Egan Bernal, il “Pantani” della Colombia

I francesi ci sono rimasti male, e bisogna capirli: non vincono il Tour de France dal 1985 (l’ultimo trionfatore fu Bernard Hinault), avevano sperato in Thibaut Pinot e, soprattutto in Julian Alaphilippe – in maglia gialla fino alla terz’ultima tappa -, ma poi hanno scoperto che a “scippare” loro la Grande Boucle è stato un signor giovane corridore: Egan Arley Bernal Gómez. Per tutti, semplicemente: Egan Bernal.

Ha vinto meritatamente questo Tour de France 2019, lo ha vinto perchè è stato il miglior scalatore di tutti e perchè, bisogna dirlo, la mancanza di una cronometro finale lo ha favorito, a scapito del suo (presunto) capitano e precedessore (nell’albo d’oro) Geraint Thomas.

A Egan Bernal vogliamo bene anche noi italiani, anche perchè la sua storia sportiva da professionista è cominciata proprio in Italia. A scoprirlo fu il talent-scout torinese Gianni Savio – scopritore dei più grandii ciclisti colombiani degli ultimi decenni e Commissario Tecnico di Colombia e Venezuela – che lo portò nella sua squadra, la Androni-Giocattoli. Bernal è stato “torinese” a tutti gli effetti – e con molti affetti -, vivendo nel Canavese, a San Colombano Belmonte e a Cuorgnè, grazie all’amico Vladimir Chiuminatto, ora presidente del Fan Club dedicato a “Eganito”

Ma noi siamo affezionati ancor di più a Bernal da quando abbiamo scoperto che è nato il 13 gennaio, lo stesso giorno di Marco Pantani.
27 anni dopo.
Un segno del destino? Sicuramente. E un po’ del “Pirata”, nel suo modo di correre e di attaccare le salite, Bernal ce l’ha.

La sua passione per il ciclismo gliel’ha inculcata il padre German: sognava di essere un ciclista professionista, magari come il leggendario Lucio “Lucho” Herrera, si è dovuto accontentare di fare il custode ad una miniera di sale e poi diventare un agente di sicurezza, ma senza la…sicurezza del lavoro. La mamma, Flor, lavorava come donna delle pulizie in diversi edifici pubblici, tra cui l’ospedale, della loro città, Zipaquira.
Poi è arrivato Ronald, il fratellino di Egan, che ora ha 14 anni. E grazie ai soldi già guadagnati dal figlio maggiore, i genitori hanno smesso di lavorare e accompagnano il figlio un po’ ovunque in giro per il mondo, proprio come fa la fidanzata Xiomena Guerrero, anche lei una sportiva, nazionale colombiana di mountain bike. E il nonno Alvaro è il suo primo tifoso.

Egan Bernal all’arrivo a Parigi bacia la fidanzata.

E il primo amore di Egan Bernal è stata proprio la mtb. A 7 anni, vince una gara scolastica che gli permette di ottenere in regalo una bici marca Trek e una borsa di studio per continuare a correre e a studiare.
Con la mountain bike, e con la squadra creata dal suo pigmalione Pablo Mazuera, Bernal ha vinto le prime corse e le prime medaglie, argento e bronzo ai mondiali mtb juniores in Norvegia (2014) e ad Andorra (2015) e oro nei Giochi Panamericani (Colombia 2015), ma aveva capito che non avrebbe mai guadagnato tanto come con il ciclismo su strada.
A 17 anni, il giovane Egan Bernal pensa di abbandonare definitivamente la mtb, si iscrive alla facoltà di Giornalismo all’Università, ha bisogno di una svolta.
Che arriva all’improvviso.

Egan rimane folgorato da Chris Froome, uno dei suoi idoli insieme a Vincenzo Nibali, e decide di buttarsi: la sua prima corsa a tappe su strada è il “Clasico Nacional de Turismeros“, vicino a Fusagasugà, non lontano da Bogotà, a casa di “Lucho” Herrera. Arriva secondo nella classifica generale, conquistando la maglia di vincitore del Gran Premio della Montagna. Da lì è scattata la molla. Pur continuando a fare mountain-bike, il suo chiodo fisso ora è trovare una squadra per le corse in linea.

Gli dà una mano Andrea Bianco, l’italiano che allenava la nazionale colombiana di mtb. Lo fa iscrivere ad una corsa in Italia, in Toscana: il Trofeo d’Autunno del Monte Pisano, il “piccolo Fiandre”, come viene definito. E Bernal vince. La sua vittoria non passa inosservata agli occhi dell’ex professionista Paolo Alberati. Ê lui il primo a contattare Egan per un primo contratto da professionista all’Androni-Giocattoli di Gianni Savio. Contatto e contratto, firmato su una terrazza di Montecarlo, mangiando una pizza Margherita…

E da quel momento – anche con l’aiuto in allenamento di un certo Michele Bartoli – iniziano gli anni “piemontesi” (2016-2017) di Bernal, quelli in cui – pur non vincendo grandi cose (Tour de Bihor, Tour di Savoia-Monte Bianco, Sibiu Cycling Tour, Tour de l’Avenir, più la classifica di miglior giovane al Giro del Trentino, al Giro di Slovenia e alla Coppi&Bartali) – pone le basi per il passaggio al Team Sky (da maggio 2019 si chiama Ineos) e a questo suo straordinario 2019: Parigi-Nizza, Giro di Svizzera e Tour de France.

E pensare che non avrebbe nemmeno dovuto correrlo: tutta colpa di una caduta durante gli allenamenti (il 4 maggio) e della frattura della clavicola, che gli ha impedito di partecipare al Giro d’Italia, poi vinto da un altro “campesino” sudamericano, l’ecuadoriano Richard Carapaz. E quindi Bernal dirottato, casualmente, al Tour de France…

Chi potrà fermare la corsa del 22enne Egan Bernal?
Eddy Merckx, alla partenza del Tour da Bruxelles, aveva pronosticato: “Vincerà Bernal”. E ha azzeccato il pronostico. E Bernal, in cambio, potrebbe “rubargli” il suo celebre soprannome: del resto, chi – se non Bernal – può essere il nuovo “Cannibale”? Almeno delle corse a tappe, perchè il “Cannibale” vero, Merckx, vinceva anche le corse in linea, che invece non sembrano essere nelle corde di Bernal…
In tanti attendono l’esplosione del giovanissimo belga Remco Evenepoel, classe 2000, definito – tanto per cambiare – “il nuovo Merckx”.
Se così sarà, aspettiamoci tante belle sfide nel futuro.

Passaggio di consegne all’ombra dell’Arc de Triomphe: Geraint Thomas e Egan Bernal.

Poi mi tocca pure fare l’esperto del Genoa…

Guardate, io l’esperto del Genoa provo pure a farlo, ma se non mi fosse venuto in soccorso Luca Vargiu, una vita in rossoblù, sarebbero stati…Grifoni per diabetici. Fatto sta che, all’intervista che mi ha proposto OLTV, la televisione tematica dell’Olympique Lyonnais, ho risposto “presente” e me la sono cavata pure abbastanza bene, in francese (e senza sottotitoli), spiegando al giornalista Gabriel Vacher…vita, morte, miracoli, passato, presente e futuro del Genoa.
Una bella ripassatina di storia, che non fa mai male: il più antico club italiano (fondato nel 1893), 9 scudetti (l’ultimo nel 1924), uno stadio bellissimo, una tifoseria appassionata, tempi recenti incerti e traballanti, ma pur sempre al 13esimo anno di fila in serie A, qualche acquisto interessante (da Zapata a Barreca), qualche giocatore già venduto,ma che rimane ancora un anno (Romero e Radu), qualche vecchio leone che non molla mai (Pandev), la rivalità storica con la Sampdoria e il solito ritornello – vero, però – che il Genoa è la squadra degli autentici genovesi... E gli amici francesi, davanti al Groupama Stadium per un’amichevole di luglio, sono andati in sollucchero! “Abbiamo trovato uno che conosce bene il calcio italiano e genovese“, avranno pensato. Lasciamoglielo pensare…

Tasso, Gabriel Vacher e il cameraman davanti allo stadio del Lione.

Ho persino pronosticato un campionato tranquillo per il Genoa, magari addirittura nella parte sinistra della classifica (anche se l’allenatore Andreazzoli non mi convince), ma non so se è un pronostico che vale qualcosa: l’ultima volta che ero stato ospite, in una trasmissione di OLTV, per Atalanta-Lione (1-0) di Europa League, nel dicembre 2017, dissi che la prossima volta dell’Atalanta in Europa sarebbe stato tra 10 anni… e, invece, me la ritrovo in Champions! Figure de…merde, direbbero i francesi. Pazienza. L’importante è provarci, no?
Intanto, il Genoa ha vinto 4-3 l’amichevole con il Lione, in rimonta dopo essere stato sotto 1-3.
I casi sono tre: o il Genoa è fortissimo, o il Lione è tristissimo, o il Tasso porta fortuna al Genoa e sfiga al Lione.
Fate voi.

L’uomo sulla Luna, 50 anni fa…

50 anni fa, fu “un piccolo passo per l’uomo e un grande passo per l’umanità”.
L’originale in inglese è: “One small step for a man, one giant leap for mankind“.

“One small step for a man, one giant leap for mankind”.

Neil Armstrong

Astronauta, appena sceso sulla Luna. 20.7.1969.

La celeberrima frase fu pronunciata dall’astronauta Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna.
Era il 20 luglio 1969. Alle ore 20:17:40.

Edwin “Buzz” Aldrin, ora, ha 89 anni.
Camminò sulla Luna 19 minuti dopo Neil Armstrong.
Armstrong non c’è più (dal 2012) e il terzo astronauta dell’Apollo 11, Michael Collins, in realtà rimase in orbita attorno alla Luna.

Neil A. Armstrong, Michael Collins e Edwin “Buzz” Aldrin. NASA/Handout via REUTERS/File Photo A

Tutti a bocca aperta e con il fiato sospeso

Un’avventura nello spazio che tenne il mondo a bocca aperta e con il fiato sospeso – anche in Italia, con la famosa “telecronaca-racconto” di Tito Stagno – e che decretò la superiorià spaziale degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica.

Una pagina incancellabile della storia del XX secolo

Eravamo così giovani, non avevamo idea di potercela veramente fare, gli astronauti e le persone di controllo della missione sono stati grandi compagni di squadra”, commenta Gerry Griffin, responsabile dell’Apollo 11.
“Avevano tutti i pulsanti pronti, anche per interrompere la missione, ma tutto è andato per il meglio, anche grazie a noi, che da giù davamo molte informazioni su come risolvere eventuali problemi… Il lavoro di squadra tra la Terra e gli astronauti è stato davvero speciale”.

Ma siamo veramente andati sulla Luna?

Quante volte abbiamo sentito questa domanda!
Ma nonostante dubbi e perplessità – mai provatI – sul fatto che l’uomo sia veramente andato sulla Luna, la missione dell’Apollo 11 rimane una pagina indelebile della storia del XX secolo e dell’intera umanità.

E poi ci sarebbe anche un ex stagista della Nasa che afferma di essere in possesso dell’unico filmato originale dell’allunaggio…

2024, ritorno sulla Luna

Dopo aver abbandonato il progetto-Luna per interi decenni – anche a causa degli enormi costi – la NASA sta pianificando un viaggio di ritorno sulla Luna entro il 2024, si chiamerà Missione Artemis, sperando di usare la superficie lunare come terreno di prova per la futura esplorazione di Marte.
E tra gli astronauti, per la prima volta, ci sarà anche una donna.

E sulla Luna ci andrà anche Amazon…

Attenzione, però: la Nasa rischia stavolta di perdere la corsa alla Luna non dall’Unione Sovietica – che non esiste più – bensì da un rivale più insidioso: Jeff Bezos. Il fondatore di Amazon, infatti, sta realizzando il progetto “Blue Moon” per andare sulla Luna prima del 2024.

L’Apollo 11 in partenza…
NASA/Handout via REUTERS/File Photo

 

W il calcio femminile!

Sono appena terminati i Mondiali femminili di calcio: per la quarta volta – la seconda di fila – li ha vinti gli Stati Uniti, battendo 2-0 in finale l’Olanda. Io, francamente, facevo il tifo per le olandesi: anche per i suoi tifosi, veramente simpatici, con quella macchia “orange” che li ha evidenziati in giro per Lione e al Groupama Stadium nei 90 minuti della finale. Ma le atlete a stelle e strisce, guidate da Megan Rapinoe e Alex Morgan, sono stati semplicemente più forti. Ma a vincere questa Coppa del Mondo femminile di calcio è stato…il calcio femminile. Io stesso sono rimasto davvero impressionato dall’alto livello delle partite disputate, sia dal punto di vista tecnico, agonistico e fisico: abbiamo visto giocatrici di talento, di forza, di intelligenza, vere e proprie atlete che non hanno niente da invidiare ai colleghi maschi. Insomma, qualcosa da invidiare si, ci sarebbe: lo stipendio. Ma questa è un’altra storia…

Soccer Football – Women’s World Cup – Group C – Australia v Italy – Stade du Hainaut, Valenciennes, France – June 9, 2019 Italy coach Milena Bertolini REUTERS/Phil Noble


Sbeffeggiato per decenni, il calcio femminile si è ripresa la sua giusta e meritata vendetta. Anche se in molti paesi nordeuropei, e negli stessi Usa, è ormai lo sport “al femminile” più seguito, in tv, e più praticato, sui campi di gioco. In Italia no: eravamo rimasti indietro, sbeffeggiando anche le poche coraggiose ragazze, che sfidando certi tabù e pregiudizi, scendeva in campo in maglietta, pantaloncini corti e scarpette con i tacchetti. Hanno cominciato cosi, in campetti di periferia, anche le ragazze di Milena Bertolini, la ct che conobbi ed intervistai nel lontano 1999, quando lei era “solo” un’allenatrice delle giovanili, maschietti, del Modena. Ne ha fatta di strada, da allora. Ne hanno fatta di strada, da allora, tutte le ragazze azzurre diventate ormai dei personaggi: da Sara Gama a Barbara Bonansea, da Cristiana Girelli ead Aurora Galli. Ma prima di loro, le apripista, le pioniere, erano stato Betty Vignotto, Carolina Morace, Patrizia Panico…
Adesso, a farne, di strada, sarà il calcio femminile. Peccato che dobbiamo aspettare altri quattro anni per il Mondiale, ma intanto ci sarà il campionato italiano, che si è arricchito delle squadre femminile di molti club maschili prestigiosi, che hanno capito che funziona. Oltrettutto, senza proteste, senza brutti falli, senza simulazioni…
Quasi quasi viene da chiederci: ragazze con il pallone, ma dove siete state finora? 

Soccer Football – Women’s World Cup Final – United States v Netherlands – Groupama Stadium, Lyon, France – July 7, 2019 Megan Rapinoe of the U.S. celebrates winning the Women’s World Cup with the Golden Boot trophy REUTERS/Denis Balibouse

Il “sogno olimpico” di Milano-Cortina si è realizzato

L’annuncio è arrivato a Losanna, nella sede del Comitato Olimpico, intorno alle 18 del pomeriggio. La candiatura italiana per i Giochi Olimpici invernali del 2026 è piu’ solida di quella svedese. Milano e Cortina hanno vinto la sfida. E hanno convinto gli 82 giudici nonostante Torino 2006 sia dietro l’angolo e nonostante Stoccolma sia un paese leader negli sport invernali (ma vorrà pur dire qualcosa se la Svezia non ha mai ospitato un’edizione delle Olimpiadi invernali).

La vittoria del tandem italiano è stata salutata con un’ondata di entusiasmo: a Cortina le campane hanno suonato a festa mentre dal campanile si srotolava un tricolore di 30 metri. A milano, in Piazza Gae Aulenti, un silenzio inquietante ha lasciato il posto a un urlo liberatorio di una folla di milanesi, assessori in lacrime inclusi.

LE REAZIONI DEL MONDO POLITICO: UNA VITTORIA BIPARTISAN

Una vittoria salutata anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si è unito all’applauso delle persone presenti al Piccolo teatro Paolo Grassi, a Milano, subito dopo l’annuncio.

Per il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, impegnato in prima fila nella partita istituzionale legata all’assegnazione dei Giochi Olimpici, ha spiegato che in certi momenti sembrava stesse “saltando tutto”. “Con Conte – aggiunge – abbiamo parlato tante volte insieme, ci siamo incontrati, anche nei momenti difficili, perchè questa candidatura ha avuto anche momenti complicati, ma noi abbiamo tenuto il punto e il risultato è arrivato”. Anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha espresso sui social la sua soddisfazione.

Sofia Goggia, Giuseppe Sala, Luca Zaia. Dietro, Luca di Montezemolo.

UN PO’ DI OSSIGENO PER L’ECONOMIA: QUALCHE DATO SU MILANO-CORTINA 2026

  • L’edizione 2026 dei Giochi invernali sarà, in linea con i dettami della Carta olimpica, all’insegna del rispetto della politica ambientale e dello sviluppo sostenibile. E su quest’ultimo fronte ci sarà un saldo economico chiaramente positivo per lo Stato. Secondo uno Studio sull’analisi di impatto economico-finanziario commissionato lo scorso inverno dal governo all’Università ‘La Sapienza’“i Giochi invernali contribuiranno positivamente alla crescita dell’economia: gli incrementi del Pil tra il 2020 e il 2028 vanno da 93 a 81 mln di euro annui. La crescita cumulata del prodotto raggiunge un massimo di circa 2,3 mld nel 2028”. Secondo l’analisi, “le uscite dell’Amministrazione Centrale per finanziare i Giochi 2026 sarebbero compensate dagli introiti diretti e indiretti connessi alle attività sviluppate attorno ai Giochi nel periodo 2020/2028”.
  • Gli investimenti previsti sono pari a circa 346 milioni: serviranno a realizzare i villaggi olimpici, i media center, interventi speicfici sugli impianti già esistenti nonchè la realizzazione di impianti nuovi.
  • I costi di gestione previsti per la realizzazione dell’evento sono pari a 1.170 milioni. Il costo contabilizzato per le Olimpiadi invernali organizzate a Torino nel 2006 era stato di 1.229 milioni.
  • Ma l’effetto positivo si misurerà anche su Pil e Occupazione: già a partire dal 2020 si registrano aumenti significativi del prodotto e dell’occupazione. Il picco in termini di Pil si registra nel biennio 2025-2026, con un aumento medio pari a 350 milioni annuali. Inoltre l’organizzazione delle Olimpiadi produce un aumento medio di circa 5.500 unita’ di lavoro equivalenti a tempo pieno, con un picco nel 2026 pari ad oltre 8.500 unita’.

 

il favoloso mondo dei “senza”

All’inizio, fu la margarina. Il primo prodotto ad essere “demonizzato” sulle cucine italiane, e anche dall’opinione pubblica, in quanto considerata troppo grassa e, quindi, ben presto sparita dalla ricette, benchè – viceversa – sia tutt’altro che sparita dagli scaffali dei supermercati. Ma ora, da diversi anni ormai, all’indice alimentare è arrivato il “maledetto” olio di palma. Praticamente tutti biscotti e le merendine pubblicizzate in tv puntano sul potere etico – e commerciale, certo – della frase magica “senza olio di palma”. Resiste solo la Nutella, visto che l’azienda produttrice, la Ferrero, ha più volte ribadito di non voler eliminare l’olio di palma dalla ricetta segreta della spalmabile più famosa del mondo, proprio per non diminuire la qualità della Nutella, che – “senza l’olio di palma non sarebbe più la stessa”, come ha dichiarato recentemente un dirigente dell’azienda di Alba. Del resto la Ferrero se lo puô permettere, resistendo pure ad un eventuale calo “etico” delle vendite…
Difficile, se non impossibile, esprimere un giudizio sul gusto dell’olio di palma, ma se rende cosi buona la Nutella, tanto male non dev’essere! Ma, piuttosto: fa veramente cosi male l’olio di palma?

“Senza olio di palma” 
Come spiega bene il sito sicurezzalimentare.it, da anni l’uso alimentare dell’olio di palma è al centro di accese polemiche, sia perchè la sua produzione comporta un forte impatto ambientale sia a causa del suo elevato contenuto di acido palmitico. Paradossalmente, è soprattutto l’impatto ambientale a colpire maggiormente i consumatori, sempre più sensibili alle tematiche legate al nostro pianeta. E ciò nonostante il problema ambientale sia stato affrontato e, almeno in parte, risolto, mettendo sotto controllo le deforestazioni selvagge e introducendo misure maggiormente rispettose degli eco-sistemi.
Eppure, soprattutto sul web, circolano ancora veementi campagne denigratorie nei confronti di quelle poche aziende, Ferrero compresa, che ancora utilizzano l’olio di palma. utilizzando slogan di sicuro effetto come “Per l’olio di palma intere foreste vengono rase al suolo e gli oranghi vengono sterminati” oppure “L’olio di palma ha ucciso 100mila oranghi“.
Il dato si riferirebbe agli ultimi 16 anni, nella zona del Borneo, in Malesia, paese che offre al mercato mondiale il 39% della produzione complessiva di olio di palma.
La demonizzazione completa dell’olio di palma è stata certificata nel 2016, quando l’EFSA (Autorità Europea della Sicurezza degli Alimenti) ha prodotto un documento secondo il quale nell’olio di palma sarebbero presenti, in quanti maggiore rispetto ad altri olii vegetali, dei cosiddetti “contaminanti”, che si formano quando i grassi sono esposti a temperature molto elevate e potenzialmente cancerogeni.

Da allora, apriti cielo e tutti “senza olio di palma”.
Ma questa è soltanto la storia più recente e più famosa del favoloso mondo alimentare del “senza”.

 
“Senza glutine”
Un’altra storia interessante è quella del “senza glutine”, peraltro legata ad una effettiva necessità alimentare da parte dei consumatori celiaci. Un prodotto “senza glutine”, per essere definito tale, deve contenere una quantità di glutine inferiore ai 20 ppm, che significa “20 parti per milione” e corrisponde ad una concentrazione di 20 mg di glutine su un kg di alimento. L’indicazione “senza glutine, specificamente formulato per celiaci” o “senza glutine, specificamente formulato per persone intolleranti al glutine” diventa obbligatoria per i prodotti inseriri nel Registro nazionale degli alimenti senza glutine, erogabili al celiaco attraverso il Servizio Sanitario Nazionale italiano. Purtroppo, dopo un’iniziale impennata dei ristoranti – ma anche dei panifici, ad esempio – “gluten free”, visto il numero comunque ridotto di celiaci, molti locali hanno tolto dal menu i piatti specifici senza glutine, sostituendoli con altri più alla moda, a cominciare da quelli vegetariani e, soprattutto, vegani.

“Senza zuccheri aggiunti”
La battaglia dell’associazione “Altro Consumo” sembra aver funzionato contro gli zuccheri aggiunti: la scritta “senza zuccheri aggiunti”, fino a qualche anno applicata in maniera ingannevole, ora sembra finalmente rispettare la realtà. Anche il fruttosio – che godeva di una immeritata fama salutistica – e il saccarosio sono ormai finiti sul libro nero.

E gli alimenti “con”?
I prodotti figli del “senza” sono sicuramente prodotti più sani e salubri, frutto di una maggiore consapevolezza di quella che è, ogni giorno la nostra alimentazione. Ma sarebbe bello avere la stessa attenzione anche per gli alimenti “con” qualcosa in più: facciamo un esempio? “Con” più potassio, e non soltanto nelle banane, già famose per il loro contenuto di potasso. Ma anche, scientificamente provato, nei fagioli borlotti, nelle patate, negli spinaci (Braccio di Ferro ha sempre ragione!), nell’avocado e nel salmone affumicato. E potremmo continuare “con” più magnesio, ferro, fosforo…
Che dite? Magari ne parliamo la prossima volta.

Albertone, romano di nascita, italiano di professione

di Luca Colantoni

È il 15 giugno. Accendo il computer e dopo aver controllato la mail e altre due cose, conoscendo a memoria questa data, mi soffermo a leggere sui social i vari commenti e auguri che in tantissimi stanno facendo ad Alberto Sordi nel giorno del suo compleanno.

Tanti anni ormai senza il mitico Albertone il cui ricordo resta sempre vivo nel cuore di tutti. A metà anni ’90, agli inizi del mio lavoro di giornalista, lo avevo addirittura conosciuto e intervistato ed è vero, lo incontri una volta e ti resta dentro, come se avessi preso parte a un suo film, ricordo come fosse ieri l’emozione di entrare nel suo ufficio al centro storico di Roma, quella di quando è arrivato ed è inciampato nella porta dell’ascensore esclamando con quel vocione: “Ahooo…e che cazzo, tutte e vorte!!!”… la colazione offerta: “volete du tramezzini, aho, nun fate complimenti”, le foto che abbiamo fatto insieme (che appena ritrovo pubblico) e ricordo la citofonata della collega che doveva intervistarlo dopo di me e lui che disse: “Ah, dev’esse quella culona di…”… ahimè ricordo anche quando arrivò la notizia della sua morte, ricordo i pianti, la radio dove lavoravo che interruppe le trasmissioni e io che per tutto il giorno lascio i miei report, allora calcistici, e divento il cronista della giornata più triste, e non solo per i romani. Subito davanti casa, poi al seguito del carro funebre fino al Campidoglio, l’allestimento della camera ardente e avere il privilegio visto che ero lì con il “tesserino” e lo ammetto, mi sono mischiato tra i parenti (gli altri, in seguito, lo avrebbero visto solo a distanza) di potergli toccare l’ultima volta la mano.
Ricordo gli occhi lucidi dei miei amici Andrea e Andrea la sera quando siamo tornati al Campidoglio e ricordo il giorno dei funerali… una sarabanda di emozioni che oltre a raccontare in radio, provai a mettere nero su bianco proprio per il giornale per il quale lo avevo intervistato anni prima (La Gazzetta della Capitale). Questo è proprio quel mio articolo: lo ripropongo oggi copiandolo e incollandolo così come è stato scritto, magari in maniera banale e impulsiva, da “ragazzetto alle prime armi”, ma (credo) con il cuore… Ciao Alberto e ancora Buon Compleanno, ovunque tu sia…

“Albertone, romano di nascita, italiano di professione”
(di Luca Colantoni)

“Aho, e sto a scherzà …”!! Chissà quanti avrebbero voluto sentire questa frase dopo che la notizia è cominciata a circolare. Magari accompagnata da quella risata e quel modo di fare tutto romano che avrebbe avuto il significato di un … ce siete cascati è? E invece no. Alberto Sordi era andato via veramente, di notte, senza troppi clamori, un po’ come è stato il suo stile di vita: sempre alla ribalta, ma schivo nelle sue cose più personali.
Roma ha capito a metà mattinata, una anonima metà mattinata di fine febbraio e subito dopo il tam tam di radio e televisioni si è creata una folla spontanea sotto la residenza di colui che per i romani aveva fatto molto, rappresentandoli nel mondo in tutte le sfaccettature. Poi, in 500mila alla camera ardente al Campidoglio, in fila, silenziosi, commossi. Quindi i funerali, gli stessi 500mila, forse di più… e quella folla è stata un atto dovuto, un ringraziamento, insomma, un vero e proprio atto d’amore verso chi aveva riversato fiumi d’amore verso la città eterna.
“Albè, sto film proprio nun ce lo dovevi fa vedè …”, è stato uno dei tanti commenti della gente, commossa, in quella Piazza Numa Pompilio gremita poco dopo la triste notizia. In tantissimi hanno portato dei fiori, altri piangevano, molti attaccavano al muro dei biglietti, altri ancora erano pronti a ricordare le battute più famose dei suoi film.
Già, le battute, entrate di diritto in quella zona che per convenzione definiamo il mito, ma che prima di tutto sono entrate a far parte della quotidianità. Alzi la mano chi di fronte ad un piatto di spaghetti non ha mai esclamato almeno una volta: “M’hai provocato e io ti distruggo, me te magno…”. E ancora, guardando l’orologio, a quanti di noi viene spontaneo dire: “Sor Marchese, è l’ora…”… la stessa frase-epitaffio che ha voluto sulla sua tomba…
Sordi ha lasciato una eredità pesante da raccogliere: 190 film nei quali ha rappresentato tutto ed il contrario di tutto, i suoi personaggi erano per la maggior parte romani, ma lui era romano di nascita e italiano di professione e quindi la sua forza è stata quella di far vedere al mondo intero chi è l’Italiano, come la pensa, come agisce nelle varie situazioni della vita, come lavora, come sogna e come è fiero di esserlo.
Quest’ultima affermazione riporta alla mente uno dei capolavori del cinema, “La Grande Guerra”: insolente, imboscato, poca voglia di partecipare all’evento bellico, ma alla fine vedendolo di fronte al plotone d’esecuzione, morire pur di difendere un amico, milanese, un ideale e una bandiera, ha fatto tirare fuori i fazzoletti a molti. E la tirchieria? Non scherziamo, è la classica leggenda popolare.
Lui era nato a Piazza San Cosimato, in mezzo alla gente, e da qui è nato il suo saper gestire il denaro guadagnato all’inizio con grande fatica. Ultimamente aveva donato un terreno per la costruzione di un ospedale, manteneva dei bambini con una adozione a distanza, ma forse i più non lo sapevano, ma lui voleva così. Aveva creato una fondazione per i giovani attori affinché venissero scoperti e non abbandonati. Avrebbe voluto vedere Roma, la sua città, libera dal traffico con la rivalutazione dei suoi monumenti, è stato Sindaco per un giorno e se fosse stato possibile, avrebbe firmato tutti i documenti necessari per farlo. Era tifoso della Roma, ma amato anche dai tifosi della Lazio … da tutti, nessuno escluso … !!!
In una famosa battuta tratta dal Marchese del Grillo, lui nobile si rivolge al popolo dicendo “…Io so io e voi nun siete un c…”!! Non lo pensava di certo, era solo un modo per far ridere l’ennesima volta.
Il ricordo personale è quello della prima intervista “seria e vera” fatta agli inizi della mia carriera giornalistica e quindi, avendolo incontrato, l’emozione non può che salire alle stelle, e sarà così sempre, anche in futuro, a distanza di anni: quaranta minuti di chiacchiere, splendide, importanti, divertenti e … una stretta di mano difficile da dimenticare con una foto che porto nell’album dei ricordi più cari.
Leggendo la strofa di una sua canzone scritta mentre doppiava il mitico Ollio, starà guardando quei famosi“asini che volano nel cielo”… ma questi asini, di colpo, si saranno trasformati in angeli. Angeli pronti ad accoglierlo ed accompagnarlo nel paradiso dei grandi.

Se Greta andasse a fare un giro a Pinerolo…..

Per “salvare il Pianeta” fa concretamente di più Greta Thunberg, la giovane e grintosa attivista svedese contro i cambiamenti climatici o Acea Pinerolese?

La domanda è curiosa, stuzzicante, persino di moda. Ma è meglio approfondire quello che avviene nella realtà. E la realtà vede Pinerolo e il territorio pinerolese sempre più all’avanguardia nei progetti “green”. Molto del merito, in realtà, va dato proprio ad Acea Pinerolese, la SpA di proprietà pubblica (ne sono soci 47 comuni, il comune di Pinerolo ne detiene una quota del 32,17%) che si occupa di energia, ambiente e acqua.

Da appena qualche settimana, era il 16 aprile 2019, l’azienda ha coinvolto il territorio pinerolese nel diventare “Oil Free Zone”, grazie ad una delibera di 23 comuni che, di fatto, hanno dichiarato di voler andare nella direzione della riduzione dei combustibili fossili. Ma gli obiettivi sono sempre più ambiziosi, l’asticella è sempre più in alto.
Nella sede vintage, ma funzionale, di Acea a Pinerolo, incontriamo l’ingegner Francesco Carcioffo, dal 1991 Amministratore Delegato e Direttore Generale dell’azienda, nonchè “padre saggio”, dice lui, di Acea. “Il nostro prossimo passo sarà la Comunità Energetica sperimentale”, ci dice il numero uno di Acea. “Partiamo in piccolo: tre-quattro aziende che producono energie e cinque-sei che la consumano. Direi che è già pronta: basterà aspettare ancora qualche mese”.

Ma cos’è una Comunità Energetica?
È un mondo tutt’altro che virtuale dove si può vendere, comprare e scambiare energie rinnovabili (ad esempio: il fotovoltaico). Sembra un mondo tutto nuovo e innovativo, ma nella realtà esisteva già agli inizi del ‘900: poi, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica negli anni Sessanta, le Comunità Energetiche vennero proibite. Se ne salvò solo una manciata, qua e là per l’Italia, tra il Trentino e il Nord della Lombardia. Poi, finalmente, una direttiva europea ripristinò le Comunità Energetiche, riconoscendo il valore sociale ed economico. Quindi l’Italia fa una legge che le autorizza, demanda alle Regioni per una legge ad hoc e la Regione Piemonte, anche ispirata da Acea, è la prima (e finora l’unica) in Italia ad aver legiferato (Legge 122018) su una materia cosi specifica e complessa. E, secondo quanto previsto, una Comunità Energetica può esistere solo all’interno di una “Oil Free Zone”, appena realizzata nel Pinerolese. Tutto quadra.

“E tutto va verso il rispetto dell’indirizzo europeo sul tema delle energie rinnovabili”, aggiunge l’ingegner Carcioffo. E all’Europa, Acea Pinerolese, ci tiene eccome: non a caso, il 24 aprile 2017, l’azienda è stata premiata al Parlamento Europeo di Bruxelles come “campione di economia circolare in Europa”. “Ci ha premiato proprio il Vice Presidente della Commissione europea Jyrki Katainen”, ricorda con orgoglio Carcioffo.
Ma quello è stato un punto di partenza, non di arrivo, per Acea, vera apripista delle energie rinnovabili. “Fa parte del nostro Dna. E nel concreto, la Comunità Energetica esiste già”, riprende l’A.D. di Acea, “e si chiama CPE: Consorzio Pinerolo Energia. CPE si propone, come obiettivo, lo sviluppo del territorio pinerolese. Formalmente ne fanno parte 66 aziende, che raggruppano a loro volta altre entità, fino ad arrivare a 4000 soggetti coinvolti. Tra cui la Diocesi di Pinerolo, il Politecnico di Torino, l’Adapt di Michele Tiraboschi e che fu di Marco Biagi… E’ un sogno che sta diventando realtà e a cui stanno lavorando 20-30 persone, fra cui Legambiente… Ci siamo quasi”.

Il Numero Uno di Acea, l’ing. Francesco Carcioffo.

Il presente: il Polo Ecologico
Se la Comunità Energetica è il futuro prossimo venturo, il presente si chiama Polo Ecologico. Sono passati poco più di vent’anni da quella volta che…
“La nostra discarica si stava esaurendo”, ricorda Francesco Carcioffo. “E cosi spedii alcuni nostri ingegneri-esploratori in giro per il mondo a cercare e trovare una soluzione. Tornarono con il caso di Vaasa, una città finlandese con forte presenza di svedesi. Proprio lì avevano trovato un batterio che si mangiava i rifiuti organiici e li trasformava in biogas… Ho comprato il brevetto per conto di Acea, il costo totale di realizzazione poi dell’impianto è stato di quasi 40 miliardi di lire… E ringrazio ancora i comuni che dissero ok senza battere ciglio… L’impianto fu inaugurato nel 2003″.

Ma come funziona?
“Ecco la catena di lavoro”, spiega Carcioffo. “Arriva il rifiuto organico, avviene la pulizia di tutto ciò che non è organico, soprattutto i sacchetti, se non sono biodegradabili. Poi i batteri termofili, in un grande tino anaerobico, cioè in assenza di ossigeno, a 55 gradi, trasformano i rifiuti organici in biogas. In natura, nella discarica ad esempio, servirebbero 20-30 anni, e con dispersione di parte del biogas in atmosfera… Noi lo facciamo in 14 giorni! Ed è tutto captato il biogas, perchè dai cilindri stagni non esce neppure una molecola. Con i fanghi si ottiene il compost e il biogas serve per il riscaldamento. In pratica, Pinerolo si scalda con i propri rifiuti. Senza bisogno di un inceneritore!”
Ma non è tutto, perchè Acea Pinerolese vuol essere ancora più “bio”. Ed ecco, infatti, che arriva il biometano. Anche qui urge spiegazione dell’ingegner Carcioffo: “Il biogas è composto da metano più Co2, etano, butano, propano… mentre noi, dal 2014, primi in Italia, abbiamo l’impianto per trasformare il biogas in biometano: e oltre il 95% è assolutamente metano. Abbiamo anche la pompa di metano che utilizziamo per fare il pieno agli automezzi di Acea. Più ecologici di cosi…”, gongola Carcioffo.

Giornalista in visita alla sede dell’Acea, a Pinerolo.

I progetti dei prossimi due anni
Infine, il 23 maggio è stata la Giornata Nazionale della Bioeconomia, il “Bioeconomy Day”, coordinata da Cluster SPRING con Assobiotec-Federchimica, a cui Acea Pinerolese ha aderito in qualità di realtà all’avanguardia sul fronte della nuove frontiere bioeconomia. E sono numerosi i progetti di ricerca che vedono l’azienda pinerolese coinvolta su questo tema. Il Polo Ecologico Acea Pinerolese sarà per due anni il Centro della sperimentazione delle più avanzate soluzioni di Chimica Verde e sulle bioenergie a livello nazionale ed europeo. In altre parole, si testeranno le soluzioni che nel breve medio termine potranno diventare i più grandi driver per l’economia e per una circolarità sempre più efficiente.

Mi sa proprio che bisogna invitare la giovane e grintosa Greta Thunberg a fare un giro a Pinerolo e dintorni…