di Stefano Tallia
Giornalista Rai Piemonte e segretario Associazione Stampa Subalpina
“L’ultimo scambio di mail è di ieri mattina: una riflessione condivisa su come avvicinare i più giovani al sindacato, un appuntamento per parlarne ancora a quattr’occhi e trovare le parole giuste.
Era così del resto da venticinque anni, da quando, giovane attivista del movimento studentesco, incontrai Vera sulle strade della protesta torinese: giornalista attenta, curiosa e interessata anche alle tante sciocchezze che dicono i ventenni quando sognano un mondo migliore. Il confronto e lo scambio con lei erano quotidiani, ancor più intensi nelle rare volte in cui ci capitava di avere opinioni divergenti. Ma non è questo ciò di cui vorrei scrivere. I ricordi di un’amicizia è giusto che restino racchiusi dentro al cuore.
Fatemi parlare invece di quello che da oggi ci mancherà e del tanto lavoro che dovremo fare per rendere meno pesante la mancanza di Vera nel mondo del giornalismo piemontese.
Se in molti siamo diventati giornalisti, lo dobbiamo infatti a lei, a quel suo entusiasmo nell’interpretare la professione, a quella sua voglia che ci ha spinti a non mollare anche nei momenti peggiori. A quell’idea etica e al tempo stesso libera e non dogmatica del giornalismo. A quel cercare risposte che non fossero mai scontate.
Vera Schiavazzi, come hanno scritto molti colleghi, è stata per lunghi anni una delle colonne portanti della redazione torinese di Repubblica e ha arricchito con la sua firma molte altre testate. Lo ha fatto con curiosità e scegliendo sempre le parole giuste, ma è stata anche molte altre cose. Dirigente del sindacato, donna impegnata nel politico e nel sociale, c’è un filo rosso che ha legato la sua attività: l’essere al fianco dei più deboli e dei più giovani. Non a caso lo spazio che ha forse amato di più nella sua ricca carriera professionale è stato quello del Master di Giornalismo di Torino. Una scuola che ha fortissimamente voluto e difeso in più di dieci anni di lavoro, spesso sfidando solitudini e silenzi. E’ in quelle stanze che la sua missione per il giornalismo ha raggiunto il punto più alto. Non era una maestra con la penna rossa, Vera. Spesso, il suo modo di farci comprendere un errore, era quello di porre una domanda, quella domanda che ti costringeva a fare il passaggio successivo. Lo ha fatto decine di volte con me, lo ha fatto di certo con i suoi allievi del master.
Discussioni che poi si chiedevano sempre con un sorriso, con una battuta.
Oggi nessuno di noi ce la fa a sorridere, ma dovremo andare avanti nelle tante cose giuste che Vera ci ha insegnato. Lo dobbiamo a lei, lo dobbiamo a noi, lo dobbiamo a una società e a un mondo che non dobbiamo smettere di sognare migliori. E che solo quel buon giornalismo, lontano dalle ideologie ma vicino alle persone che ci ha insegnato Vera, può aiutarci a raggiungere”.