QUESTA PAZZA (E INFUOCATA) ESTATE

Percorrendo in auto tutto lo Stivale, dalla Calabria fino al Piemonte, in una assolata giornata subito dopo Ferragosto, la cosa più evidente che ho notato è stata la notevole quantità di incendi (ne abbiamo visti almeno sette-otto) che hanno costeggiato il nostro viaggio. Piccoli o grandi focolai, fumo nero o fiamme rosse, Canadair gialli costantemente in volo, i nostri “angeli dal cielo”: possiamo proprio dire che è stata l’estate più infuocata degli ultimi tempi, ma nel senso peggiore del termine. Molti, troppi incendi, quasi tutti di origine dolosa, colpa dei maledetti piromani. In Portogallo è stata una strage, con intere famiglie inghiottite con le loro macchine dal fuoco, ma in Italia – un po’ dappertutto, in Puglia e in Sicilia in particolare – i roghi hanno devastato ettari ed ettari di verde, che ora non c’è più. Se poi, come è successo a Ragusa, si scopre che ad appiccare questi incendi sono stati i vigili del fuoco volontari (per poter poi guadagnare 10 euro all’ora nello spegnimento dello stesso fuoco), ci cascano le braccia dalla disperazione.
E’ stata un’estate pazza e infuocata anche per questioni più strettamente legate al clima. In Italia, questa estate è stata giudicata la più calda degli ultimi quattordici anni, al pari di quella altrettanto bollente del 2003. Tutta colpa di Caronte, la bolla di caldo africano a cui è stato dato il nome dell’infernale traghettatore. Ed è stato proprio un luglio infernale, almeno in Italia, spazzato via soltanto dall’arrivo del ciclone Circe, Dea della mitologia greca. In altri paesi, come la Germania, il caldo anche insolito per queste latitudini, si è intervallato con piogge, temporali torrenziali, alluvioni e innumerevoli danni. Cicloni e trombe d’aria non sono mancate neppure nel Belpaese: prima di Ferragosto una tromba d’aria ha sferzato la bella spiaggia di Jesolo, in Veneto, provocando anche lì danni incalcolabili. Poi c’è il rovescio della medaglia: la siccità. Precipitazioni in calo anche del 75% rispetto agli anni scorsi, in alcune zone d’Italia: in Piemonte, in Liguria, in Emilia-Romagna, in diverse zone del Sud Italia. Con inevitabili conseguenze soprattutto sull’agricoltura.
La colpa di questo clima impazzito? Secondo gli esperti, naturalmente, la responsabilità è del riscaldamento globale (“Global Warming” in lingua inglese) della Terra. L’allarme parte addirittura dal Polo Nord: la stratosfera della calotta artica polare si starebbe riscaldando di ben 40 gradi. In pieno inverno, ad esempio, la temperatura dello strato di atmosfera che sovrasta il Polo Nord scenderebbe a meno 40 gradi, anziché i quasi meno 80 abituali. Il riscaldamento della calotta polare porterebbe al decentramento delle aree più fredde verso l’artico europeo: quindi in gennaio potrebbe far più freddo in Germania e Austria piuttosto che in Svezia e Finlandia. Una specie di Grande Freddo causato dal Grande Caldo. Assurdo, ma vero. E d’estate il caldo diventa ancora più…caldo. Quindi, secondo gli esperti, si prevedono per i prossimi anni estati sempre più roventi e inverni sempre più gelidi. Sarà proprio così? Qualche avvisaglia, in effetti, l’abbiamo captata. 
Anche il mare risente del riscaldamento: l’acqua marina diventa troppo calda, creando scompensi impensabili tra gli ospiti stessi delle acque, pesci e vegetazione. Lo stesso accade, per esempio, ai Tropici: la temperatura troppo alta dell’acqua sta distruggendo le barriere coralline.
Qualche responsabilità ce l’avrà anche l’Uomo, no? Certo, pare proprio di si. Ci sono fiori di studi scientifici che confermano l’influenza dell’attività umana sui cambiamenti climatici. Basta pensare alla nostra vita di tutti i giorni: i fumi delle nostre auto, delle nostre fabbriche, il nostro inquinamento. Gli effetti dell’anidride carbonica (Co2) sulle temperature medie del globo sono chiarissimi: gli studi sull’Effetto Serra hanno dimostrato con evidenze indiscutibili che l’incremento della percentuale di Co2 nell’atmosfera è un fattore chiave nell’incremento delle temperature. Il fenomeno è causato dall’effetto “schermo” che l’anidride carbonica svolge nei confronti delle particelle di aria calda che risalgono verso l’esterno, impedendo loro di raggiungere la stratosfera e di disperdere il calore in eccesso nello spazio. Esattamente come le copertura di una serra, permettono ai raggi solari di passare, e di scaldare l’interno, ma non al calore di dissiparsi.
Ma addirittura c’è chi pensa che in realtà i Governi del Mondo stiano facendo il doppio gioco: è il caso del generale Fabio Mini, già capo delle forze armate Nato in Kosovo, che parla apertamente di “guerra climatica” voluta dai Potenti per motivi biecamente economici, attraverso l’utilizzo di agenti chimici ad alterare il clima. Il generale ne è convinto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa. A noi, questa interpretazione, puzza alquanto di bufala complottistisca, ma tant’è- Ci interessano prosaicamente di più le bombe d’acqua che ci piovono sempre più spesso giù dal cielo. Ma probabilmente, a questi e ad altri fenomeni naturali non dovremo far altro che abituarci e conviverci. 

IL MERAVIGLIOSO SENSO DELLA FAMIGLIA

Questi 5-6 giorni che ho trascorso tra Calabria e Sicilia sono stati formidabili dal punto di vista turistico e, soprattutto, umano. Ogni anno, da decenni (da quando se ne sono partiti per il fenomeno chiamato emigrazione), nella zona delle Serre, nel Vibonese, una “giungla” ricca di vegetazione a quota 700 metri, di non facile accessibilita’, la famiglia di mia moglie si ritrova per un rendez-vous familiare meraviglioso, all’insegna dei ricordi e della nostalgia di quando si era più giovani, con un commovente attaccamento alla propria terra. Quest’anno, per una particolare celebrazione familiare, i “quasi” 100 anni di zia Immacolata, ci siamo ritrovati (mi ci metto in mezzo pure io!) in oltre 100 parenti, 30 dei quali provenienti dagli Stati Uniti, 5 dall’Australia, altri dalla Germania, da svariate zone d’Italia o, semplicemente, da contrada Ariola, comune di Gerocarne, provincia di Vibo Valentia, un tempo provincia di Catanzaro.
Tutti legati da…legami indissolubili di sangue con la Calabria.
Tutto per questo meraviglioso senso della famiglia. Una eccellenza “Made in Sud” che dovremmo esportare ovunque.
Non so se e quando si ripetera’ un evento cosi grandioso e forse irripetibile: ma io ho fatto benissimo a partecipare.
Me lo porterò per sempre nel cuore.

ACCONCIATURE…DA GUERRA

Ci sarebbe veramente poco da ridere, visti i venti di guerra che stanno soffiando tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti (ma potremmo dire: il Resto del Mondo). Per sdrammatizzare, ma non è facile, proviamo a fare cosi: già i capelli dei due leader (l’americano Donald Trump e il coreano Kim Jong-un) sono terribili per conto loro, nemmeno vogliamo immaginare cosa potrebbe accadere (nella realtà, ai soldati e ai civili) in caso di conflitto. Limitiamoci, perciò, a dire: queste qui sono proprio acconciature…da guerra! Prima cambiate registro, cari Trump e Kim, e fate la pace. Poi cambiate barbiere….

FANTOZZI? LA MASCHERA TRAGICA DELL’ITALIANO MEDIO

Se se ne va il ragionier Ugo Fantozzi – per sempre, senza ritorni cinematografici – allora vuol dire che se n’è andato anche un pezzetto di noi, della nostra vita, almeno delle nostre serate televisive piene di repliche estive, tra le quali – tra le più sopportabili – proprio quelle dei film di Paolo Villaggio. Lui, il popolare attore genovese, ci ha lasciati il 3 luglio scorso: avrebbe compiuto 85 anni a dicembre. Le sue maschere, tipiche dell’italiano medio, viceversa non ci lasceranno mai. Il ragionier Ugo Fantozzi, certo. Ma anche Giandomenico Fracchia, con il suo nemico-capoufficio Gianni Agus e con la terribile poltrona a sacco. E prima ancora il professor Krantz, tedesco di Germania, lui sì fuori dagli schemi italici, ma in realtà pur sempre l’immagine di come noi italiani vediamo (anche oggi?) il vicino “crucco”. Ma si fa per ridere, direbbe Villaggio. Che, dicono, da buon genovese non fosse granché simpatico e, peggio, poco disposto a fare l’imitazione del suo personaggio più famoso quando era “in libera uscita”, lontano dai set del cinema. Anni fa, un amico di stanza a Londra, se lo vide capitare davanti nel locale italiano dove lavorava, il famoso “Panino”: Paolo Villaggio era in Inghilterra per le riprese del film “Io no spik inglish”, una simpatica commedia nella quale lui recitava il ruolo del dirigente d’azienda alle prese con un corso d’inglese insieme a compagni di classe quindicenni. Il mio amico mi raccontò che Villaggio entrò in quel locale per mangiale un frugale panino e per vedersi la partita dell’Italia in tv, ai mondiali di calcio. Tutti a salutarlo, tutti ad omaggiarlo, tutti a chiedergli foto, autografi e imitazioni tipo “Com’è umano lei!” o “E’ una cagata pazzesca!”, ma lui si rivelò quanto mai poco disponibile e perfino antipatico, come se la sua popolarità – grazie ad un personaggio un po’…sfigato – gli stesse stretta, parecchio stretta. E adesso tutte le volte che il mio amico rivede Villaggio in tv, esclama: “Che antipatico che è!”.
Antipatie o simpatie personali a parte, Paolo Villaggio è stato uno degli attori più amati del cinema italiano, almeno da oltre quarant’anni a questa parte, quando (nel 1975) uscì il suo primo film, Fantozzi, diretto – peraltro – da un grande Luciano Salce. Fu un successo incredibile, sulla scorta del successo dei suoi libri dedicati all’umile ragioniere e alla sua sgangherata combriccola d’ufficio e grazie anche alla sua popolarità televisiva di quegli anni, di cui io stesso ho memoria in certi sabati sera da bambino. Ma Fantozzi fu un trionfo al di là di ogni previsione. Nei suoi dieci episodi (i primi tre sono fantastici, gli altri un po’ meno), Paolo Villaggio ha fatto ridere, ha inventato neologismi, ha lanciato personaggi imprescindibili (la signora Pina, Filini, la signorina Silvani, la figlia Mariangela), ha fatto amaramente riflettere e ci ha fatti specchiare: come se dentro di noi, in ognuno di noi, ci fosse nascosto un pezzo di Fantozzi, con nuvoletta “fantozziana” incorporata.
Modestamente, mi ritengo un cultore di Fantozzi e, in generale, di Paolo Villaggio. Ho letto i suoi libri (ora ripubblicati, con discutibile tempismo, in una trilogia da…antologia), lo guardo e lo riguardo sempre volentieri, anche in film che non sono esattamente dei capolavori: da “Rimini Rimini” a “Fracchia la Belva Umana”, dalle “Comiche” a “Scuola di Ladri”, fino a “Ho vinto la Lotteria di Capodanno”, al bel “Io Speriamo me la cavo” e nella sua intensa interpretazione ne “La Voce della Luna”, l’ultimo film di Fellini. Per un certo periodo ho pensato che se Paolo Villaggio fosse stato americano e si chiamasse Paul Village, forse sarebbe stato osannato in tutto il mondo come un genio della comicità, quasi un Woody Allen. Poi mi sono reso conto Villaggio è troppo italiano per doverlo condividere con altri. E a lui, francamente, penso fregasse poco della sua popolarità.
Ho sempre trovato un filo, bello grosso a dire il vero, di malinconia nella comicità di Paolo Villaggio, un senso di “tragicomico” – o semplicemente tragico – che ha attraversato, da quello che si legge della sua biografia, anche un parte della sua vita. Quella vera, non quella cinematografica. Come dire: forse ha fatto più ridere di quanto non abbia riso lui. Speriamo sia contento almeno di questo: di averci lasciato in dote la sua immortale capacità di farci sorridere. E, per una volta tanto, per un genovese come lui, lo ha fatto senza parsimonia. 

LA GRANDE BELLEZZA O LA GRANDE BRUTTEZZA?

Qualche sera fa, in tv, ho intravisto un documentario dal titolo “La Grande Bruttezza” e ho subito intuito, dalle prime immagini, che si trattava di un filmato sulle condizioni di Roma, la nostra capitale. Il titolo, inevitabilmente – e anche senza troppa originalità – faceva il verso al film “La Grande Bellezza”, con il quale il regista Paolo Sorrentino, tratteggiando una dolce vita più moderna che però non c’è già più, ha vinto il premio Oscar. Il docu-film ha messo in risalto – con interviste a persone esperte di vari settori e che hanno pure lavorato al servizio del Comune – i tanti, mille problemi che angustiano Roma, con qualche riferimento di troppo (a parer mio) all’attuale recente gestione politica in Campidoglio, sede dell’Amministrazione Comunale. I problemi? La sporcizia. Le buche nelle strade. Il traffico caotico. La corruzione. Mafia Capitale. Le polemiche sui falsi centurioni romani. L’acqua razionata. E via discorrendo. Problemi enormi ed altri più piccoli, ma pur sempre problemi. Cose vere, intendiamoci: non inventate. Ma è perfino troppo facile sparare su Roma, sui suoi sindaci (di tutti i colori) che si sono succeduti negli ultimi venti e passa anni, sul “sistema-Roma”, marcio e corrotto. Di Roma, si può dire tutto il peggio possibile: sembra quasi permesso, quasi obbligatorio, come uno sport nazionale. Come le Fiat che fanno schifo, come Trenitalia sempre in ritardo, come Alitalia sempre in bolletta. Parlare male di Roma, insomma, non fa nemmeno più notizia. Ed è forse per questo che il documentario “La Grande Bruttezza” l’ho trovato piuttosto scontato e prevedibile. Soprattutto per me che, giusto qualche giorno prima, sono stato a Roma per una breve vacanza in compagnia di mia moglie, che a 40 anni non l’aveva mai visitata. Ma si può? E allora abbiamo rimediato.
Facendo – pur nella mia modestissima conoscenza della città – da Cicerone, devo ammettere che ci siano trovati molto bene, scoprendo (e riscoprendo, nel mio caso) una città più pulita del previsto, più organizzata del previsto, meglio servita del previsto, con mezzi pubblici efficienti e puntuali (anche fino al mare di Ostia). Saremo stati semplicemente fortunati? Tutto merito dei nostri “percorsi da turisti”? Forse entrambe le cose. In realtà, abbiamo usato la metro, gli autobus, i nostri…piedi e siamo stati soprattutto in centro e nelle zone limitrofe. E lì mi è piaciuto. Non solo passeggiare al tramonto tra Piazza Venezia, i Fori Imperiali e arrivare al Colosseo o godendoci uno strepitoso piatto di cacio e pepe di fianco alla Fontana di Trevi, ma “vivendo” anche le vie meno conosciute, ma più vive e reali, della città. A noi Roma è piaciuta. Molto. “La Grande Bellezza”, davvero. Sicuramente si può fare meglio nella gestione amministrativa della città, io non sono nessuno per poter dire come si fa e dove si deve intervenire e da dove cominciare, immagino soprattutto a partire dalla periferia, dalle periferie, degradate, di cui tanto si parla. Ecco, se qualcuno mi invita e mi fa lui stesso da Cicerone, mi riprometto – la prossima volta – di visitare anche la periferia, le periferie romane. Avrò sicuramente più materiale per risolvere questo dilemma su Roma: Grande Bellezza o Grande Bruttezza?
Io tifo per la prima. 

 

CIAO, RAGIONER FANTOZZI!

CI HAI FATTO RIDERE TANTISSIMO, ANCHE CON UN FILO DI UMANA AMAREZZA, CARO PAOLO VILLAGGIO. ADESSO SIAMO SICURI CHE FARAI RIDERE TUTTI LASSU’ IN CIELO. DEL RESTO IL FILM “FANTOZZI IN PARADISO” LO AVEVI GIA’ FATTO…NO?
E NON DIMENTICARTI DI FRACCHIA E DEL PROFESSOR KRANTZ….

TEMPI DURI PER LE EX MOGLI

Piccola rivincita maschile, soprattutto degli ex mariti, grazie alla sentenza 11504 della Corte di Cassazione datata 10 maggio 2017: pronunciandosi sul caso di un divorzio “eccellente”, quello tra l’ex ministro delle finanze (governo Monti) Vittorio Grilli e la moglie Lisa Lowenstein, di professione imprenditrice, i giudici hanno respinto il ricorso della donna, con il quale reclamava l’assegno di divorzio già negatole nel 2014 dalla Corte d’Appello di Milano, che aveva ritenuto incompleta la documentazione e, soprattutto, valutato che il marito, dopo la fine del matrimonio, aveva subito una considerazione “contrazione” dei redditi. Pronunciandosi su questo caso, la Cassazione spiega con un apposita nota il significato della sentenza: “La prima sezione civile – si legge – ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede”. La Corte ha ritenuto, quindi, che il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio non sia più un orientamento “attuale” con la sentenza di divorzio e che il rapporto matrimoniale si estingua non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale. “La fine di un incubo”, ha dichiarato Grilli, “Una sconfitta per tutte le donne”, ha commentato la ex moglie.
Un’autentica rivoluzione del diritto di famiglia. Un terremoto giurisprudenziale. Non hanno esitato a definirlo così i più famosi avvocati matrimonialisti (e divorzisti) d’Italia, tra cui Gian Marco Gassani, presidente dell’associazione dei legali che si occupano delle pratiche di divorzio e dei sempre più frequenti contratti pre-matrimoniali. In Italia, dunque, sono arrivati i tempi duri per le ex mogli. Soprattutto le ex moglie di personaggi celebri e facoltosi. Fece scalpore, nel 2014, la pratica di divorzio del calciatore Andrea Pirlo, costretto a versare 55 mila euro al mese alla ex moglie Deborah, cosi suddivisi: 40 mila euro per la signora, 15 mila per il mantenimento dei due figli della ex coppia. Certo, il calciatore se lo poteva permettere, ma la cifra di 660 mila euro all’anno rimane comunque un bel gruzzolo. Quasi un trattamento di fine rapporto, verrebbe da dire. Con le novità introdotte dalla Cassazione, tuttavia, quel assegno di mantenimento – improntato in modo evidente a conservare lo stesso tenore di vita di prima – sarebbe stato decisamente più magro. Ci ha provato un altro personaggio, ancora più famoso, a sborsare meno, ma a Silvio Berlusconi non è andata bene: la Cassazione, confermando una interpretazione non semplicissima delle norme, ha ribadito che Berlusconi è uno degli uomini più ricchi del mondo ed è rilevante la disparità dei suoi redditi rispetto a quelli della moglie Veronica Lario. Detto, fatto: il Cavaliere dovrà continuare a pagare due milioni di euro al mese (24 milioni all’anno!) alla ex signora Berlusconi.
Dove sta la fregatura? Tenore di vita si o tenore di vita no? Probabilmente dipende dalla differenza giuridica tra divorzio e separazione: i giudici rilevano che la separazione non elide la permanenza del vincolo coniugale e quindi l’ex coniuge più facoltoso – diversamente dal divorzio – ha ancora il dovere di garantire al partner separato lo stesso tenore di vita del matrimonio.
Tenore di vita si, tenore di vita no, divorzio si, separazione no. Non è facile districarsi tra questi cavilli giuridici. Se vi capita – anche se non siete calciatori, imprenditori o politici e le cifre non saranno così astronomiche – vi servirà un avvocato divorzista di quelli buoni. Sicuro.
Ma, giusto per avere un termine di paragone, vediamo quello che prevede la legislazione in Germania. Oltre all’obbligo di mantenimento dei figli, in caso di divorzio vi è l’obbligo di mantenimento alimentare di uno dei due coniugi in diverse circostanze: se non può lavorare perchè si occupa di un figlio, se è affetto da malattia al momento del divorzio, se a causa dell’età non può più lavorare, se frequenta un corso di formazione e riqualificazione professionale che assicuri un sostentamento duraturo, fino a quando non trovi una occupazione adeguata, se il reddito derivante da questa occupazione risulti comunque insufficiente per i costi di sostentamento. Insomma: i tedeschi si confermano tali, con una visione molto realistica e concreta anche del divorzio e dei suoi “effetti collaterali”.
Senza ironia, in effetti, non possiamo però che consigliare a certe mogli italiane – non tutte, per carità – di pianificare un piano B, qualora le cose non andassero per il verso (e per il portafoglio) giusto.

CHE SUCCESSO A MODENA!

IL SUGO DI UGO A MODENA – Forse sara’ stato merito del Lambrusco che ci ha messo il frizzantino nelle vene (da adesso in poi, sempre un bel bicchiere di rosso prima di aprire il sipario!!!), ma quella di ieri sera al Teatro Tempio di Modena e’ stata la nostra miglior replica stagionale de IL SUGO DI UGO, la prima commedia gastro-comica d’Italia, firmata dalla compagnia teatrale I Teatroci di Torino, in trasferta in terra emiliana.

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