Il coraggio di Justin Fashanu

Avrebbe compiuto 59 anni il 19 febbraio Justin Fashanu, il primo calciatore famoso a dichiarare la propria omosessualità. Una scelta coraggiosa, ma che lo escluse dal suo mondo, costretto all’isolamento, trattato come un “paria”. Aveva 29 anni nel 1990 quando rilasciò una clamorosa intervista, il suo autentico “coming out”: “Sono gay”. Ma il mondo del calcio non era pronto per un simile choc. E Justin Fashanu fu emarginato, ripudiato persino dal fratello John, anche lui calciatore.
Ma Justin non ce la faceva più a nascondersi. Si nascondeva fin da quando debuttò nella serie A inglese, a 18 anni, con la maglia gialloverde del Norwich. Poi passò al Nottingham Forest, vincitrice di due Coppe dei Campioni: fu il primo giocatore nero pagato 1 milione di sterline! Ma il suo rendimento non fu all’altezza: colpa anche del suo allenatore, il ruvido Brian Clough (quello del “Maledetto United”, per intenderci), che – dopo averlo pedinato – lo prese di mira con frasi del tipo: “Che cosa vai a fare in un cazzo di bar di finocchi?”, vietandogli di allenarsi con il resto della squadra.

Dopo la sua confessione apparsa sul “Sun”, in cui ammise di avere una relazione con un deputato inglese, Justin Fashanu – per fuggire al pubblico ludibrio – fu costretto a emigrare negli Stati Uniti e in Canada, a caccia di qualche spicciolo d’ingaggio in squadre minori.
Nel 1998, però, un ragazzo di 17 anni lo accusò di violenza sessuale, un’accusa assolutamente falsa secondo Fashanu. Il minorenne, dopo un rapporto consensuale in hotel, gli chiese dei soldi e al rifiuto del calciatore lo minacciò: “Mi vendicherò”. Finito davanti alla giustizia, Justin scrisse una lettera per scusarsi con i familiari e gli amici e si tolse la vita impiccandosi. Se ne andò, in punta di piedi. Aveva 37 anni.
Nel 2012 la nipote Amal Fashanu ha realizzato un documentario per la BBC sull’omofobia che regna ancora nel mondo de calcio. L’associazione “Justin Campaign” continua a combattere in suo nome. E oggi – meglio tardi che mai – Justin Fashanu entra ufficialmente nella “Hall of Fame” del calcio inglese. La nipote ha cosi commentato l’evento: “È stato finalmente riconosciuto che Justin Fashanu non era solamente un calciatore gay, era soprattutto un calciatore di talento”.
Niente più omofobia nel mondo del calcio? Non si direbbe, a sentire la recente intervista del calciatore svedese Ekdal, da anni in Italia: “Il calcio non è ancora pronto”.
Se non ora, quando?

Il bello di essere “immigrati digitali”

di Cristiano Tassinari

Qualche giorno fa ho seguito con interesse uno dei corsi di formazione obbligatori per i giornalisti, in cui eminenti ultra-cinquantenni discutevano della “battaglia” attualmente in corso tra i “nativi digitali” e i cosiddetti “immigrati digitali”. Innanzitutto è doverosa una spiegazione dei due termini che abbiamo usato: i “nativi digitali” sono coloro che, fin dalla nascita o giù di lì, hanno avuto a che fare con telefoni, smartphone e le altre diavolerie tecnologiche di questi tempi. Per loro è tutto naturale, cresciuti a pane e tecnologia. Per cui possono essere considerati “nativi” sia i Millennials, nati dal 2000 in poi, che ora hanno 20 anni e hanno comunque seguito loro stessi una certa evoluzione della tecnologia (basta pensare alla differenza tra le funzioni di un cellulare nel 2010 e nel 2020…), sia i bambini – come, ad esempio, mio figlio Santiago, che non ha ancora due anni – che già hanno imparato – guardando i genitori che lo fanno come azione quotidiana ripetuta – a usare il telefono facendo scorrere il dito per vedere le fotografie e a cliccare nel posto giusto per vedere il video di Peppa Pig.
Chissà che funzioni avranno i loro cellulari quando avranno 20 anni o poco più, nel 2040…
E’ innegabile il fatto, del resto, che se fossero nati negli anni ’70 e ’80, avrebbe visto mamma e papà usare il telefono “a rotella” e avrebbero imparato ad usarlo anche loro…
Fin qui, tutto chiaro con i “nativi digitali”. Ma gli “immigrati digitali”? Chi sono?

La definizione mi ha colpito in particolare, perchè è davvero azzeccata. Cosi come un immigrato autentico, si “muove” da un paese all’altro, gli “immigrati digitali” sono stati costretti a spostarsi da un sistema tecnologico all’altro, diremmo quasi da uno stile di vita ad un altro, passando proprio dal telefono a rotella e cornetta – io me lo ricordo benissimo! – allo smartphone di oggi. Con annessi, connessi e…connessione.
Questi “immigrati digitali” siamo noi, nati in un periodo in cui non esistevano i cellulari e tutta questa tecnologia. Siamo tanti, e non tutti sono riusciti a fare il passaggio da un sistema all’altro, da uno stile di vita all’altro. Mio padre, per esempio, classe 1940 molto brillante e in gamba per tante cose (anche per il ballo liscio!), è invece assolutamente negato per il cellulare. Ne usa uno piccolo, antiquato, con i tasti grandi, di quelli che pubblicizzano in tv con Biancaneve e il Lupo, dedicati di fatto agli anziani. Hai voglia a dire a mio padre che con un moderno smartphone potrebbe vedere in tempo reale le foto del suo nipotino preferito, ma non c’è niente da fare: semplicemente perchè per lui è troppo complicato!
Meno male che ci sono altre persone non più giovanissime, viceversa, che hanno trovato una sorta di seconda giovinezza proprio grazie alla tecnologia, a Whatsapp, a Facebook e alla comunicazione “social”.
Nel corso a cui ho assistito, si parlava poi del GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple), le quattro superpotenze del web e dell’e-commerce, che ormai fattura in tutto il mondo qualcosa come 41.5 miliardi di euro, il 41% dei quali proviene dal settore “tempo libero”, rappresentato in gran parte dal gioco on-line, con tutti i suoi rischi e i suoi pericoli.
Insomma: siamo ormai tutti “multichannel”, anche gli “immigrati digitali” che si sono convertiti. E lo siamo soprattutto per gli acquisti, che è poi quello che interessa ai giganti del web e dintorni: compriamo vestiti, libri, scarpe e qualunque altra cosa su Amazon, cerchiamo qualcosa di speciale su e-Bay, scrutiamo tutti i siti dei negozi on-line possibili e immaginabili, ordiniamo la cena con un click su Just Eat, acquistiamo in tv su QVC o persino sulle televendite delle tv localie, se qualcosa non va bene, o per semplice sfizio, rimandiamo il pacco indietro. No problem. Tanto ci ridanno indietro i soldi. Provate a farlo con i negozi veri e propri… Vi danno, spesso, un calcio nel sedere anche se avete lo scontrino…
Non è una difesa spasmodica dell’e-commerce, ma la fotografia reale della situazione attuale: il web è più economico e più comodo, senza nemmeno dover uscire di casa, grazie ai furgoncini dei corrieri e alle biciclette dei riders che consegnano a domicilio la pizza, l’hamburger e il sushi. Il mondo, ora, va cosi. Ma siccome il “gratis” non esiste, nè sul web nè nella vita reale, temo che presto – forse non prestissimo, in realtà – ne pagheremo tutti il conto. Che, adesso, è già salato per molti commercianti “old style”, con l’affitto del negozio da pagare.
Intanto, essere riusciti a compiere positivamente il passaggio a “immigrati digitali” ci permette, se non altro, di essere pronti ad altri futuri cambiamenti, che ci saranno certamente. E, come consumatori, siamo preparati a non farci facilmente fregare dal primo sito web che capita. Ma se capita, rivolgetevi alle associazioni dei consumatori. Possono aiutarci, davvero.

Che successo!

A nome di tutta la compagnia de I TEATROCI ringrazio il numeroso e appassionato pubblico che ha riso e trascorso con noi un paio di ore di leggerezza e svago con la nostra 7a commedia “AMANTI … C’È POSTO.
Noi abbiamo fatto del nostro meglio x farvi divertire, con le nostre battute a volte sarcastiche, a volte intriganti, a volte pungenti, ma spesso veritiere, visto l’argomento, trattato però con il dovuto garbo.


Grazie, grazie a tutti x i vostri calorosi applausi e complimenti.
Vi aspettiamo con gioia alla prossima e…
Per chi non ha potuto esserci, faremo una replica presto. 

 

Quel primo volo del Concorde…

di Alba Rosa Galleri
(Sardegna Blogger.it)

I favolosi anni sessanta hanno espresso il meglio in molti campi, sicuramente in quello aerospaziale, sollecitato soprattutto dalla competizione tra USA e URSS negli anni della guerra fredda.
Anni di spietata concorrenza, ma anche di fattiva collaborazione tra aziende di diversa nazionalità come quella avviata già nei primi anni sessanta da un consorzio anglo francese, di cui facevano parte la British Aerospace e Aérospatiale, che già nel ’62 intraprese gli studi per la progettazione di un aereo di linea che superasse la velocità del suono.

La costruzione del primo prototipo ebbe inizio nel ’65 a Tolosa, in Francia, e il primo test supersonico nell’ottobre del 1969.
Stava nascendo il Concorde, il primo aereo commerciale occidentale che avrebbe volato a Mach-2 e fatto concorrenza ai sovietici Tu-144 e Tu-144S, costruiti dalla Tupolev e utilizzati dalla Aeroflot.
Dopo i primi voli dimostrativi pareva che la produzione del Concorde dovesse coprire ordini di diverse decine di unità, ma sia la crisi petrolifera dei primi anni settanta, sia gli elevati costi, rivelatisi ben superiori a quelli originariamente previsti (6 miliardi di lire nel 1969), fecero sì che solo la British Airways e l’Air France mantenessero gli ordini effettuati: 14 aerei supersonici il cui costo di produzione, nel 1977, si aggirava intorno ai 23 milioni di sterline.
Così il 21 gennaio 1976 i primi due Concorde di linea decollarono in contemporanea da due aeroporti europei: uno partì  da Londra e atterrò nel Bahrein,  l’altro da Parigi e atterrò a Rio de Janeiro.
Due voli da favola durante i quali ai passeggeri furono offerti caviale, aragosta, filetto, champagne Dom Perignon e sigari cubani.
Chi ci ha viaggiato parla di avventura, di film americano, di costi abbondantemente coperti dalla soddisfazione per quella esperienza unica.
La distanza tra Londra e New York veniva coperta in tre ore e venti minuti (il volo di linea di un normale Boeing 747 durava oltre sette ore) e gli spazi non comodissimi della fusoliera erano compensati dall’elevato standard del servizio e del personale di bordo. All’interno dell’aereo erano presenti dei display che mostravano l’altezza, la velocità e la temperatura esterna.
Accadeva poi una cosa curiosa: volando verso occidente, partendo da Londra o da Parigi al tramonto, si arrivava a New York ancora in pieno giorno, tanto che la British Airways aveva coniato lo slogan «Arrivare prima di partire».
Sui Concorde ha viaggiato l’élite mondiale, la finanza, la politica, i ricchi della terra: in totale ben 2 milioni e mezzo di passeggeri dal 1976 al 2003..
Il biglietto andata e ritorno della tratta Londra New York costava intorno ai 12 mila dollari, giustificati dai costi di manutenzione e di esercizio molto elevati.  Basti pensare che per ogni ora di volo, che costava 175.000 franchi, erano necessarie 18/20 ore di manutenzione, per un totale di 88.000 franchi: la sola manutenzione rappresentava oltre la metà del costo del volo, mentre il consumo di carburante si aggirava intorno ai 17 litri/passeggero per 100 chilometri.

In breve i deficit maturati e il grave incidente del 25 luglio del 2000, durante il quale persero la vita 113 persone, diedero il colpo di grazia ad una stagione durata poco più di un quarto di secolo.
Il 10 aprile 2003 la British Airways e la Air France diedero in contemporanea l’annuncio che alla fine dello stesso anno il Concorde sarebbe stato definitivamente ritirato dalla circolazione.
Un esemplare di quell’aereo e un Tupolev Tu-144 sono esposti al Museo automobilistico e tecnologico di Sinsheim in Germania.

"Arts for children"

Osvaldo Neirotti, l’artista che dipinge sugli alberi

Osvaldo Neirotti è l’unico artista al mondo che dipinge sugli alberi.

Non su tela, ma sul fusto vero dell’albero. In condizioni di assoluta non nocività per le piante, utilizzando esclusivamente colori composti da pigmenti naturali, approvati da biologi, agronomi ed esperti forestali.

Il progetto di Osvaldo Neirotti prende il nome di “Natura Urbana“, una serie di installazioni artistiche in ambito urbano, con l’intenzione di sensibilizzare i cittadini sul delicato tema ambientale.

Il progetto è stato presentato al Comune di Torino, città dove vive Neirotti: è stato approvato e le prime installazioni sono state create già nel 2017.  Iniziando, in via sperimentale, con zone disagiate della città, come il Cortile del Maglio di Porta Palazzo: la pittura sugli alberi è diventata subito una calamita!

Subito dopo, un’altra installazione è stata realizzata presso la scuola “Anna Frank”, sempre a Torino, coinvolgendo i bambini di tutta la scuola. In questo modo l’artista è riuscito a trasmettere valori e stimoli non solo ambientali, ma anche scolastici.

Neirotti mentre crea Marco l’elefante di via San Donato a Torino

Ormai è diventata consuetudine essere contattati dalle scuole per l’inserimento del progetto“, commenta Osvaldo Neirotti. Che prova a spiegare il “perchè” della sua intuizione artistica e ambientale: “Perchè colorare gli alberi? Perchè la memoria funziona per l’80% attraverso le immagini, quindi vedendo gli alberi colorati, la gente arriva subito. per associazione, a: Ambiente = Rispetto. Diventare respons-abili (cioè capaci di rispondere a determinate esigenze). Perchè vogliamo che la gente risponda positivamente a questo messaggio.
Aggiunge Neirotti:”Il mio desiderio era quello di dare un maggior contributo socio-ambientale, non per ergermi a paladino dell’indifferenza, ma bensì come messaggero di opportunità, ottimismo, facoltà di scelta e cambiamento. Ogni artista prova a dare il proprio contributo, io do il mio“, aggiunge Neirotti.

Lo staff dell’artista sta già lavorando per esportare il progetto “Natura Urbana” in tutta Italia e oltre. L’intenzione è di integrare nella proposta diversi artisti famosi, che fungeranno da testimonial, importanti – con la loro presenza – per informare, educare e responsabilizzare i cittadini al rispetto per l’ambiente.

Il divario economico “di genere” si colmerà nel 2277

Un dato impressionante.
Secondo il “Global Gender Gap Report 2020, al ritmo attuale ci vorranno addirittura 257 anni  (arriviamo al 2277…) perché il divario economico “di genere” si riduca completamente.

Il rapporto rileva che, nonostante il divario sia stato ridotto negli ultimi anni, i progressi stanno rallentando: basti pensare che l’anno scorso era stato stimato che per raggiungere la piena parità ci sarebbero voluti 202 anni.
Ora sono già diventati 55 in più!

Il World Economic Forum di Davos misura il divario economico di genere fin dal 2006.
Oltre alle questioni economiche, il rapporto prende in considerazione anche la politica, l’istruzione e la salute.

Le cifre sono più incoraggianti nelle ultime due categorie rilevate (istruzione e salute), in cui è stata raggiunta la parità rispettivamente al 96,1% e al 95,7%.

A livello globale, il 45% delle donne in età lavorativa non è presente sul mercato del lavoro, contro il 22%.
Le donne che lavorano ricevono in media il 60% di quanto guadagnano gli uomini, a parità di lavoro.
Ci sono ancora 72 paesi in cui alle donne viene impedito di aprire un conto in banca o di ottenere un credito.

Anche l’accesso alle professioni del futuro è un problema per le donne.
Mentre nel settore “persone e cultura” le donne rappresentano il 65% dei lavoratori, solo il 12% dei lavoratori del “cloud computing” e solo il 15% degli ingegneri sono donne : una situazione che potrebbe vedere un aumento del divario economico nel suo complesso negli anni a venire.

Delle quattro aree studiate dal rapporto, il campo della politica rappresentenza la maggiore differenza “di genere”.
Per quanto riguarda i rappresentanti eletti, al ritmo attuale mancano ancora 95 anni per vedere un ugual numero di uomini e donne in Parlamento e ben 85 Paesi dei 153 trattati nel rapporto (Italia compresa) non hanno mai avuto un capo di governo donna.

Tuttavia, il divario “di genere” nell’empowerment politico ha visto il miglioramento più significativo di tutte e quattro le aree studiate dal 2006 ad oggi, con un miglioramento di 1,8 punti percentuali rispetto al 2019.

Il divario di genere varia notevolmente a seconda della zona.
Mentre ci vorranno “solo” 54 anni perché l’Europa Occidentale riesca a colmare il divario al suo ritmo attuale, la parità in Nord America è ancora molto lontana: 151 anni!

Per l’undicesimo anno consecutivo, l’Islanda è in cima alla lista dei paesi più vicini alla parità tra i sessi, seguita da Norvegia, Finlandia e Svezia.

All’altro estremo della classifica, lo Yemen è risultato avere i peggiori tassi di parità tra i sessi, con l’Iraq penultimo e il Pakistan terzultimo.

“Fairer Economies” è uno dei sette temi che verranno trattati quest’anno al summit annuale dei leader mondiali di Davos.
In questo 50° appuntamento, in programma dal 21 al 24 gennaio 2020, il Forum si impegnerà a raddoppiare la partecipazione femminile all’evento entro il 2030, migliorando la rappresentanza delle donne nei vari gruppi di interesse.

Il World Economic Forum di Davos ha altresi implementato “Closing the Gender Gap Accelerators“, un programma che incoraggia un’azione coordinata tra i ministeri competenti e i datori di lavoro. L’obiettivo è quello di dare alle donne l’accesso a più posizioni di leadership, di colmare il divario salariale e di dare loro le competenze necessarie per i posti di lavoro del futuro.

Lettera dedicata a Harry e Megan….

Dear Harry,
yesterday ho appreso la news che with your wife rinunciate allo status reale because volete mantenervi da soli.
Lavorando.
Really?
But cosa hai in the head? The mushrooms?
But lo sai quanta people vorrebbe essere al posto vostro?
Now.
Capisco che non diventerai never never never king, because tu father c’è prima di te, because pure tu brother ‘Belli Capelli’ c’è prima di te e dovete comunque aspetta’ che a grandmother prenda un big ciopone (ma Betty ve fa il gesto dell’umbrella e non lascia il throne manco a mori’, appunto).
Capisco che a quella big gnoccolona de your wife manchi la television e che vorrebbe tornare a fare l’actress in qualche series, but not state a esagera’?
Pure cambiare house volete. Il Canada. Che dick c’andate a fa’ in Canada? L’England not vi garba più?
That poi vorrei sape’ se not fai il prince cosa vai a fa’.
L’hydraulic?
L’electrician?
The Caldaia Man?
Ci credo che grandmother Betty se sta a incazza’, gliene tirate out una behind l’altra.
But io lo so il motivo.
Volete far crescere the little Archie lontano dalla strange family che ve ritrovate.
Lontano da tu brother e Kate (that che spara i sons out dalla patonza reale in four and foureight e poi torna secca come uno street lamp), lontano da tu father e the MrsHorses Camilla, lontano da Betty e Filippo (che manco gli puoi affida’ il tu little baby because ultimamente se ribalta with car un day sì e un day pure)
Insomma Harry dove te giri te giri is the big casino, però pure you…
Senti, famo una cosa: io so’ the person simply, ma sono di compagnia. Now che si è liberato un place al palace, dicevo… se prendessi il tuo posto? Chessò… for tenere compagnia alla Queen… passarle il catalogo pantone for scegliere the colors for l’outfit, fare bye bye with the hand al posto suo che quella c’ha na certa… insomma, cose così.
Pensaci Harry.
Io al posto tuo.
Porto anche la biada a MrsHorses.
Faccio ingrassa’ pure la secca con le ricette de my mother (tipo le tagliatelle homemade al sugo de wild porc) così Meghan is happy se a quella le vie’ il doppio mento alla Enry VIII.
Chiudo nonno nello scantinato coi dog corgi, così non se ribalta più.
And regalo pure un rasoio a William così se rasa una volta for all quei three peli che tiene in the head.
E you finally sarai quello beautiful with wife fregna da competiscion che vive nella housettina in Canadà. Come la song famous.
Pensaci Harry.
I lo faccio for you.

Con much affection.
Simona Fruzzetti (geniale creatrice del testo)

 

Felici e disoccupati.

 

Bogotà: Claudia Lopez, il primo sindaco LGBT dell’America Latina

Il 2020 è cominciato con un grande successo per il movimento LGBT.
Si è insediata Claudia Lopez, 49 anni, la nuova sindaca di Bogotà: prima donna a conquistare il municipio della capitale colombiana e prima sindaca dichiaratamente omosessuale in America Latina. Progressista, di origini umili, Lopez farà della difesa delle libertà e dei diritti civili il suo cavallo di battaglia.

“Grazie a tutti per esservi svegliati presto, per esser qui in questo momento molto speciale della mia vita, la mia cerimonia di insediamento come prima donna, donna omosessuale, divenuta sindaca nella storia di Bogotà”, ha detto Lopez dal palco nel parco Simon Bolivar, dove è arrivata in bicicletta accompagnata dalla moglie, la senatrice Angelica Lozano.

“Finalmente la Colombia ha fatto progressi verso una democrazia inclusiva, che è stata sfuggente e sofferta”, ha aggiunto Lopez, che appare come il contraltare politico del presidente Iván Duque, le cui politiche sociali ed economiche hanno suscitato importanti proteste nel paese negli ultimi due mesi. La neo sindaca ha difeso nel suo discorso di inaugurazione il diritto alla protesta sociale manifestando il suo esplicito sostegno alla mobilitazione.

Tra i suoi obiettivi, che gli abitanti di Bogotà vivano senza paura in una città con più opportunità di lavoro, una migliore istruzione e più verde. Lopez ha detto di esser stata scelta non solo per incarnare un cambio nelle priorità del governo cittadino, nel suo stile e nella leadership, ma soprattutto per cambiare la storia.

 

“AMANTI…C’E’ POSTO!”

L’avete preso il biglietto per venirci a vedere a teatro il domenica pomeriggio 26 gennaio???
Dai….è un ottimo regalo di Natale!

Manca poco!
Conoscerete Felice, Virginia, Sandra, Bruno, Sergio, Mandrillone, Mandrillino, Fortunello, la Cesira, la Zelinda e la Zelmira…..