Attorno all’8 dicembre, dunque già in clima festaiolo, sono stato per lavoro al Casinò di Saint Vincent, uno dei quattro casinò esistenti in Italia (gli altri sono a Venezia, Sanremo e Campione d’Italia), tutti di proprietà pubblica, attraverso lo stato o le regioni. Se avessi avuto ancora qualche dubbio sul fatto che fossero proprio i casinò il “paradiso del vizio” del gioco, mi sono dovuto ricredere. Sono tra le strutture “del divertimento” più controllate che ci possano essere, cosa che non possiamo certo dire per altri piccoli templi del gioco d’azzardo, peraltro assolutamente regolari e autorizzati, come le sale giochi con slot machine e, addirittura, i bar sotto casa con un paio di macchinette infernali. Per non parlare del boom del gioco d’azzardo on line. Sono questi, la sale giochi, i bar dietro l’angolo, i casinò virtuali le vere rovine per molti, troppi giocatori dilettanti che perdono, però, come dei professionisti. Dei veri e proprio “malati di gioco”. Una vera e propria (e pericolosa) dipendenza comportamentale, capace di sfociare in ludopatia, un disturbo ossessivo-compulsivo legato alla necessità impellente, spasmodica, irresistibile di giocare. A tal punto da dover ricorrere a vere e proprie terapie d’urto, persino presso i Sert, i servizi delle aziende sanitarie pubbliche dedicate (in alcune regioni d’Italia) alle dipendenze patologiche: non solo droghe sotto forma di sostanze stupefacenti, quindi, la droga sotto forma di ore e ore passate a giocare alle slot machine, ai videopoker o ai casinò on line su internet. In confronto, il vecchio casinò caro a James Bond e ad intere generazioni di “giocatori controllati” è diventato ormai un luogo per educande. Con i soldi da spendere, certo, ma pur sempre da educande. Il fascino di questi casinò vecchia maniera, peraltro, è decisamente in calo: ormai nemmeno a St.Vincent richiedono la giacca obbligatoria per entrare, al casinò di Venezia Cà Noghera – quello meno chic, vicino all’aeroporto di Tessera, che fa comunque parte dello stessa stessa struttura dello storico casinò di Venezia Lido – si incontrano ormai soltanto giovani cinesi in pullover dai coloro improbabili, ma con in mano mazzette ricolma di pezzi da 500 euro. Del resto, la crisi che ha colpito i casinò impone di non fare più gli schizzinosi: via libera a tutti, comprese intere comitive di pensionati arrivati con la corriera e pronti per invadere le centinaia e centinaia di slot machine all’interno dei saloni. Poi, ognuno si diverte come può e come crede. Ma non è un caso che i leggendari tavoli verdi del black jack o di altri giochi (io, al massimo, investo venti euro nella roulette del rosso e nero: almeno ho un 50% di possibilità di vincere: ma becco sempre l’altro 50%…) siano ormai spesso deserti e i croupier disoccupati, in attesa di una clientela di veri giocatori che si fa sempre più rara e introvabile. Ormai andare al casino è una gita, è una serata diversa dal solito, non è più per andare a sbancare e per “fare i soldi”.
Il direttore commerciale del Saint Vincent Resort & Casinò, Marco Fiore, da 35 anni è testimone dei cambiamenti epocali del gioco d’azzardo e ci spiega. “Noi casinò siamo controllatissimi. L’ingresso è gratuito, ma siamo costretti per legge a registrare tutti i clienti che entrano al casinò. E succede spesso di doverne respingere qualcuno, se la famiglia ci ha contattati per evitare che il loro parente continui a rovinarsi con il gioco. In quel caso la segnalazione è estesa a tutti i casinò e il giocatore non può più entrare da nessuna parte. Crediamo di fare un favore e lui stesso e alla famiglia. Ma a volte accadono situazioni spiacevoli…è chiaro che se il giocatore in questione non può più entrare in nessun casinò d’Italia, o va all’estero oppure si accontenta dei surrogati: le sale da gioco, i bar con i videopoker, internet. E lì non ci sono esattamente gli stessi controlli….”.
E’ evidente, quindi, che il baricentro del rischio si è spostato dai casinò alle strutture periferiche, dove minori sono i controlli e maggiore è il “mucchio selvaggio” dei potenziali giocatori: per andare al casinò, infatti, bisogna prendere l’auto, fare centinaia di chilometri, prenotare un albergo, troppo complicato per i giocatori che si credono “occasionali”. Per divertirsi – e magari vincere qualcosa, pensano – può andare benissimo anche un sito internet, comodamente da casa, oppure la sala giochi nella piazza del paese o persino il bar Sport dietro l’angolo, con due belle slot machine di quelle che per vincere devi tirare la manovella e sperare in un tris di ciliegie. Si assottiglia il pacchetto dei giocatori da casinò, si ingrossano le fila dei giocatori “occasionali”: operai alla fine del turno, pensionati che ammazzano il tempo, casalinghe che uccidono la noia. Il vizio del gioco è trasversale, senza limiti di età e barriere sociali, al Nord come al Sud. E tutti corrono il rischio di rovinarsi, se stessi e le loro famiglie. Per lavoro ho intervistato diversi ex giocatori che hanno iniziato proprio cosi, giocando ogni tanto, con piccole perdite, un po’ di moneta, poi dieci, venti, cinquanta euro. Tutti convinti, come i fumatori, di riuscire a smettere quando vogliono. E invece…. E invece poi finiscono nei gruppi di “giocatori anonimi”, sedute psicologiche per curarsi, per uscire dal tunnel, proprio come chi è alcolizzato o tossicodipendente. Mandando in frantumi non solo i propri conti correnti, ma anche i propri affetti: matrimoni spezzati, famiglie devastate, amicizie dimenticate. E tutto per un qualcosa, il gioco d’azzardo “casalingo”, assolutamente legale, dove addirittura lo Stato ci guadagna, eccome. Per non parlare poi delle scommesse, ma quello è un altro mondo.
Lungi da noi l’idea di voler demonizzare tutto il mondo del gioco d’azzardo a 360 gradi, ma è evidente che i controlli di garanzia (e di tutela dei giocatori) che spettano ai casinò debbono essere estesi anche agli altri luoghi a rischio: le sale giochi, i bar con i videopoker, internet, le stesse sale scommesse. E non basta che lo Stato cerchi di tamponare con le ordinanze di un sindaco qua e uno di là sul fatto che la sala giochi deve essere a più di cento metri di distanza dalla scuola. Magari, poi, è troppo vicina ad un centro anziani, e il rischio è ancora maggiore….
Servono maggiori controlli, tanto per cominciare. Tanto per non crescere una generazione di “malati di gioco”. E nel frattempo, non possiamo che sperare – difficile, ma non impossibile – che i giocatori occasionali diventati incalliti scoprano un qualche divertimento
più sano e più consapevole.