Eh già, perchè a spingere il giovane Antoon Van Dyck (si pronuncia ‘fan deic’) fu proprio il suo mentore e Maestro Pieter Paul Rubens (1577-1640), che nella sua bottega d’arte di Anversa, ad inizio Seicento, indirizzò l’allievo a specializzarsi nei ritratti. Di fatto, togliendosi di torno un pericoloso concorrente come paesaggista – Rubens aveva intuito il talento di Van Dyck – e relegandolo ad una più oscura carriera di ritrattista. Infatti, Rubens è rimasto nella storia della pittura, fiamminga e non solo, e almeno di nome lo hanno sentito nominare in tanti, mentre Van Dyck è finito, ingiustamente, nell’oblio.
Per fortuna, a rendergli giustizia, ci sta pensando la splendida mostra allestita dai Musei Reali alla Galleria Sabauda di Torino, in cartellone fino al 17 marzo 2019 e dal titolo non casuale: “Van Dyck. Pittore di corte”. Una professione che, alla fine, aveva stufato lo stesso artista, a tal punto che tentò più volte di riciclarsi come paesaggista e ottenere altri commesse di lavoro, senza riuscirvi, in quanto ormai era credibile – e quotatissimo, in verità – solo come ritrattista. E in questa veste, Antoon Van Dyck, scomparso nel 1641 ad appena 42 anni, è stato un autentico giramondo, pittore ufficiale di alcune delle più grandi corti d’Europa, ritraendo nelle sue opere principi, Re, Regine, gentiluomini e nobildonne delle più prestigiose famiglie della nobiltà dell’epoca, dagli aristocratici genovesi ai reali di Torino, passando per altre importanti casate europee. compreso un soggiorno lungo sei anni in Italia (dal 1621 al 1627: Venezia, Torino, Roma, Palermo, Milano, Firenze, Bologna, Mantova e soprattutto Genova) e le cui memorie sono stati da lui riportate in un celebre taccuino, ora conservato al British Museum di Londra.
Suddivise in un percorso espositivo in quattro sezioni, le opere esposte alla Galleria Sabauda sono 45 tele e 21 incisioni, compresi quattro quadri del Maestro Rubens, tra cui il celebre “Susanna e i vecchioni”. Quelli di Van Dyck sono ritratti molto belli e affascinanti, realizzati con grande perfezione di tecnica e con innovazioni stilistiche, come gli sguardi di trequarti, nuove misture di colori e diverse profondità. Ma proprio perché sono “solo” ritratti e non paesaggi, magari impressionisti, non possiamo definirli quadri memorabili. Molto belli e ben fatti si, memorabili non proprio.
E, in effetti, questa mostra che comunque vale interamente il prezzo del biglietto (12 euro se avete qualche riduzione, altrimenti 14 euro, più il costo dell’indispensabile audio-guida) si ricorda soprattutto per qualche particolarità.
DA TORINO A WINDSOR
Ad esempio, in tutta la mostra c’è un solo quadro che non può essere assolutamente fotografato: è un ritratto dei tre figli di Carlo I d’Inghilterra, di proprietà privata della Regina Elisabetta d’Inghilterra, che lo ha staccato personalmente da una parete del Castello di Windor per prestarlo alla Galleria Sabauda solo a patto che non venisse fotografato. Questione di privacy. E, infatti, un solerte guardiano controlla che nessuno faccia la foto a quel quadro regale, altrimenti bisognerà pagare profumati diritti alla Regina…
Inoltre, di fronte a questo quadro “proibito” ce n’è un altro (che si può fotografare) che sembra esattamente la sua copia, sempre con protagonisti gli stessi tre figli di Carlo I (si tratta, infatti, di una seconda versione, datata 1636, appena qualche mese dopo la prima versione) e che lascia al visitatore un dubbio: quali sono i maschietti e quali le femminucce? Per la storia della pittura: una femmina e due maschi (Mary, Charles e James), che indossano, però, una cuffia e abiti femminili, tipici per l’epoca. Un’opera commissionata dalla Regina Henrietta Maria, desiderosa di far conoscere alla sorella Cristina di Francia, moglie del Duca di Savoia Vittorio Amedeo I, l’aspetto dei propri figli. Il quadro di Van Dyck fu così spedito direttamente a Torino.
UN CAPOLAVORO DELLA RITRATTISTICA
Molto bello il ritratto della Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, esponente di spicco della nobiltà genovese, moglie del ricco mercante Giacomo Cattaneo. Considerato un capolavoro della ritrattistica di tutti i tempi (e utilizzato anche come locandina della mostra), il quadro spicca per l’eleganza della figura, l’ambientazione scenografica, la ricchezza dell’abito e la presenza insolita di un servitore che sorregge l’ombrello della gentildonna…
INFANTA DI SPAGNA IN “FOTOCOPIA”
Infine, i tre curiosi quadri dedicati all’Infanta di Spagna Isabella Clara Eugenia, ritratta in abito da clarissa (entrò nelle suore di Santa Chiara dopo la morte del marito, l’arciduca Alberto d’Austria).
Il visitatore può persino rimanere un attimo sconcertato, vedendo tre dipinti che sembrano la fotocopia l’uno dell’altro! Poi, guardando meglio, si notano le differenze…
Arrivata attorno ai 60 anni, l’Infanta di Spagna, divenuta governatrice dei Paesi Bassi spagnoli, viene ritratta due volte da Van Dyck prendendo spunto dall’originale di Rubens del 1625, ma senza giungere ai livelli di intensità ritrattistica del Maestro.
IL BERNINI BEFFA VAN DYCK
Infine, per chiudere in bellezza, troviamo il calco del busto di Carlo I d’Inghilterra realizzato nientepopodimenoche da Gian Lorenzo Bernini nel 1636 e andato distrutto in un incendio. Pensate che per ottenere il proprio ritratto dall’impegnatissimo scultore, il Re dovette inviargli tre ritratti fatti proprio da Van Dyck che lo ritraevano di fronte, di profilo destro e di profilo sinistro. Anche stavolta, Van Dyck lavora alla perfezione, come un grande “tecnico”, ma l’artista – cosi come era stato per Rubens – è sempre “l’altro”, in questo caso il Bernini. Un destino poco fortunato per Van Dyck, che tra i posteri meriterebbe maggior considerazione. Pian pianino, anche grazie alla mostra alla Galleria Sabauda, ci sta arrivando.