Mi dispiace doverlo fare, ma credo che stavolta abbia ragione Vittorio Feltri: non abbiamo ancora abbastanza paura! La notizia del terribile attentato di Dacca, 9 italiani assassinati brutalmente in un ristorante della capitale del Bangladesh solo “perchè non sapevano il Corano”, è stata trattata dalla stragrande maggioranza dei “social-opinionisti” come un quasi naturale incidente di percorso: ho visto post terrificanti con scritto “Che cavolo ci vanno a fare in Bangladesh?”, oppure “Cosi imparano a sfruttare i lavoratori locali”, fino all’ironia più fuoriluogo del mondo: “Oggi vado a comprarmi il Corano, può sempre venire utile”. Incredibile. A me è capitato addirittura di aver messo sul mio profilo personale di Facebook la bandiera italiana listata a lutto e un genio mi ha cosi apostrofato: “Che fai? Gufi per la partita?”, inconsapevole di quello che stava accadendo nel mondo, a parte il suo mondo calcistico proiettato verso un Italia-Germania capitata in contemporanea con la strage di Dacca. Ecco, il problema: non abbiamo abbastanza paura, perchè anche questo attentato è accaduto troppo lontano, con connazionali che un po’ se la sono cercata – questa la terribile sensazione che ho avuto – vivendo in un paese così pericoloso. O sbaglio? Per fortuna, ci sono anche le testimonianze sincere di cordoglio e di sgomento di fronte ad un fatto del genere.
Ammettiamolo: se non ci fossero state vittime italiane, sarebbe stato l’ennesimo massacro in una zona disperata del mondo, e lontana anni luce da noi e dalla nostra tranquilla e mediocre quotidianità. Un po’ come la strage di Orlando, in un locale gay, in un paese, l’America, che fa circolare liberamente pistole e ogni genere di armi. Un po’ se la sono cercata, vero?
Maledetti pregiudizi. Chissà in quale fossa comune ci porteranno. E intanto c’è chi, come “Libero”, scrive che siamo noi che paghiamo chi ci ammazza (noi compriamo le rose dai bengalesi, i quali mandano i nostri soldi a casa e con quelli finanziano il terrorismo: percorso un po’ cervellotico, ma non così improbabile…) e chi ribadisce che non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani. Abbiamo paura? Certo. Ma non abbastanza paura. Le cose che ci fanno paura sono quelle che accadono a noi vicine: Parigi, Bruxelles. Dove ognuno di noi potrebbe capitare, per caso, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Già Istanbul fa meno paura, vero? Basta non andarci. Figuriamoci Dacca. E che cavolo ci vanno a fare in Bangladesh? Magari a lavorare, visto che è sempre più difficile farlo nella nostra bella Italia. Ma non abbiamo abbastanza paura. E’ per questo che ci sono ancora ampi fiumi di pietismo e di buonismo, un po’ dappertutto, anche a livello politico. Non abbiamo ancora abbastanza paura, almeno non sotto casa nostra.
Speriamo di non averne mai più di così. Potrebbe essere troppo tardi. Persino per scrivere l’ultimo post.
P.s. Ho scritto quello che penso di questa vicenda, e francamente non ho una soluzione, ma certo non è il buonismo.
A meno che….a meno che non siamo tutti solo “cavie umane”, come scrive Gabriele Sannino nel precedente, inquietante articolo, qui su Pensiero Libero.
Categoria: News
Le mie news.
E se fossero cavie umane?
di Gabriele Sannino
www.pensieroliberomgo.it
Il 12 giugno 2016 uno squilibrato di nome Omar Mateen entra in locale gay della Florida – il Pulse, ad Orlando – uccidendo 49 persone e ferendone 53.
Mateen verrà ucciso nel blitz dalla polizia.
La strage di Orlando è la più grave strage commessa con armi fa fuoco negli Stati Uniti, e sconvolge il paese in un momento di campagna elettorale in cui uno dei candidati – la democratica Hillary Clinton – è da sempre contraria alla distribuzione popolare delle armi (cosa sancita dal secondo emendamento della Costituzione degli USA).
Omar Mateen è un cittadino americano incensurato, che si convertirà all’ISIS qualche ora prima dell’attentato, cosa che farà esultare l’organizzazione terroristica per un qualcosa che le è capitato semplicemente… “dall’alto”.
Stavolta il pretesto ideologico sarà l’omofobia provata da un ragazzo confuso sessualmente: altre volte invece sarà il razzismo, l’odio antiabortista, l’antisemitismo e via discorrendo.
Il giorno prima, nella stessa città, un uomo entra armato in un teatro e uccide con una pistola a sangue freddo e davanti a tutti Christina Grimmie, vincitrice nel 2014 del concorso canoro “The voice”.
Il 14 giugno del 2016, ancora, il 25 enne Larossi Abballa uccide con nove coltellate a Parigi al grido di “Allah è grande” un vice comandante di polizia giudiziaria e sua moglie, anch’essa poliziotta. L’uomo prenderà in ostaggio il loro figlio di appena tre anni, Mathieu, fino all’arrivo di squadre speciali che puntualmente lo uccideranno.
Dulcis in fundo – si fa per dire – un altro psicopatico – il 52 enne Tommy Mair – pochi giorni prima del 23 giugno, ovvero prima dell’importantissimo referendum per la Gran Bretagna per rimanere o meno all’interno dell’UE – uccide la deputata europeista e laburista Jo Cox al grido “Britain first” – ovvero “prima la Bretagna” – suscitando sgomento e orrore in tutto il paese e influenzandone emotivamente il risultato.
Tutti questi episodi sono solo gli ultimi di una lunghissima sequela dove uno psicopatico uccide all’improvviso destando orrore. E ciò ormai accade non solo nell’armatissima America, ma anche in Europa e nel caldo Medio Oriente, nei paesi cioè dove sono sorte delle guerriglie.
Sotto i colpi di psicopatici – se ci pensate bene – sono morti e moriranno ancora Presidenti, cantanti, attori, diplomatici, leader di ogni genere e finanche persone comuni.
Il filo rosso, in sostanza, è il seguente: abbiamo un uomo disturbato – spesso addirittura già attenzionato, se non rinchiuso da qualche parte – che improvvisamente diventa libero e uccide in modo spettacolare personaggi di medio ma anche di gran rilievo, spesso influenzando emotivamente un gran numero di persone.
La domanda a un certo punto sorge spontanea: e se queste persone fossero armate, in qualche modo?
O meglio: e se fossero rese “disturbate” per compiere determinate attenzioni dimostrative… utili ai veri poteri?
Il progetto MKULTRA era il nome in codice dato a un programma illegale e clandestino di esperimenti sugli esseri umani portato avanti dalla CIA (il servizio di intelligence degli Stati Uniti d’America) durante gli anni cinquanta e sessanta del XX secolo, che aveva come scopo quello di influenzare e controllare il comportamento di determinate persone (il cosiddetto controllo mentale).
Il progetto MKULTRA o Mk-Ultra fu ordinato dal direttore della CIA Allen Dulles il 13 aprile 1953, al fine di contrastare gli studi russi e cinesi sul cosiddetto controllo mentale (mind control).
Questa tecnica avrebbe dovuto portare numerosi vantaggi, come ad esempio la creazione di assassiniinconsapevoli o il controllo mentale di leader stranieri scomodi.
Il progetto – e questa è storia, non complottismo! – sarebbe stato sovvenzionato per un totale di 25 milioni di dollari coinvolgendo istituzioni, università e addirittura ospedali.
Gli esperimenti consistevano in torture psicologiche atte a sviluppare sdoppiamenti della personalità, disturbi che potevano essere attivati con una parola o gesto “codice” che creavano immediatamente obbedienza o spietatezza, a seconda del risultato che si voleva ottenere.
Molto spesso si prendevano delle persone che erano già problematiche, in quanto con loro si poteva lavorare ancora meglio e in modo più veloce.
Il progetto MKULTRA venne portato all’attenzione del pubblico nel 1975, anche se gli esperimenti – almeno secondo la versione ufficiale – terminarono nel 1973.
Il film “Va e uccidi” del 1962 e “The Manchurian Candidate” del 2004 spiegano egregiamente queste realtà: entrambi tratti dal libro omonimo “The Manchurian Candidate”, il primo affronta gli esperimenti avvenuti durante la Guerra Fredda, il secondo ai tempi dell’operazione Desert Storm in Iraq nel 1991.
Insomma, i due film rappresentano un vero e proprio continuum cinematografico, al di là della fine ufficiale degli esperimenti – ripeto – avvenuta negli anni ‘70.
L’ultimo film, in particolare, vede protagonista una squadra di marines americani che, nel mentre di un attacco notturno da chissà dove, in realtà viene sottoposta a un vero e proprio lavaggio del cervello, cosa che renderà eroe un elemento della stessa – il sergente Raymond Shaw – il quale, senza ricordarsi, avrà salvato tutti i commilitoni, e per questo suo atto di eroismo sarà successivamente candidato a Vice Presidente degli Stati Uniti d’America.
Il capitano della squadra sopravvissuto a quella notte, Bennet Marco – gli altri si suicideranno o moriranno in circostanze misteriose – scoprirà un microchip dietro la schiena, e avvertirà immediatamente il sergente.
Una volta scoperta la manipolazione mentale che fa compiere al Vice Presidente ben due omicidi “scomodi”, Bennet sarà usato dalla madre dello stesso Vice per uccidere il rivale politico del figlio durante un comizio, ma la parziale liberazione dell’uomo da questi “incantesimi” farà sì che alla fine colpirà – su input di quest’ultimo, che soffriva troppo – proprio l’ex sergente Raymond Shaw e sua madre, determinandone la morte.
Alla fine la Manchurian Global – la società collegata a una parte del governo e ai servizi che effettuava questi esperimenti per creare cavie umane – verrà smascherata e il capitano salvato.
Ritornando alla nostra attualità, ci si può e deve chiedere: perché tutti questi disturbati – anche oggi – non possono essere prodotto di questi esperimenti, magari diffusi ormai tanto in Europa quanto negli Stati Uniti?
Chi ci può assicurare il contrario? Ripeto, parliamo di omicidi spesso eccellenti, che devono produrre un determinato risultato politico, economico o sociale.
Perfino guerriglie come l’ISIS potrebbero – anzi sicuramente lo sono! – essere composte da uomini che hanno subito questo tipo di trattamenti tanto da arrivare… a farsi esplodere!
Certo, c’è sicuramente l’effetto gregge, ma i disturbi psichiatrici tra i terroristi dell’ISIS sono palesi a tutti, perfino ai musulmani, alias le loro prime vittime.
Insomma, al di là della guerriglia o del singolo terrorista, forse il terrore ha davvero una matrice diversa da ciò che pensiamo, origine che è molto lontana dalla “follia spontanea” che tutti noi comunemente immaginiamo.
Brexit, il grande incantesimo ha stregato la patria dell’occulto.
di Giancarlo Loquenzi
La Stampa, 26.6.2016
«Non ho mai desiderato tanto avere poteri magici come oggi», ha confessato J.K. Rowling, la creatrice della saga di Harry Potter, quando venerdì mattina ha visto la vittoria di Brexit.
Non solo una frase consegnata a Twitter per dar voce al senso di impotenza davanti ad un evento che la Rowling avrebbe voluto cancellare con un colpo di bacchetta magica, ma anche l’idea che ci vorrebbe un incantesimo per dissolverne un altro uguale contrario. Perché visto da Londra, annusato nei pub, ascoltato in metropolitana, letto sulle facce incredule dei cittadini il fenomeno Brexit ha la potenza e la risonanza di un grande gesto magico.
Non è un caso se di Londra si dice che, assieme a Torino e San Francisco costituisca una triade esoterica legata alle forze dell’occulto. La capitale inglese irradia poteri magici dai tempi dei druidi passando per il mondo shakespeariano fino alle arti esoteriche di Aleister Crowley, il più celebre mago moderno, e del suo culto di Thelema.
Brexit dunque non è stato solo un brutto neologismo, una crasi infelice per un destino di abbandono. Con il tempo si è trasformato in un «charm»: un incantesimo sussurrato ma potentissimo consegnato nelle mani di 33 milioni di cittadini, che per una esigua ma sufficiente maggioranza hanno deciso si farne uso, ognuno a modo suo.
Non c’è discorso pubblico che tenga, non c’è minaccia economica, geopolitica o umanitaria che spieghi quanto è successo il giorno del referendum. Basta invece una semplice parola magica: Brexit. Ognuno dei 16.141.241 votanti per il Leave ha unito il suo proprio piccolo o grande desiderio al più favoloso evento magico della storia del Regno Unito.
È stato come quando si vede una stella cadente – e qui le stelle che cadevano erano le 12 stelle dorate della bandiera europea – e si può desiderare qualsiasi cosa: più soldi (soprattutto), un lavoro migliore, meno tasse, un concorrente da eliminare, una casa più grande, una città più sicura, un tassista che parli inglese, la caccia alla volpe, il ritorno dell’impero, un posto a sedere nel treno dei pendolari, la Manica sempre in tempesta.
Per un popolo che crede nella magia, dire o solo pensare le sei lettere della parola Brexit è stato come congiurare una formula negromantica corale a cui gli scontenti, gli spaventati, i delusi, gli insoddisfatti, o magari solo gli annoiati, hanno fatto ricorso come tanti Peter Pan, per ritrovare l’isola che non c’è più ma che c’era una volta. Per tornare bambini.
Nel mondo di Harry Potter sarebbe bastato evocare l’expecto patronum, il più potente tra gli incantesimi difensivi, l’unico a proteggere chi lo usa dalla minaccia dei «dementor», quella creatura oscura che si nutre della felicità degli uomini, succhia la loro energia e li lascia confusi e depressi. Esattamente come qualsiasi inglese vede l’Europa.
Nel centro di Londra, al 111 di Cannon Street, si conserva da secoli la «London stone», si dice sia portata qui da un bisnipote di Enea. Ora è protetta da una piccola gabbia dentro un negozio di cancelleria. Per i londinesi è l’omphalos, l’ombelico, una pietra magica che tiene in equilibrio una vasta rete di correnti esoteriche e telluriche, le «ley lines». Finché resta lì niente di male può capitare alla città e al paese. Ne era già convinto il mago di fiducia della regina Elisabetta I, John Dee di cui parla anche Umberto Eco nel Pendolo di Foucault e che H.P. Lovecraft considera l’autore del Necromicon. Dopo Brexit la pietra è ancora lì. Così come attorno alla Torre di Londra continuano a volare i corvi neri considerati spiriti protettori della città. Segni che nulla di male accadrà al Regno di Sua Maestà.
Nel resto del mondo si teme la tempesta scatenata dalla decisione britannica di lasciare l’Europa, ma di qua dalla Manica la tempesta non fa così paura. Da Shakespeare in poi è la metafora dell’illuminazione e della crescita, contro la paralisi e la resa del resto del mondo. Ed è ancora un mago, Prospero a ricordarlo, e oggi potrebbe essere Nigel Farage a parlare così: «Tutto procede a norma de’ miei desideri, questi miei nemici son tutti preda della lor pazzia, tutti quanti in totale mio potere, il mio disegno sta venendo a capo; gl’incantesimi vanno tutti a segno».
E se l’antidoping lo facessimo al Cio?
di Oliviero Beha
Il Fatto Quotidiano, 27.6.2016
Se sul giornale di oggi parlo della “partita”, l’attenzione dei lettori va ovviamente all’ottavo di finale Italia-Spagna, alle 18. Come già fatto alla vigilia degli Europei, qui dichiarandomi ottimista tra i gufi, rischio uno sputtanamento previsionale: se la partita resta in bilico, in qualche maniera vincono i patriottici “azzurri” di “bellicapelli” (non è Renzi…), altrimenti si rischia una vera imbarcata. Come motivo tutto ciò? Con il fatto che si segna talmente poco in questi Europei della noia nonostante la grancassa degli imbonitori che o il match “si apre”, e la vedo brutta, oppure rimane confezionato in un cellophane tattico e allora mi prendo i connazionali… Eppure quando evoco la “partita” non intendo questa, bensì il gravissimo trappolone teso all’ex olimpionico superdopato e superdotato naturalmente, Alex Schwazer. Come saprete, è stato trovato misteriosamente positivo a un test sulle urine del gennaio scorso, allora negativo, diventato tempestivamente positivo presso il laboratorio di Colonia dell’Agenzia mondiale antidoping, in arte Wada.
Schwazer era appena rientrato alle gare dopo quasi quattro anni di squalifica e un allenamento durissimo sotto gli occhi del massimo esperto europeo di lotta al doping, il tecnico Sandro Donati, segnando subito un tempo eccezionale nella 50 km di marcia, in maggio, e candidandosi all’oro olimpico di Rio. Pensate che storia: l’inferno dell’imbroglio, con oro a Pechino, la dannazione come atleta e come persona, la rinascita al massimo livello come un’araba fenice che resta se stessa mutandosi dall’overdose di droga sportiva al classico “acqua e sapone”.
Adesso, tenuta a bada la depressione per questo clamoroso risvolto che colpisce l’uomo altoatesino fin nei precordi comunque diffamandolo a mezzo stampa (perché questo rimarrà nella memoria collettiva, ed è vergognosamente irreparabile) e sconvolge un esperto di chiara e integerrima fama come Donati, ci sarà la controprova (o provetta…). I due “comodi reprobi annunciati” (spiego subito perché) hanno già presentato in Procura una dettagliata denuncia contro ignoti per truffa sportiva. Solo che queste analisi le rifanno a giorni, ma sempre a Colonia. Dalle notizie che si hanno sul mancato “anonimato” del campione di urine e una serie di altre irregolarità “mirate” ce n’è già abbastanza per pensare a un raggiro. Vi chiederete perché, e forse se io sia uno stolido tifoso di Alex, o di Donati. Vi invito invece a una disciplina sportiva obbligatoria, la diffidenza originata dalla sproporzione delle forze in campo. La Wada è un sistema di potere che muove circa 50 milioni di euro, finanziato per lo più dal Cio in completa assenza di divisione e autonomia dei poteri, alla faccia di qualunque Montesquieu. Per dare l’idea della sua affidabilità, non si contano i laboratori Wada sospesi o chiusi per manifesta impostura, da Mosca a Rio passando per Madrid. In Italia è la camorra a gestire il grande business delle sostanze dopanti per una popolazione finto-sportiva, dai giovanissimi a veterani. Solo quello che riescono annualmente a sequestrare i carabinieri nelle loro indagini nel sottobosco dei palestrati ammonta a circa 600 milioni di euro, un terzo delle stime. Schwazer grazie a Donati e a se stesso stava diventando una specie di antidoto a questa gigantesca malattia, che avvicina la droga “sportiva” alle droghe tout court. Ma se “bastassero” un tecnico e il suo staff dalla parte giusta con l’apporto di un exsuperdopato adesso limpido che va forte come o più di quando si dopava, tutto l’edificio politico-sportivo rischierebbe di franare dalle fondamenta, Cio, Comitati Nazionali, Wada ecc.
Così invece sarebbe “solo” uno Schwazer che ci ricasca. Per questo la partita vera, che riguarda la salute dei nostri figli, si gioca su questo terreno, in cui il sistema ha tutto l’interesse a schiacciare i “comodi reprobi” di cui sopra per mantenere in vita il baraccone drogato, dal business dello sport-spettacolo a quello dei farmaci dopanti da strada. Insomma, l’hanno fatta sporchissima: ma non solo a Schwazer e Donati, bensì a tutti noi…
RAGGI E APPENDINO: IL FENOMENO DEI SINDACI CINQUE STELLE
di Lucia Annunziata
(Huffington Post)
Il Movimento 5 Stelle vince a Roma e a Torino, con due giovani donne, e la loro vittoria sana uno strappo nella nostra democrazia avvenuto nel 2013. Il tentativo, cominciato proprio in quella data, da parte dell’establishment italiano di tenere ai margini della politica il M5S, sollevando i fantasmi del populismo e della instabilità, si è infranto tre anni dopo sulla stessa onda e sugli stessi umori di allora da parte degli elettori. Con numeri tali da fare impallidire qualunque scetticismo, e qualunque calcolo di bottega. Al Pd in particolare, tentato in queste ore di salvare il salvabile circoscrivendo lo spazio del successo M5S, va ricordato che l’ora della politica dello struzzo è finita. Con sufficiente sicurezza si può dire che con gli umori che attraversano oggi le urne, il referendum sulle riforme di ottobre è destinato a sicuro insuccesso. E con sicurezza maggiore si può anche azzardare a dire che se si votasse oggi per le politiche, sulla base di questi risultati Palazzo Chigi sarebbe perso per Matteo Renzi. Per il Premier, insomma, non è stata una buona nottata. Al solito, si aprirà ora dentro e fuori del governo, dentro e fuori del Pd, il solito, lungo, complesso e noioso processo alle colpe e responsabilità. Immaginiamo che sarà, come sempre, un bizantino gioco di altisonanti principi e colpi bassissimi. Ce ne occuperemo anche noi, come è inevitabile che i giornalisti facciano. Ma in questi primi momenti, a risultati ancora caldi, penso sia il caso di mantenere ancora per un poco uno sguardo più largo, tornando di nuovo a quel 2013, anno di inizio della storia che stiamo ancora vivendo. Nelle politiche di quell’anno nessuno dei due vincitori delle elezioni, né il Pd di Bersani, né il Movimento 5 Stelle ottenne l’incarico di formare il governo. Il successo del Movimento Cinque Stelle, divenuto dal nulla il primo partito italiano, spaventò l’establishment italiano a tal punto da provocare una isterica campagna nazionale contro il populismo, contro il rischio di ingovernabilità per il paese, contro il danno per l’Europa. Portando, in nome della superiore difesa degli interessi nazionali, a un incarico istituzionale, quello di Enrico Letta, con un forte carattere di “avocazione” delle scelte popolari. Una forzatura politica che se non illegittima certamente ha portato il paese in una fase di incredibile confusione delle sue strategie, dei suoi programmi e dei suoi assetti politici e parlamentari. Comincia allora la storia che ancora viviamo. Comincia allora il tentativo di contenere i Cinque Stelle, ma comincia allora anche l’agonia ufficiale del Pd inteso come Ditta. Comincia lì’ la scalata a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, ma anche la liquefazione del parlamento appena votato. Tre anni dopo, il voto appena concluso, dimostra che il tentativo avviato nel 2013 non ha affatto stabilizzato il Paese. La crisi iniziata allora è ancora tutta qui. La piattaforma antisistema deliM5S ha parlato alla disillusione, alla rabbia, al senso di ingiustizia dei cittadini italiani, soprattutto i giovani, meglio di qualunque altro partito. Partiti che a loro volta in questi tre anni, dal Pd a Forza Italia, alla Lega, hanno continuato a perdere identità e forza. Né riesce a consolidarsi il progetto dell’uomo che meglio di tutti ha provato in questo periodo, in tutti i modi, a catalizzare le nuove energie politiche del paese: Matteo Renzi. L’Italia insomma è ancora molto lontana dall’aver trovato un diverso approdo. Né l’Italia è sola nella sua condizione. La battaglia al suo interno, il distacco fra cittadini e politica, la rabbia di cui si nutre lo scontro fra sistema e antisistema attraversa tutte le nazioni dell’Occidente, incluse quelle che voteranno in questa stessa settimana, l’Inghilterra sul Brexit e la Spagna sul governo. Ma un errore c’è stato in Italia che non potrà essere ripetuto – la logica del 2013, quella che ha portato le classi dirigenti a non prestare orecchio a quel che saliva dalle urne. Se questo voto di rottura e cambiamento, se il grido “onestà, onestà” che ha accolto a Roma la Raggi, verranno di nuovo affrontati con la tentazione di derubricarlo come facile estremismo della plebe, il rischio per l’Italia diventerà serio.
Tirare in ballo i disabili: non si fa cosi…
“Sui figli disabili non si scherza…e la mamma ha tutta la mia comprensione…ma che la mamma stessa – direttrice del circolo dei lettori di Torino, istituzione in parte pubblica – e il papa’ – nello staff comunicazione di Fassino – usino il figlio per propagandare il voto (e la bravura dei servizi sociali) a favore di Fassino, credo sia di una tristezza sospetta e non del tutto disinteressata” . (post di Cristiano Tassinari su Facebook, 14.6.2016)
Prossimamente…Coming soon…
PROSSIMAMENTE, SU QUESTI SCHERMI…ARRIVA TELETASSO TV…LA MIA FINESTRA SUL MONDO, LA MIA VISIONE DEL MONDO…CON L’OCCHIO DEL REPORTER ATTENTO, MA CON UN SOTTILE FILO DI IRONIA, CHE SERVE SEMPRE…COSI, SENZA FILTRI NE’ CENSURE, POTRO’ RACCONTARE (POTREMO RACCONTARE, SE MI DATE UNA MANO) TUTTO QUELLO CHE VA (E NON VA), TUTTO QUELLO CHE FUNZIONA (E NON FUNZIONA), NEL NOSTRO BEL PAESE, NELLA NOSTRA CITTA’, NEL NOSTRO QUARTIERE, NEL NOSTRO PAESE…CHE NE DITE? CI STATE??? IO SONO QUI…
ORLANDO: MENO SDEGNO DI PARIGI E BRUXELLES
Poiche’ la strage del “Pulse” di Orlando e’ assolutamente equiparabile a quella del Bataclan di Parigi, forse e’ solo la maggior distanza che fa sembrare quella di ieri meno grave di quella del 13 novembre. O no? O avete altre interpretazioni? Forse perchè si trattava di un locale per omosessuali?
Stavolta vedo un movimento di sdegno molto inferiore.