Sono rimasto particolarmente scosso dalla brutta fine del povero Giulio Regeni, il giovane studente friulano, ricercatore e giornalista trovato morto in una strada del Cairo, la capitale dell’Egitto, da qualche anno diventata una delle città più pericolose del mondo. E’ lì che Giulio ha trovato la morte, a soli 28 anni, in circostanze drammatiche e misteriose. L’impressione, purtroppo, è che si tratti di un omicidio di stato, un assassinio politico, ordito all’interno dell’attuale pseudo-democrazia del presidente Al-Sisi, che qualcuno già definisce “peggio della dittatura di Mubarak”. E questo lo dicono gli stessi egiziani, a 5 anni dall’illusione di Piazza Tahrir e della “Primavera Araba”. Giulio Regeni aveva girato un bel po’ di mondo e ora studiava in Egitto, forse era venuto a contatto con movimenti politici e sindacali oppositori dell’attuale regime e questo, agli occhi del governo, è stato il suo peccato mortale: forse i servizi segreti gli hanno chiesto di “fare la spia”, lui ha detto di no e si è ritrovato picchiato, torturato e ammazzato. E le indagini depistate e insabbiate. Visto che stavolta non sembrano esserci di mezzo i soliti terroristi, rimane veramente plausibile l’ipotesi dell’omicidio di stato. A questo punto, il nostro paese – se è un Grande Paese – deve pretendere la verità, placare la sete di giustizia (non di vendetta) della famiglia di Giulio: questa volta non dobbiamo calare le braghe come stiamo facendo con l’India per i due marò, stavolta non ci devono essere motivazioni diverse da quella della ricerca della verità, non dobbiamo farci di nuovo mettere i piedi in testa da un paese del Terzo Mondo (l’Egitto, si, diciamolo chiaramente) solo perché ci vende due barili di petrolio o ci fa costruire un’autostrada. La vita di Giulio Regeni valeva (vale) molto di più.