Dalla tragedia di Parigi del settimanale satirico “Charlie Hebdo” in poi, la vita dei giornalisti (ma anche dei vignettisti) è diventata sempre più dura. Rimestare di nuovo nella melma di quello che è successo in Francia sarebbe un esercizio complicato e superfluo: non è certo la prima volta che i giornalisti fanno una brutta fine per quello che hanno scritto (o disegnato). Penso, i momenti storici diversi, a Mino Pecorelli e Walter Tobagi in Italia, penso ai tanti giornalisti messicani sterminati nel loro paese, penso ad Anna Politkovskaja, fiera oppositrice del regime-Putin, penso ad Ilaria Alpi in Somalia, Enzo Baldoni in Iraq e Andrea Rocchelli in Ucraina, a tutti i reporter di guerra che muoiono ogni anno per raccontare le vicende umane dai fronti più caldi del mondo. Per una vignetta (per tante vignette, già tanto discusse e discutibiii), però, non era mai accaduto. Qualcuno, qui in Italia, ha voluto ricordare che, al massimo, per una vignetta non gradita, l’allora premier Massimo D’Alema querelò il mitico Forattini. Quisquilie d’altri tempi. Certo il nostro mestiere di giornalista è sempre stato pericoloso: se non ai kalashnikov, esposto quanto meno proprio alle querele per diffamazione. Ne presi una anch’io, vent’anni fa, da parte di un bravo ragazzo di buona famiglia, che però si autodefiniva naziskin, partecipava ai camp estivi in Afghanistan, marciava con i neofascisti e a casa aveva persino un busto del Duce. Chissà dov’è finito adesso…spero non sia diventato un “foreign fighters”. Dicono che per un giornalista, una querela sia come per l’arbitro un cazzotto: una sorta di necessaria iniziazione. Sarà: ma io mi sono preso 8 mesi di reclusione (con la condizionale, “se avessi picchiato tua madre avresti preso di meno”, mi disse il mio mediocrissimo avvocato) e 11.000 euro di danni morali (sentenza avvenuta nel 2009, 15 anni dopo il “fattaccio”). Fatti miei, direte voi. E’ vero. Ma il mondo del giornalismo ha perso prestigio, e un po’ ce lo meritiamo: e non è un caso se si è passati dalle grandi imprese dei giornalisti americani nel caso-Watergate, che portarono alle dimissioni dell’allora presidente americano Richard Nixon alle grandi imprese televisive di Barbara D’Urso, che non sarà simpatica, ma il suo mestiere lo sa fare (e gli altri rosicano e la denunciano all’Ordine perchè fa la giornalista senza avere l’inutile patentino…). Segno dei tempi che cambiano (e del giornalismo che cambia). Fatto da bravi cronisti locali, di provincia, e da giovani rampanti che si definiscono giornalisti solo perchè hanno fondato un blog o si sono inventati “opinion leader” sui social network. E poi, purtroppo, ci sono quelli che cercano sempre il pelo nell’uovo e scavano nel torbido: avete presente il caso delle due ragazze Greta e Vanesse rapite e poi rilasciate in Siria? Ecco, appunto. Vorrei che qualcuno, leggendomi qui o sentendomi parlare in tv, dicesse: “il nostro giornalista Cristiano Tassinari è diverso”. Sarebbe un grande motivo di orgoglio.
Mese: Gennaio 2015
STAVOLTA CLINT EASTWOOD ESAGERA CON L’EROE AMERICANO…
In poco più di 24 ore avrei potuto fare una scorpacciata di film di Clint Eastwood, attore e regista ormai di culto. Per la prima volta, l’altra sera in tv, ho visto il suo “Million Dollar Baby”, con la splendida, intensa interpretazione di Hilary Swank nel ruolo di una cameriera trentenne che, stufa di una vita sottotono, cerca di affermarsi con la boxe. E, con gli insegnamenti del suo maestro, per un po’ ce la fa: fama e ricchezza. Poi succede il patatrac, fino al tragico epilogo finale. Senz’altro un eroe (anzi: un’eroina di tutti i giorni, per i perdenti della vita di tutti i giorni) che diventa il cardine di quello che viene definito forse il miglior film di Clint Eastwood da “anziano” (la pellicola è del 2004).
Su un altro canale, sempre l’altra sera, davano addirittura “Una 44 Magnum per l’Ispettore Callaghan”, un classico degli anni ’70 con un ancor giovane Clint Eastwood, poliziotto dai metodi ruvidi ma efficaci, con i capelli scuri e il ciuffo sbarazzino, alla prese con tutti i malaffari delle grandi città americane e della stessa polizia. Un altro eroe “anti-eroe”, di quelli che piacciono al vecchio Clint e agli spettatori di tutto il mondo, che un po’ si riconoscono nel riscatto sociale di chi, ogni tanto, ce la fa. Uno su mille, o giù di lì.
Il giorno dopo, in preda alla Eastwood-mania, sono andato al cinema a vedere il suo ultimo film da regista: “American Sniper”, interpretato da Bradley Cooper e Sienna Miller. Preceduto da milionari incassi a stelle e strisce e critiche divise in Italia, devo dire che non mi entusiasmava molto l’argomento: i film di guerra mi hanno un po’ stufato, dai “Cannoni di Navarone” in poi. Però è di Clint Eastwood, mi sono detto, diamine: e invece ho preso un solenne granchio. Un film di guerra che è l’apoteosi dell’uomo che diventa il cecchino più temuto di tutto l’Iraq, da Falluja fino a Mosul. Secondo me, un’americanata: nel peggior senso della parola. Ma è evidente che, proprio negli States, dove è forte il senso patriottico, il film ha avuto grande successo. A me non è piaciuto per niente: basta con “buoni contro cattivi”. Per essere un eroe, non serve imbracciare il fucile e ammazzare tutta quella gente. Nè nella realtà, nè tantomeno al cinema. Stavolta Clint Eastwood ha toppato. Lo aspettiamo al prossimo film. Farà sicuramente di meglio. Soprattutto se tornerà a raccontarci storie di quotidiano eroismo.
LE INUTILI POLEMICHE SULLE FIGLIE DEGLI ALTRI
Adesso che le acque sembrano essersi un po’ calmate, mi va di dire la mia sulla vicenda di Greta e Vanessa, le due ragazze di 20 anni che per 6 mesi sono state prigioniere in Siria e che dopo Natale erano apparse nei nostri teleschermi festivi tutte vestite di nero, implorando il nostro paese di liberarle. Sono contento che siano tornate a casa. Come lo sarò, quando torneranno a casa dall’India i due marò. La storia delle due ragazze è, però, più “pacifica”: con la spensieratezza -e l’ingenuità- dei loro vent’anni sono partite alla volta dell’Iraq e della Siria nella convinzione di poter “salvare il mondo”. Si sono sbagliate. E di grosso. Lo hanno capito, chiedendo scusa a tutti, in particolare a mamma e papà. E laggiù non ci torneranno più. Potranno fare del bene anche vicino a casa loro. Non hanno salvato il mondo, ma l’importante è che si siano salvate almeno loro. Nei giorni successivi alla loro liberazione, invece di tirare un immenso sospiro di sollievo insieme alle loro famiglie, ci siamo impegnati tutti -soprattutto certi giornali davvero di basso livello, seguiti a ruota da un becero tam tam dei social network- nel gioco al massacro più inutile degli ultimi tempi: sparare addosso alle due ragazze, inventare balle incredibili e improbabili (addirittura sesso consenziente con i rapitori, invocando persino la sindrome di Stoccolma o addirittura pensare che Greta e Vanessa fossero già al soldo del Califfo dell’Isis. E qualcuno ha pure visto che le due ragazze erano ben nutrite, come se fossero state in vacanza in Medioriente..). Che tristezza tutta italiana. E poi, la domanda più assurda di tutte le domande: l’Italia doveva davvero pagare questi presunti 12 milioni di dollari (50 centesimi per ogni italiano!) ai terroristi islamici per il rilascio delle due ragazze? Facile fare polemica con i figli degli altri. Io credo che, a questa domanda, ci sia solo una risposta: SI. Provate ad immaginare, anche solo per un attimo, che Greta e Vanessa fossero state le vostre figlie. Cosa avreste voluto? Che lo Stato le liberasse a qualunque costo? Ecco, appunto.
E ADESSO COME FAREMO A VIVERE TRANQUILLI?
L’attacco terroristico compiuto ai danni del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”, a Parigi, è stato definito “l’11 settembre europeo”. in realtà, negli anni scorsi, c’erano già stati attentati gravi, nel 2004 ad una stazione ferroviaria di Madrid e nel 2005 alla metropolitana di Londra, ma questo di Parigi -forse per la brutalità dei kalashnikov- ci appare come più devastante, più terribile, persino più grave. Qui, in gioco, non c’è soltanto la libertà di stampa e di espressione, ma la nostra stessa libertà. Da Al Qaeda all’Isis, da Bin Laden al Califfo, le nostre prospettive sono decisamente peggiorate. Se i terroristi islamici cominciano ad adottare il sistema dei “comuni terroristi” (le Brigate Rosse di casa nostra, per esempio), allora per noi il rischio-paura sarà perenne, giorno dopo giorno, ad ogni angolo di strada, di ogni città e di ogni paese. E, prima di addormentarci, ci domanderemo: e adesso come faremo ad essere tranquilli, almeno a casa nostra? Come invocata da più parti, serve una risposta con il pugno di ferro, senza arrivare alla guerra totale voluta da Bush dopo l’attacco alle Torri Gemelli, che è sicuramente la causa dell’attuale diffusione a macchio di leopardo del terrore islamico nel mondo, da Sydney a Parigi: magari non gruppi organizzati, forse anche soltanto una “cellula dormiente” oppure i cosìdetti “foreign fighters”, cittadini europei che vanno a combattere sotto la bandiera nera dell’Isis e poi tornano in Europa, carichi di armi, di esperienza e di rabbia contro la società occidentale. Sembra davvero di essere tornati ai tempi delle Crociate, ma alla rovescia: non sono più i cristiani a voler convertire gli “infedeli”, ma è esattamente il contrario: sono gli arabi a dare la caccia agli “infedeli”, a casa loro o a casa nostra non importa. E noi, nelle nostre comode vite rese solo più scomode dalla crisi economica, abbiamo indietreggiato troppo, passo dopo passo, crocefisso tolto dopo crocefisso tolto. Noi che, ora, ci limitiamo a guardare in cagnesco quelli che parlano in arabo, ma non abbiamo nemmeno il coraggio di dire loro qualcosa, se per caso fanno casino nel parchetto sotto casa. Perchè abbiamo paura, perchè quelli lì sono pericolosi, perchè quelli lì – diciamo noi – ci mettono un niente a tirare fuori il coltello e ad ammazzarti. E’ possibile un dialogo con l’Islam moderato presente in Europa? Non so, non vedo tutto questo Islam moderato. Ma sarebbe sbagliato dare la colpa solo ed esclusivamente alla religione musulmana: in un tremendo passato sappiamo bene cosa combinò la Chiesa Cattolica e ancor oggi, in tempi recenti, dalla ex Jugoslavia all’Israele fino al Medioriente, abbiamo visto tutti quello che il fanatismo religioso provoca, a tutte le latitudini, sotto diversi nomi, un vero oppio per i popoli. Senza voler assolutamente giustificare una carneficina come quella avvenuta a Parigi, forse i vignettisti di “Charlie Hebdo” avevano un po’ troppo calcato la mano: sapendo di avere a che fare con persone (e con religioni) poco ragionevoli, avrebbero dovuto abbassare un po’ il tiro. Alcune delle loro copertine suonavano veramente macabre, qualcuna è stata una cupa profezia. Lo sappiamo che la matita (e la lingua) può uccidere più di una pistola, ma stavolta non è stato cosi. Non so cosa sarebbe successo, da noi, se un giornale arabo avesse fatto vignette simili contro Dio, Gesù e la Madonna. Siamo sicuri che nessuno avrebbe pensato di farsi giustizia da sè? Purtroppo non ne sarei così sicuro. Purtroppo siamo rimasti ai tempi delle Crociate. L’evoluzione dell’uomo, in fondo, è stata ben poca cosa.