E LE PORTE FINALMENTE SI APRIRONO….

E LE PORTE FINALMENTE SI APRIRONO…
di Cristiano Tassinari 191312077-7ac4f637-5f40-46ca-a5db-1bdeda3618f1
Non so cosa sia successo e quando sia successo esattamente, ma qualcosa è cambiato. L’arrivo dei profughi siriani alla stazione di Monaco di Baviera, in Germania, accolti addirittura dagli applausi, è un gesto meraviglioso che resterà per sempre nei libri di storia e nei cuori di chi ha vissuto da vicino questi giorni. Noi possiamo, al massimo, applaudire stando seduto su un comodo divano occidentale di fronte ad un mega-televisore, magari di fabbricazione tedesca o asiatica. Siamo spettatori della Storia, un po’ come era successo – sempre in Germania – il 9 novembre 1989, per la caduta del Muro di Berlino. Il 5 settembre 2015 assumerà la stessa importanza. Finalmente l’Europa si è svegliata. Intesa, naturalmente, come Europa dei governi: l”Europa dei popoli lo aveva già capito, almeno chi ogni giorno, da anni, sulle coste del Mezzogiorno d’Italia, offre ospitalità a questi disgraziati che arrivano da paesi poveri e ora anche dilaniati dalle guerre e dalla presenza dei terribili tagliagola dello Stato Islamico. Mettetevi nei loro panni: come si può rimanere là? Mettiamoci nei loro panni: non avremmo fatto la stessa cosa? Non avreste voluto anche noi, non avremmo voluto anche noi, qualcuno che finalmente ci tendesse la mano? Certo che si. Qualunque rischio, pur di arrivare nella nostra ancora ricca e democratica Europa, non è comunque sempre meglio che rimanere in balia di povertà e assassini truculenti? La risposta è si, ovviamente. Fosse anche una camminata a piedi da Budapest a Vienna, la Lunga Marcia della Speranza. E noi, che nella decadente Europa ci viviamo, non ci siamo ancora resi conto della fortuna che abbiamo sotto il sedere, la fortuna di essere nati qui in Italia anzichè in Siria o in Libia. Ma forse, questa fortuna, non vogliamo più dividerla con nessuno. Probabilmente ci siamo dimenticati di quando i poveracci e gli emigranti eravamo noi, in giro per il mondo, trattati male come spesso sono trattati male questi poveri disgraziati che cercano solo un posto dove vivere in pace. Noi abbiamo la crisi, loro hanno la guerra, loro hanno gli assassini alle calcagna. Se ne debbono essere scordati anche gli ungheresi, un popolo che è stato oppresso per 50 anni dalla dittatura sovietica, e che ora – con un vergognoso governo neonazista – si permette addirittura di erigere un muro (un altro muro?) contro l’arrivo dei profughi. Mi sono sempre espresso in maniera molto critica contro questa Europa dei banchieri e che pensa solo ai soldi, che perde mesi per risolvere il problemi di cassa della Grecia e dedica 5 minuti per tentare di risolvere l’immane problema, epocale, della fuga dei popoli da un posto all’altro. Un’emergenza che durerà 20 anni, dicono. Probabile, possibile. Ma adesso qualcosa è cambiato. “Merito” della foto terribile del bambino siriano morto sulla spiaggia turca? “Merito” degli stessi profughi che hanno smesso di arrivare solo in Italia e che hanno letteralmente invaso altri paesi, dalla Grecia alla Macedonia, con i treni che attraversano il cuore della Mitteleuropa, fino a Budapest e Vienna, fino alla stazione di Monaco di Baviera, rendendo il problema-immigrazione un problema mondiale e non solo italiano? Certo, è successo anche questo, in pochi giorni, con una vertiginosa accelerazione rispetto all’immobilità dell’operazione Mare Nostrum. Leggo sui social network commenti discordanti e a volte disgustosi: qualcuno parla di “strana” apertura della Germania, qualcuno se la prende con la Merkel, altri dicono che è tutto un business (altro che mano sul cuore), gli sfoghi troppo buonisti e troppo razzisti si sprecano, qualcuno cerca con il lanternino la differenza tra profughi, rifugiati di guerra, richiedenti asilo politico e clandestini. Ha ha ragione il collega Francesco Gilioli, inviato per il Gruppo L’Espresso alla stazione Keleti di Budapest: non si può parlare di immigrazione se non si è visto quello che è successo in questo giorni, in queste settimane, in questi mesi, leggendo negli occhi di questi uomini, donne e bambini, la disperazione ma anche la speranza, fosse solo di stringere forte un morbido peluche. Ora vediamo quello che succederà, ma finalmente la buona notizia è che qualcosa è già successo. Il prossimo passo sarà fare qualcosa per fermare la carneficina in Siria, Libia, Iraq e paesi derelitti limitrofi: solo così questi “poveri disgraziati” potranno essere persone felici nelle loro terre, a casa loro. Lo vorremmo anche noi, se fossimo al posto loro.

UN FEDELE SERVITORE DELLO STATO

Un fedele servitore dello Stato. Si dice così, no? Allora lo possiamo dire senz’altro del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Giovedì 3 settembre saranno passati 33 anni dalla sua morte. Avrebbe compiuto 62 anni qualche settimana dopo. Nato a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre 1920, figlio di un Generale dei Carabinieri, il giovane Carlo Alberto si godette poco la gioventù saluzzese in epoca fascista e combatté in Montenegro durante la Seconda Guerra Mondiale come sottotenente, entroò nei partigiani dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quindi seguì le orme paterne entrando nei Carabinieri. Negli anni ’70, gli “anni di piombo”, fu alla guida del Nucleo Antiterrorismo, con base a Torino. E proprio dal capoluogo piemontese fu uno dei principali artefici della lotta al terrorismo, in particolare contro le Brigate Rosse. Nel 1974 ad un passaggio a livello a Pinerolo vennero arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini, ideologi e fondatori delle Brigate Rosse. Curcio restò poco dietro le sbarre: evase nel febbraio del ’75 dal carcere di Casale Monferrato, grazie ad un blitz dei compagni brigatisti capeggiati dalla moglie di Curcio, Margherita “Mara” Cagol. Qualche anno dopo, la donna rimase uccisa in un conflitto a fuoco con i carabinieri sulle colline di Acqui Terme. Questo episodio, le rivelazioni del pentito Patrizio Peci e la successiva sanguinosa irruzione (quattro brigatisti e la proprietaria dell’appartamento restarono uccisi) di via Fracchia (1980), un covo delle BR a Genova, portò all’inizio della fine del terrorismo in Italia.
Nel 1982, il Generale Dalla Chiesa fu nominato Prefetto di Palermo dall’allora ministro dell’interno Virginio Rognoni, che gli assicurò poteri straordinari per combattere la mafia come aveva fatto con il terrorismo. Ma furono solo parole: più volte Dalla Chiesa si lamentò di essere stato lasciato senza uomini, mezzi e sostegno dello Stato.
Dopo la morte per infarto della prima moglie nella loro casa di Torino (1978), il Generale Dalla Chiesa si risposò il 12 luglio 1982 con Emanuela Setti Carraro, una giovane infermiera di Vercelli, di 30 anni più giovane. Il loro matrimonio durò fino a quella maledetta sera del 3 settembre 1982: alle 21,15 la piccola A112 bianca sulla quale viaggiava il Generale Dalla Chiesa, guidata dalla moglie, fu affiancata in una via di Palermo da una Bmw, dalla quale partirono alcune raffiche di kalashnikov, che uccisero sul colpo Dalla Chiesa e la moglie. Dietro, un complice fulminò a colpi di mitra anche l’autista e guardia del corpo, che seguiva Dalla Chiesa a bordo di un’altra auto di servizio.
Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è sepolto a Parma, nel Cimitero delle Villette. 280px-DallaChiesa