di Cristiano Tassinari
Ve lo ricordate il primo giorno di scuola?
Io si, e anche abbastanza nitidamente.
Era il 1.ottobre 1975: non avevo neppure 6 anni.
Enfant prodige? Non mi pare.
Cartella rossoblu con una tartaruga sopra, muso lungo di chi a scuola non ci vuole andare e mamma Teresa che mi dice “Dai, vai!”, ma io tergiverso, poco convinto.
Alla fine, do un bacio alla mamma, supero la cancellata della scuole elementare (Dante Alighieri, forse?) ed entro nella vita “dei grandi”.
La scuola.
Perchè la scuola è cosi: come il ballo delle debuttanti, come l’ingresso in società, come la fine della pacchia da bambini dove l’importante giocare e come l’inizio dei doveri da piccoli adulti.
La vita “dei grandi”, appunto.
Comunque sia, è bellissimo.
E non sarà certo un maledetto virus – e tutto il suo contorno di terrorismo psicologico e mediatico, fatto anche di regole scolastiche astruse e assurde – a togliere ai “primini” il piacere/timore del loro primo giorno di scuola.
Indimenticabile.
E questo vale, senz’altro, anche per i più grandi, che – spesso e volentieri – dopo le vacanze non vedono l’ora di rivedere i loro compagni di classi – distanziati o no – delle medie e delle superiori per raccontare loro quello che è successo durante questa (strana) estate.
Ci siamo, ormai.
La campanella sta per suonare.
La scuola riparte, W la scuola!
Non rovinatela, per favore (e non mi riferisco, ovviamente, agli studenti).