In pochi giorni il mondo del Dio italiano del Pallone – sempre più allo sfascio, paradigma di un Paese altrettanto catastrofico in molto aspetti della vita quotidiana – ci ha regalato il meglio e il peggio del proprio repertorio. Anzi, in ordine cronologico: il peggio e il meglio di sé. Partiamo dal derby di Torino, storicamente vinto sul campo dal Toro dopo vent’anni d’attesa, ma macchiata in maniera irreversibile da incidenti che, per la sfida della Mole, stanno diventando una pessima abitudine. Calci, pugni e sassi all’autobus dei giocatori della Juve da una parte (granata), addirittura una bomba carta fatta esplodere dentro lo stadio dai tifosi bianconeri e lanciata verso il settore dei tifosi avversari. Possiamo dirlo? Poteva pure scapparci il morto. E allora, in quel tragico caso, sarebbe stato patetico e dolorosa, il gioco dello scaricabarile tra le società e le tifoserie e la scarsa professionalità delle forze dell’ordine, che per 48 ore non sono riuscite a capire chi fosse il responsabile della bomba carta. Per fortuna non è successo il peggio: e proprio per questo, dopo i primi giorni di bufera, di titoloni sui giornali, di parole al vento e di promesse ministeriali di “ulteriore giro di vite” (ulteriore?), si rischia di tornare all’abitudinaria consuetudine degli incidenti dei nostri stadi, che sia l’assalto dei tifosi (?) ai giocatori del Cagliari, che sia le macabre messinscena degli ultras del Varese sul loro stesso terreno gioco. Da Vincenzo Paparelli (tifoso della Lazio morto allo stadio il 28 ottobre 1979, colpito da un razzo lanciato dalla curva della Roma) in poi, poco è cambiato negli stadi. E le vittime sono state tante, troppe. Ora ci sono più steward e meno poliziotti, ma la violenza cova ancora, sempre, sotto la cenere. Come fare ad estirparla? Il presidente del Coni Malagò si riempie la bocca della Thatcher, degli hoolingas inglesi e delle severe pene inflitte allora ai supporter d’Oltremanica. Forse potrebbe pure funzionare: certo la galera sarebbe un deterrente più convincente di un patetico Daspo (che peraltro qualcuno invoca anche per il picchiatore argentino dell’Atalanta Denis, autore di un cazzotto post-partita ad un avversario già negli spogliatoi). Succede di tutto in questo calcio e, sinceramente, non viene proprio voglia di portare amici, mogli, fidanzate e figli allo stadio. Certo che no. Meglio la pay-tv, sul divano, al calduccio, senza balordi attorno. Poi però…
Poi però accade di andare a vedere una partita “storica” per la promozione del piccolo grande Carpi (70.000 abitanti, in una zona laboriosa dell’Emilia, messa in ginocchio dal terremoto, ma subito in grado di risollevarsi senza troppi piagnistei), una squadretta di provincia che non piace a Lotito e ai grandi soloni del calcio italiano, ma che per la prima volta nella sua storia sbarca in serie A. E pazienza se non fa cassetta, se non fa audience, se non ha pubblico, se non ha nemmeno lo stadio a norma: nonostante tutto è arrivata prima in classifica e merita la serie A. L’altra sera, sotto una pioggia battente, ho visto amici e amiche, fidanzati e fidanzate, mogli, mariti e tanti bambini, tutti insieme allo stadio, pronti a festeggiare per una lunga notte, tutti insieme senza nessuna paura, solo per il gusto del calcio, solo per stare insieme, divertirsi, senza pericoli, senza preoccupazioni. Che sia questo il calcio del futuro? Piccole città, piccoli stadi, il calcio pane e salame del Carpi, del Sassuolo e del Chievo? Probabilmente è un’utopia, ma visto che il Dio italiano del Pallone ogni tanto si ricorda di santificare ancora il gioco più bello del mondo, allora non è tutto perduto. A parte che il Carpi e i suoi tifosi rimangano cosi come sono e non cerchino di scimmiottare i “mastini” delle curve. Se così sarà, la speranza di “salvare” il calcio – il nostro oppio della domenica (ma anche di tutti gli altri giorni, ormai) – sarà finalmente concreta. E se migliorano gli stadi, crediamo che possa migliorare anche la nostra società.
P.s. In bocca al lupo al Carpi per la prossima serie A!
Mese: Aprile 2015
LA PICCOLA GRANDE BARZELLETTA DEI MUSEI GRATIS
Dal 1° luglio 2014, la legge-Franceschini, ministro dei Beni Culturali, ha introdotto finalmente una bella novità: la prima domenica di ogni mese tutti i musei e palazzi storici italiani saranno aperti gratuitamente al pubblico! Una grande notizia, che porta l’Italia allo stesso livello di altri paesi europei, come ad esempio la Francia, che da anni adotta questo sistema di promozione turistica. Ebbene: a distanza di diversi mesi, con un colpevole ritardo, ho potuto verificare sul “campo” il non completo successo di questa iniziativa. Un classico esempio di poca chiarezza all’italiana. E’ successo la prima domenica di aprile, quando alcuni amici e parenti sono venuti a trovarmi a Torino: quale migliore occasione per visitare alcuni dei musei e palazzi storici più noti? E allora cominciamo con la Reggia di Venaria, splendida residenza sabauda riaperta nel 2007 dopo quarant’anni di abbandono, degrado e oblio. Ebbene: l’ingresso alla Reggia di Venaria è tutt’altro che gratis. Il costo della visita completa (Reggia+giardini+mostra) costa addirittura 25 euro (ma solo un euro per i ragazzi fino ai 16 anni). 25 euro per la Reggia di Venaria? Un po’ tanti se pensiamo che il Louvre di Parigi – un tantino più famoso – costa appena 10 euro e che British Museum e National Gallery di Londra hanno ingresso sempre gratuito, con offerta libera consigliata di due sterline. Ma, al di là del costo, perchè la Reggia di Venaria non è gratis la prima domenica del mese? Giriamo la domanda ai solerti inservienti (talmente solerti che, alle 18, già non vedevano l’ora di chiudere baracca e burattini): “La Reggia di Venaria non è gratis perchè non è un museo o edificio statale, ma regionale”. Capito? E noi che pensavamo che un museo regionale fosse pubblico come quello statale: e invece no! Che fregatura…
Poco male: ci spostiamo di pochi km e da Venaria ci trasferiamo a Stupinigi, nella bellissima Palazzina di Caccia, anche questa spettacolare vestigia dei Savoia dei loro tempi migliori e più rigogliosi. Ma anche qui niente da fare: pure la Palazzina di Stupinigi è regionale e non statale e quindi, anche in questo caso, niente prima domenica del mese gratis nemmeno in questo caso! Si vede che va così: i musei italiani saranno anche aperti alla domenica, ma con le dovute eccezioni. E allora scrivete: “Aperti solo i musei statali”. Insomma: una piccola grande barzelletta, quella di tutti i musei aperti. Anche se, in questo caso, la responsabilità è delle istituzioni locali, lentissime nel recepire le direttive del ministero. E così, quella domenica, con gli amici e parenti, abbiamo dovuto ripiegare sul Museo Egizio, appena rinnovato: qui si che l’ingresso è gratuito. Ma con due ore di coda! Ergo: abbiamo lasciato perdere. E quando ho accennato a lamentarmi, qualcuno ha osato zittirmi dicendomi: “Si informi meglio, guardi il sito internet!”. Detto, fatto: almeno per la prossima volta. Il sito di riferimento è www.beniculturali.it: e così ho scoperto che la prossima prima domenica del mese potrò andare gratuitamente agli Scavi di Pompei, al Colosseo, al Castello Sforzesco di Milano, agli Uffizi di Firenze, alla Pinacoteca di Brera e in decine e decine di altri musei, grandi e piccoli, in tutta Italia. Ma, tra gli altri, non si potrà entrare gratuitamente all’Arena di Verona, alla Torre di Pisa, al Palazzo Ducale di Genova (in Liguria i siti statali visitabili gratis sono solo 5: possibile che gli altri siano tutti regionali?), al Palazzo dei Diamanti di Ferrara e nemmeno al Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono custoditi i famosi Bronzi di Riace: la loro riapertura è prevista solo dal 1° maggio, dopo sei mesi di lavori per il nuovo allestimento e ancora non si sa se alla domenica il museo, peraltro periferico e poco visitato, sarà aperto al pubblico. Insomma: una bella iniziativa, rovinata dalla solita pessima organizzazione all’italiana. Però, volendo, per migliorarla basta poco. Così come le tessere-sconto: meglio gli sconti per gli over 65 o, come in altri paesi, per gli under 25? Questione di scelte. Forse l’Italia non è un paese per giovani.