disegnano un futuro davvero fosco dal punto di vista demografico. Vale a dire un calo mai registrato in epoca recente, addirittura del 6%. In numeri assoluti significa 221.500 nuovi nati contro i 236.100 di un anno fa.
Le ragioni che stanno ostacolando, dopo il 2010, una significativa ripresa della natalità nel Paese sono diverse, ma gli esperti ricordano che il recente calo delle nascite è in parte riconducibile anche alla trasformazione strutturale della popolazione femminile in età feconda dai 15- 49 anni, dal momento che le donne in questa fascia di età sono oggi meno numerose e mediamente più anziane. E se il trend delle coppie italiane è ormai quello di fare sempre meno figli, gli immigrati invece avevano in qualche modo impedito il tracollo, ma gli ultimi dati stanno dimostrando una frenata in questo senso, si sta infatti riducendo anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità.

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L’apoteosi (finita male) dell’uomo non qualunque….

Mentre in America stanno per decidere quale sia il male minore (Trump o Hillary?) per il loro futuro e noi ci dibattiamo tentando di capire qualcosa sul referendum costituzionale del 4 dicembre (SI o NO?), dalle pieghe della cronaca (rosa o nera?) ritorna in copertina nientepopodimenoche Fabrizio Corona. L’ex galeotto più famoso d’Italia, ad un passo dalla redenzione, è finito ancora una volta nei guai, ancora una volta in galera. Ancora una volta per una questione di soldi: non estorsione, ma “semplici” guadagni (in bianco o in nero? che domanda!) frutti di ospitate in discoteca e locali vari, da quando ha ottenuto il permesso per farle. Un bel gruzzolo: un milione e 700 mila euro, pare. Nascosti nel controsoffitto della sua casa. E adesso gli inquirenti – la squadra Mobile della Questura di Milano – stanno cercando un altro “tesoretto” da circa un milione di euro, che sarebbe nascosto in qualche banca di uno sperduto villaggio dell’Austria. Per evitare fisco e Guardia di Finanza, s’intende.
E cosi, per colpa di questa ennesima marachella, il Tribunale di Milano gli ha revocato l’affidamento in prova ai servizi sociali. Un altro brutto colpo per Fabrizio Corona, che dopo due anni e mezzo di galera, un soggiorno nella comunità del mitico Don Mazzi e una autobiografia dal titolo “Mea Culpa”, sperava proprio di poter tornare alla vita di prima (certo meno mondana, per spegnere il “diavolo” che c’è in me: parole sue) e lanciarsi nel mondo dell’editoria. Tutto bloccato. Come nel Monopoli: vai in prigione senza passare dal via!
Lungi da noi l’idea di vittimizzare Corona – personaggio invero ben poco simpatico, soprattutto nella sua versione patinata dell’apoteosi dell’uomo (non) qualunque -, ma è vero che si nota un certo accanimento giudiziario e mediatico nei suoi confronti. Certo, non uno stinco di santo. Ma nemmeno il peggior criminale d’Italia, come altri – con ben altri reati sul groppone – che si godono ancora la libertà, impuniti. Deve aver dato fastidio a qualcuno, a qualche pezzo grosso, Corona: con la sua faccia tosta e le sue foto indiscrete.
Del resto, Al Capone finì in galera per evasione fiscale, non perchè era il capo della mafia americana. Corona ci finisce per un po’ di “nero”, quello che “fan tutti”, per abitudine e, di questi tempi, per necessità. Ben venga la severità e la certezza della pena sempre invocata. Ma con tutti. Non soltanto con il primo bullo televisivo che capita. Altrimenti è troppo facile. Altrimenti è sbagliato. mea culpa

Questione di saggezza…

Queste foto la trovo meravigliosa: una fila ininterrotta di uomini non più giovanissimi, con la loro bella zucca pelata in mostra! Ormai da un po’ di anni, quasi dieci, di questa categoria ne faccio orgogliosamente parte anch’io. Fu un’amica a consigliarmi di “darci un taglio”, a zero o quasi, per ovviare ad una incipiente calvizie e per evitare il tremebondo effetto “riporto”. Io, ormai, non ci faccio più caso. Certo rimpiango un po’ i bei capelli andati e con un po’ di invidia invito i possessori di un bel bulbo ancora ben nutrito a farne buon uso (poi dico loro: “Alla tua età avevo anch’io un mucchio di capelli”, con conseguente segno di scacciajella…), ma per fortuna il commissario Montalbano e – prima di lui – Bruce Willis aveva sdoganato il fascino del calvo. Poi, intendiamoci, avere i capelli è molto meglio, ma si fa di necessità virtù, senza dover ricorrere necessariamente al toupet, al Cesare Ragazzi (una volta ci andai: mi chiese 20 milioni in comode rate) o al “gatto” di Antonio Conte… I non capelli me li tengo così, curati con rasoio e lametta, con una certa frequenza periodica e la necessità televisiva di darmi un po’ di cerone per evitare il riflesso maledetto dei riflettori. E per il resto, lascio parlare chi vuol parlare: calvi sinonimo di maggiore virilità? Chissà! Calvi questione di saggezza intellettuale? Chissà! Fate un po’ uno e un po’ altro, miscelate e otterrete un pelatone bello affascinante. Detto questo, mio padre a 76 anni ha tutti i capelli in testa, appena brizzolati, e mi guarda con un certo compatimento. Che devo dire? Dal suo punto di vista di “capellone”, forse ha persino ragione…..beato lui!

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Maestro e allievo?

Questa è proprio una bella foto: ce l’ha scattata il mitico collega Andrea Rughetti sugli spalti dello stadio Alberto Braglia di Modena, durante il derby con la Reggiana, vinto dai granata per 2-1. In questa istantanea, che ferma proprio un istante del nostro commento televisivo in onda su Tv Qui, siamo raffigurati il sottoscritto e il bravo collega Andrea Lolli. Qualcuno ci ha scherzato sopra: il maestro e l’allievo? E soprattutto: chi è il maestro e chi l’allievo? A parte la considerevole differenza d’età, almeno una era geologica di giornalismo, nessuno è maestro e nessuno allievo. Solo due colleghi che si stimano, che amano quello che fanno e che lavorano bene insieme. Poi, è vero che io ho una certa predilezione nel lanciare giovani talenti, chiamatevi talent-scout, se volete, ma Andrea Lolli non l’ho scoperto io, si era già scoperto da solo….
Detto questo, speriamo almeno che questo, nella foto, sia il nostro profilo migliore. Altrimenti pensate un po’ a come dev’essere l’altro…..

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SE LA SATIRA NON ABITA PIU’ QUI, ABOLIAMOLA.

Sono passati alcuni giorni, ma la vergogna delle vignette di Charlie Hebdo sul terremoto in Centro Italia è ancora forte. Sono stati milioni gli italiani che, sui social network, si sono sentiti “feriti” da quei disegni di cattivissimo gusto, fatti da un giornale che – dopo quelli che gli è accaduto nel gennaio del 2015 – avrebbe dovuto già capire da un pezzo che non è più il caso di scherzare con i morti. I propri e quelli degli altri.
Un’ondata di indignazione ha attraversato tutto il paese, facendoci dimenticare che noi eravamo gli stessi che mettevamo la foto con la scritta “Je Suis Charlie” sui nostri profili ‘social’. Ma se allora farlo aveva ragione e senso, stavolta quasi tutti abbiamo gettato alle ortiche il presunto sacrosanto diritto alla satira. Anch’io mi sono indignato di fronte allo stupido gioco di parole della prima vignetta, dedicato alla pasta italiana, culminato con le “lasagne” rappresentata dai palazzi crollati “farciti” dai cittadini di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, morti sotto le macerie. 295 vittime. Una vignetta vomitevole. E dopo le reazioni veementi sui social network italiani, i geni malefici di Charlie Hebdo cosa pensano (male) di fare? Un’altra vignetta, in cui si difendono dagli attacci ricevuti, scrivendo: “Italiani, non è Charlie Hebdo che ha costruito le vostre case, ma la mafia”. Senza parole. Eppure dovrebbero sapere, gli amici del giornale satirico parigino, che non è il caso di scherzare troppo: da noi italiani si sono presi solo degli insulti via etere, da altri si sono presi pure delle pallottole. E qualcuno, maligno, scrisse che se l’erano pure cercate. Frase altrettanto orrida, al pari delle suddette vignette. Lo stesso “Libero”, sempre provocatoriamente oltre le righe, ha addirittura scritto che “anche a noi viene voglia di sparargli”, a quelli di Charlie. No, non condividiamo. Assolutamente no. Ma un freno a questa satira che non fa nè ridere nè riflettere bisogna darlo.
Qualche “buonista” della primissima ora ci ha rinfrescato la memoria: “ma non eravate voi che ve la prendevate con i musulmani solo perchè sono permalosi e non vogliono che Maometto venga disegnato come un maiale? La satira va bene per i musulmani, ma non per noi italiani? Satira con due pesi e due misure?” Non so dare torto nemmeno a loro. Dopotutto hanno ragione. Eccome. Guai a toccarci da vicino, noi. Ma questa, di Charlie Hebdo, è solo immondizia spacciata per satira. Io ho nostalgia di Forattini, certo che si. Al massimo si beccava una denuncia da Spadolini disegnato nudo o una querela da D’Alema Baffone. Ma almeno, con un semplice tratto di matita, faceva ridere. E non cercava di farlo sulla pelle dei morti. E poichè la satira non abita più qui, allora sapete cosa possiamo fare? Abolirla.

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FERTILITY COSA??? LA LETTERA DI UNA DONNA CHE VORREBBE DIVENTARE MAMMA, MA….

Caro Ministro Lorenzin,
Sono una neo mamma 31enne che ha deciso di fare un figlio per pura incoscienza.
Perché bisogna essere incoscienti per fare un figlio oggi, nell’Italia che voi state governando.
Ho finito il liceo e preso una laurea per avere più possibilità. Non ne ho avute.
Allora ho fatto un master per distinguermi da quei millemila studenti con i quali condividevo il titolo di studio. Non è cambiato granché.
Ho compiuto i 26 anni che avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage, perché gli stage temprano, fanno imparare, sono una possibilità. Così ci dite. Dite pure che siamo choosy, viziati, che viviamo a casa con mamma e papà perché sogniamo una casa con piscina alla Melrose Place.
Un cazzo, caro Ministro.
A 26 anni dicevamo, avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage. Non pagati. Dove facevo fotocopie e poco altro e dove tutti e 3 i datori di lavoro durante il primo colloquio mi avevano informata che tanto non mi avrebbero mai assunto perché l’azienda non aveva fondi. Bella risorsa che ero. E pazienza. Meglio che stare a casa a infornare biscotti, mi dicevo.
L’anno dopo presi un altro master. Per differenziarmi ancora un po’.
Mi differenziai talmente tanto che mi sentii dire che ero troppo qualificata, che servivano dei tuttofare disposti a svolgere tutte le mansioni più una, come le caramelle di Harry Potter. Fantascienza, non c’è che dire.
Allora puntai sulle agenzie. Feci altri due stage, questa volta pagati. 500 euro al mese e che dio mi benedica.
A 29 anni mandai 89 curricula in tutta la mia regione. E no egregio Ministro. Non vivo in Sicilia dove non c’è lavoro. Vivo nel florido Veneto.
Poi finalmente le cose cambiarono.
A 31 anni (Alleluia Alleluia)con un lavoro che amo ho potuto fare un figlio.
Sono fortunata, lo so. Fortunata per essere in Italia perché all’estero alla mia età e con il mio percorso formativo sarei già stata promossa a manager, ma che ci voglio fare, non vorrò mica essere choosy, vero?
In Italia a 30 anni trovi – forse – il primo lavoro pagato decentemente.
Avrá intuito il succo del discorso: la mia generazione non fa figli perché non se li può permettere.
Perché voi avete creato un sistema in cui si è indipendenti economicamente tardissimo.
Perché c’è poco lavoro e quel poco è sottopagato.
Perché il vostro sistema scolastico è arretrato, il programma di storia delle superiori arriva sempre e solo fino alla seconda guerra mondiale. Se si vuole avere una cultura decente occorre farsela da soli.
Perché un asilo nido costa una follia e se non si hanno nonni disposti a giocare ai genitori occorre chiedere un part Time in ufficio. Il che significa guadagnare 600 euro al mese e spenderne 450 per il suddetto asilo. O accontentarsi dell’insulto del 30% del proprio stipendio (circa 400 euro al mese) per usufruire della maternità facoltativa, tenendosi il pupo a casa con sé e in barba la socializzazione precoce.
Facciamo carriera in tempi biblici e se ci impegniamo per cercare fortuna fuori dai confini nazionali vi permettete pure di mettere il broncio.
Siamo la generazione che guadagna 1200 euro al mese nonostante abbia investito anni nella propria formazione, ma funziona così quindi o ci va bene o possiamo fare i bagagli. (E sopportare il vostro broncio, cialtroni).
Considerato poi che un affitto per un appartamento medio al nord costa dai 600 ai 1200 euro al mese, più asilo, meno soldi in busta paga, me lo dice dove accipicchia andiamo?
Quindi caro Ministro no. Non siamo pigri. Non siamo Erode che odiamo i bambini.
Noi non possiamo fare bambini, che è molto diverso.
E di certo bisogna essere incoscienti per farli, perché se stiamo qui a pensare a quello che il governo ci garantisce, sarebbe meglio prendersi un pesce rosso e tanti saluti (poi mi spiegherà come mai i papà abbiano 48 ore di congedo parentale quando nasce un figlio, e vi sbattete pure a dire quanto i padri siano fondamentali nei primi mesi di vita dell’infante, ma vaffanculo).
Poi esimio Ministro nel caso non lo sapesse, per procreare occorre un compagno. Che magari non sia un demente perché se poi la prole viene su male è colpa dei genitori, e che magari non sia disoccupato, o pensa che i neonati si vestano d’amore e i bambini si nutrano di speranze? Considerato che il 42% dei giovani non ha un impiego, azzardo che il 20% di loro sia di sesso maschile. Quindi ricapitoliamo. Maschio, etero, occupato e con un decente intelletto. Dai, ci arriva anche lei Ministro che sia più facile scovare il Sacro Graal. E se volessi quindi farmi un figlio da sola?
Ah no, in Italia non si può.

E per quanto riguarda la fertilità. No, non è un bene comune. È mia e me la gestisco io. Almeno ci lasci questa illusione.

 

VIGNETTA FERTILITY

GIORNALISTI RAPACI?

In questi giorni frenetici scanditi dal terribile terremoto in Lazio e nelle Marche, in particolare nelle province di Rieti e Ascoli Piceno, oltre che dalle testimonianze di solidarietà e dalle raccolte fondi per le popolazioni colpite, i social network – e i loro leoni da tastiera – hanno sguazzato nel torbido, prendendosela con i cosiddetti “giornalisti rapaci”, quelli cioè che si recano sul posto di una tragedia con l’unico intento di carpire emozioni e lacrime alle sfortunate vittime. In tanto hanno scritto “ma che domanda è: come si sente?”. Non è la domanda più bella del mondo – ma nemmeno la più facile – da fare a chi ha perso tutto, un parente, un amico, la casa. Ma è questo il lavoro del reporter: cosa dovrebbe fare altrimenti? Riportare unicamente la conferenza stampa del premier, le parole di incoraggiamento del capo della Protezione Civile, la tristissima matematica delle vittime che aumentano giorno dopo giorno? Anche questo, ma non solo questo. Dietro, anche ad una tragedia, ci sono storie – anche belle, benchè poche – da raccontare, come quella della bambina di 11 anni salvata dalle macerie dopo quasi 16 ore dalla prima scossa. Oppure, purtroppo, tante storie tristi, ma che vale comunque la pena raccontare. Certo, con garbo. Senza aggressività. Senza morbosità. E non è colpa del moltiplicarsi delle emittenti, italiane o americane (c’è anche la CNN ad Amatrice), perchè la “tv verità”, che piaccia o meno, esisteva anche più di 30 anni fa. Il primo esempio non è, forse, il caso di Alfredino Rampi, il bambino caduto nel pozzo di Vermicino? Non fu il primo caso di “cronaca in diretta”? Ebbene, quella diretta della Rai, affidata a Piero Badaloni, è sempre stata indicata come un eccellente modello di televisione “di servizio”. Forse adesso sono più aggressivi i cronisti dei canali all news? Sono diventati dei rapaci? Non credo: è cambiato il modo di fare informazione, a cominciare dai suddetti social network (certo non esempio di correttezza, troppo spesso…), è cambiato il modo di percepirla. E non dimenticate che, a volte, sono le stesse vittime di una tragedia immane come quella di questi giorni ad aver voglia di raccontare, di sfogarsi, di piangere, anche di fronte al microfono di un estraneo giornalista. Perchè no? Sarà peggio, molto peggio, quando si spegneranno i riflettori: con la paura nera di essere rimasti soli, abbandonati. Ne ho esperienza diretta, con gli amici e conterranei dell’Emilia, che hanno subito un sisma, nel 2012, decisamente meno devastante di quello di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto. A volte, anche un microfono, una telecamera, un taccuino, una macchina fotografica, possono fare compagnia e dare conforto. Per cui, almeno stavolta, pur tra i mille difetti della categoria, non date la colpa ai giornalisti rapaci. Date, piuttosto, la colpa al maledetto terremoto, che ancora una volta, in Italia, ha seminato morte e distruzione.

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ARRIVIAMO A CENTO!

SABATO 14 NOVEMBRE I TEATROCI SBARCANO A CENTO, CON LO SPETTACOLO “CANI, GATTI, PARENTI E AFFINI”, IN BENEFICENZA PER IL RESTAURO DEL TEATRO BORGATTI DI CENTO, DANNEGGIATO DAL TERREMOTO DEL 2012. LO SPETTACOLO SI TERRA’ AL CENTRO POLIFUNZIONALE PANDURERA, CON INIZIO ALLE ORE 21. NOI CI SAREMO…E VOI???? locandina