Questa è proprio una bella foto: ce l’ha scattata il mitico collega Andrea Rughetti sugli spalti dello stadio Alberto Braglia di Modena, durante il derby con la Reggiana, vinto dai granata per 2-1. In questa istantanea, che ferma proprio un istante del nostro commento televisivo in onda su Tv Qui, siamo raffigurati il sottoscritto e il bravo collega Andrea Lolli. Qualcuno ci ha scherzato sopra: il maestro e l’allievo? E soprattutto: chi è il maestro e chi l’allievo? A parte la considerevole differenza d’età, almeno una era geologica di giornalismo, nessuno è maestro e nessuno allievo. Solo due colleghi che si stimano, che amano quello che fanno e che lavorano bene insieme. Poi, è vero che io ho una certa predilezione nel lanciare giovani talenti, chiamatevi talent-scout, se volete, ma Andrea Lolli non l’ho scoperto io, si era già scoperto da solo….
Detto questo, speriamo almeno che questo, nella foto, sia il nostro profilo migliore. Altrimenti pensate un po’ a come dev’essere l’altro…..
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SE LA SATIRA NON ABITA PIU’ QUI, ABOLIAMOLA.
Sono passati alcuni giorni, ma la vergogna delle vignette di Charlie Hebdo sul terremoto in Centro Italia è ancora forte. Sono stati milioni gli italiani che, sui social network, si sono sentiti “feriti” da quei disegni di cattivissimo gusto, fatti da un giornale che – dopo quelli che gli è accaduto nel gennaio del 2015 – avrebbe dovuto già capire da un pezzo che non è più il caso di scherzare con i morti. I propri e quelli degli altri.
Un’ondata di indignazione ha attraversato tutto il paese, facendoci dimenticare che noi eravamo gli stessi che mettevamo la foto con la scritta “Je Suis Charlie” sui nostri profili ‘social’. Ma se allora farlo aveva ragione e senso, stavolta quasi tutti abbiamo gettato alle ortiche il presunto sacrosanto diritto alla satira. Anch’io mi sono indignato di fronte allo stupido gioco di parole della prima vignetta, dedicato alla pasta italiana, culminato con le “lasagne” rappresentata dai palazzi crollati “farciti” dai cittadini di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, morti sotto le macerie. 295 vittime. Una vignetta vomitevole. E dopo le reazioni veementi sui social network italiani, i geni malefici di Charlie Hebdo cosa pensano (male) di fare? Un’altra vignetta, in cui si difendono dagli attacci ricevuti, scrivendo: “Italiani, non è Charlie Hebdo che ha costruito le vostre case, ma la mafia”. Senza parole. Eppure dovrebbero sapere, gli amici del giornale satirico parigino, che non è il caso di scherzare troppo: da noi italiani si sono presi solo degli insulti via etere, da altri si sono presi pure delle pallottole. E qualcuno, maligno, scrisse che se l’erano pure cercate. Frase altrettanto orrida, al pari delle suddette vignette. Lo stesso “Libero”, sempre provocatoriamente oltre le righe, ha addirittura scritto che “anche a noi viene voglia di sparargli”, a quelli di Charlie. No, non condividiamo. Assolutamente no. Ma un freno a questa satira che non fa nè ridere nè riflettere bisogna darlo.
Qualche “buonista” della primissima ora ci ha rinfrescato la memoria: “ma non eravate voi che ve la prendevate con i musulmani solo perchè sono permalosi e non vogliono che Maometto venga disegnato come un maiale? La satira va bene per i musulmani, ma non per noi italiani? Satira con due pesi e due misure?” Non so dare torto nemmeno a loro. Dopotutto hanno ragione. Eccome. Guai a toccarci da vicino, noi. Ma questa, di Charlie Hebdo, è solo immondizia spacciata per satira. Io ho nostalgia di Forattini, certo che si. Al massimo si beccava una denuncia da Spadolini disegnato nudo o una querela da D’Alema Baffone. Ma almeno, con un semplice tratto di matita, faceva ridere. E non cercava di farlo sulla pelle dei morti. E poichè la satira non abita più qui, allora sapete cosa possiamo fare? Abolirla.
FERTILITY COSA??? LA LETTERA DI UNA DONNA CHE VORREBBE DIVENTARE MAMMA, MA….
Caro Ministro Lorenzin,
Sono una neo mamma 31enne che ha deciso di fare un figlio per pura incoscienza.
Perché bisogna essere incoscienti per fare un figlio oggi, nell’Italia che voi state governando.
Ho finito il liceo e preso una laurea per avere più possibilità. Non ne ho avute.
Allora ho fatto un master per distinguermi da quei millemila studenti con i quali condividevo il titolo di studio. Non è cambiato granché.
Ho compiuto i 26 anni che avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage, perché gli stage temprano, fanno imparare, sono una possibilità. Così ci dite. Dite pure che siamo choosy, viziati, che viviamo a casa con mamma e papà perché sogniamo una casa con piscina alla Melrose Place.
Un cazzo, caro Ministro.
A 26 anni dicevamo, avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage. Non pagati. Dove facevo fotocopie e poco altro e dove tutti e 3 i datori di lavoro durante il primo colloquio mi avevano informata che tanto non mi avrebbero mai assunto perché l’azienda non aveva fondi. Bella risorsa che ero. E pazienza. Meglio che stare a casa a infornare biscotti, mi dicevo.
L’anno dopo presi un altro master. Per differenziarmi ancora un po’.
Mi differenziai talmente tanto che mi sentii dire che ero troppo qualificata, che servivano dei tuttofare disposti a svolgere tutte le mansioni più una, come le caramelle di Harry Potter. Fantascienza, non c’è che dire.
Allora puntai sulle agenzie. Feci altri due stage, questa volta pagati. 500 euro al mese e che dio mi benedica.
A 29 anni mandai 89 curricula in tutta la mia regione. E no egregio Ministro. Non vivo in Sicilia dove non c’è lavoro. Vivo nel florido Veneto.
Poi finalmente le cose cambiarono.
A 31 anni (Alleluia Alleluia)con un lavoro che amo ho potuto fare un figlio.
Sono fortunata, lo so. Fortunata per essere in Italia perché all’estero alla mia età e con il mio percorso formativo sarei già stata promossa a manager, ma che ci voglio fare, non vorrò mica essere choosy, vero?
In Italia a 30 anni trovi – forse – il primo lavoro pagato decentemente.
Avrá intuito il succo del discorso: la mia generazione non fa figli perché non se li può permettere.
Perché voi avete creato un sistema in cui si è indipendenti economicamente tardissimo.
Perché c’è poco lavoro e quel poco è sottopagato.
Perché il vostro sistema scolastico è arretrato, il programma di storia delle superiori arriva sempre e solo fino alla seconda guerra mondiale. Se si vuole avere una cultura decente occorre farsela da soli.
Perché un asilo nido costa una follia e se non si hanno nonni disposti a giocare ai genitori occorre chiedere un part Time in ufficio. Il che significa guadagnare 600 euro al mese e spenderne 450 per il suddetto asilo. O accontentarsi dell’insulto del 30% del proprio stipendio (circa 400 euro al mese) per usufruire della maternità facoltativa, tenendosi il pupo a casa con sé e in barba la socializzazione precoce.
Facciamo carriera in tempi biblici e se ci impegniamo per cercare fortuna fuori dai confini nazionali vi permettete pure di mettere il broncio.
Siamo la generazione che guadagna 1200 euro al mese nonostante abbia investito anni nella propria formazione, ma funziona così quindi o ci va bene o possiamo fare i bagagli. (E sopportare il vostro broncio, cialtroni).
Considerato poi che un affitto per un appartamento medio al nord costa dai 600 ai 1200 euro al mese, più asilo, meno soldi in busta paga, me lo dice dove accipicchia andiamo?
Quindi caro Ministro no. Non siamo pigri. Non siamo Erode che odiamo i bambini.
Noi non possiamo fare bambini, che è molto diverso.
E di certo bisogna essere incoscienti per farli, perché se stiamo qui a pensare a quello che il governo ci garantisce, sarebbe meglio prendersi un pesce rosso e tanti saluti (poi mi spiegherà come mai i papà abbiano 48 ore di congedo parentale quando nasce un figlio, e vi sbattete pure a dire quanto i padri siano fondamentali nei primi mesi di vita dell’infante, ma vaffanculo).
Poi esimio Ministro nel caso non lo sapesse, per procreare occorre un compagno. Che magari non sia un demente perché se poi la prole viene su male è colpa dei genitori, e che magari non sia disoccupato, o pensa che i neonati si vestano d’amore e i bambini si nutrano di speranze? Considerato che il 42% dei giovani non ha un impiego, azzardo che il 20% di loro sia di sesso maschile. Quindi ricapitoliamo. Maschio, etero, occupato e con un decente intelletto. Dai, ci arriva anche lei Ministro che sia più facile scovare il Sacro Graal. E se volessi quindi farmi un figlio da sola?
Ah no, in Italia non si può.
E per quanto riguarda la fertilità. No, non è un bene comune. È mia e me la gestisco io. Almeno ci lasci questa illusione.
GIORNALISTI RAPACI?
In questi giorni frenetici scanditi dal terribile terremoto in Lazio e nelle Marche, in particolare nelle province di Rieti e Ascoli Piceno, oltre che dalle testimonianze di solidarietà e dalle raccolte fondi per le popolazioni colpite, i social network – e i loro leoni da tastiera – hanno sguazzato nel torbido, prendendosela con i cosiddetti “giornalisti rapaci”, quelli cioè che si recano sul posto di una tragedia con l’unico intento di carpire emozioni e lacrime alle sfortunate vittime. In tanto hanno scritto “ma che domanda è: come si sente?”. Non è la domanda più bella del mondo – ma nemmeno la più facile – da fare a chi ha perso tutto, un parente, un amico, la casa. Ma è questo il lavoro del reporter: cosa dovrebbe fare altrimenti? Riportare unicamente la conferenza stampa del premier, le parole di incoraggiamento del capo della Protezione Civile, la tristissima matematica delle vittime che aumentano giorno dopo giorno? Anche questo, ma non solo questo. Dietro, anche ad una tragedia, ci sono storie – anche belle, benchè poche – da raccontare, come quella della bambina di 11 anni salvata dalle macerie dopo quasi 16 ore dalla prima scossa. Oppure, purtroppo, tante storie tristi, ma che vale comunque la pena raccontare. Certo, con garbo. Senza aggressività. Senza morbosità. E non è colpa del moltiplicarsi delle emittenti, italiane o americane (c’è anche la CNN ad Amatrice), perchè la “tv verità”, che piaccia o meno, esisteva anche più di 30 anni fa. Il primo esempio non è, forse, il caso di Alfredino Rampi, il bambino caduto nel pozzo di Vermicino? Non fu il primo caso di “cronaca in diretta”? Ebbene, quella diretta della Rai, affidata a Piero Badaloni, è sempre stata indicata come un eccellente modello di televisione “di servizio”. Forse adesso sono più aggressivi i cronisti dei canali all news? Sono diventati dei rapaci? Non credo: è cambiato il modo di fare informazione, a cominciare dai suddetti social network (certo non esempio di correttezza, troppo spesso…), è cambiato il modo di percepirla. E non dimenticate che, a volte, sono le stesse vittime di una tragedia immane come quella di questi giorni ad aver voglia di raccontare, di sfogarsi, di piangere, anche di fronte al microfono di un estraneo giornalista. Perchè no? Sarà peggio, molto peggio, quando si spegneranno i riflettori: con la paura nera di essere rimasti soli, abbandonati. Ne ho esperienza diretta, con gli amici e conterranei dell’Emilia, che hanno subito un sisma, nel 2012, decisamente meno devastante di quello di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto. A volte, anche un microfono, una telecamera, un taccuino, una macchina fotografica, possono fare compagnia e dare conforto. Per cui, almeno stavolta, pur tra i mille difetti della categoria, non date la colpa ai giornalisti rapaci. Date, piuttosto, la colpa al maledetto terremoto, che ancora una volta, in Italia, ha seminato morte e distruzione.
ARRIVIAMO A CENTO!
SABATO 14 NOVEMBRE I TEATROCI SBARCANO A CENTO, CON LO SPETTACOLO “CANI, GATTI, PARENTI E AFFINI”, IN BENEFICENZA PER IL RESTAURO DEL TEATRO BORGATTI DI CENTO, DANNEGGIATO DAL TERREMOTO DEL 2012. LO SPETTACOLO SI TERRA’ AL CENTRO POLIFUNZIONALE PANDURERA, CON INIZIO ALLE ORE 21. NOI CI SAREMO…E VOI????
IL TRIONFO DELLE PENSIONI. (ANCHE NEI FILM)
Il nuovo film di Ficarra & Picone, “Andiamo a quel paese”, fotografa perfettamente la situazione attuale di milioni di italiani: la perdita del lavoro in città, il ritorno al paese e, possibilmente, sotto l’ala protettrice di genitori, nonni e zii in possesso di una buona pensione. Perchè, come viene ripetuto più volte nel film, “la pensione è per sempre”. Naturalmente il film fa ridere, ma al tempo stesso fa riflettere: una delle scene più esilaranti è quando la bambina, figlia di uno dei due disgraziati tornati in bolletta nel paese d’origine, a proposito delle sue bambole, dice: “Ken ha lasciato la Barbie e si è messo con la Befana: almeno lei ha una buona pensione”. E da lì in avanti è tutto uno snocciolare di battute a raffiche che prendono peraltro spunto dalla vita reale: tanti uomini giovani che si mettono a corteggiare donne molto più anziane, e persino a fare loro la serenata. Solo per garantirsi un futuro. Con intenzioni serie, s’intende. In mezzo c’è di tutto: il matrimonio tra la zia di 70 anni e il giovane Valentino, la curiosità morbosa dei paesi piccoli che mormorano, la vergogna evocata nei confronti di una donna che sta con un uomo molto piu’ giovane (e se, invece, fosse il contrario?), la zia Lucia che aveva una relazione con il parroco del paese, che finalmente abbandona la tonaca per abbracciare il vero Amore (e lo ritroveranno anche i giovani), la 90enne che nel segreto del confessionale chiede se può fare una “fuitina” con il suo innamorato… E, tutto intorno, l’assoluta apologia della Pensione, questa benedetta! Meglio se con la delega…Nella speranza, un giorno, di averla anche noi (la pensione). E se non l’avremo noi, allora perchè non mettere su un “ospizio abusivo” con tanti pensionati da curare, evitando che mangino dolci e sperando che campino 100 anni (o fino alla fine del mese)? Almeno nel film, infatti, il nostro sembra un paese per vecchi. Anzi, per anziani. Perchè “vecchie sono le cose: le persone sono anziane”.