Brexit, il grande incantesimo ha stregato la patria dell’occulto.

di Giancarlo Loquenzi
La Stampa, 26.6.2016brexit

«Non ho mai desiderato tanto avere poteri magici come oggi», ha confessato J.K. Rowling, la creatrice della saga di Harry Potter, quando venerdì mattina ha visto la vittoria di Brexit.

Non solo una frase consegnata a Twitter per dar voce al senso di impotenza davanti ad un evento che la Rowling avrebbe voluto cancellare con un colpo di bacchetta magica, ma anche l’idea che ci vorrebbe un incantesimo per dissolverne un altro uguale contrario. Perché visto da Londra, annusato nei pub, ascoltato in metropolitana, letto sulle facce incredule dei cittadini il fenomeno Brexit ha la potenza e la risonanza di un grande gesto magico.

Non è un caso se di Londra si dice che, assieme a Torino e San Francisco costituisca una triade esoterica legata alle forze dell’occulto. La capitale inglese irradia poteri magici dai tempi dei druidi passando per il mondo shakespeariano fino alle arti esoteriche di Aleister Crowley, il più celebre mago moderno, e del suo culto di Thelema.

Brexit dunque non è stato solo un brutto neologismo, una crasi infelice per un destino di abbandono. Con il tempo si è trasformato in un «charm»: un incantesimo sussurrato ma potentissimo consegnato nelle mani di 33 milioni di cittadini, che per una esigua ma sufficiente maggioranza hanno deciso si farne uso, ognuno a modo suo.

Non c’è discorso pubblico che tenga, non c’è minaccia economica, geopolitica o umanitaria che spieghi quanto è successo il giorno del referendum. Basta invece una semplice parola magica: Brexit. Ognuno dei 16.141.241 votanti per il Leave ha unito il suo proprio piccolo o grande desiderio al più favoloso evento magico della storia del Regno Unito.

È stato come quando si vede una stella cadente – e qui le stelle che cadevano erano le 12 stelle dorate della bandiera europea – e si può desiderare qualsiasi cosa: più soldi (soprattutto), un lavoro migliore, meno tasse, un concorrente da eliminare, una casa più grande, una città più sicura, un tassista che parli inglese, la caccia alla volpe, il ritorno dell’impero, un posto a sedere nel treno dei pendolari, la Manica sempre in tempesta.

Per un popolo che crede nella magia, dire o solo pensare le sei lettere della parola Brexit è stato come congiurare una formula negromantica corale a cui gli scontenti, gli spaventati, i delusi, gli insoddisfatti, o magari solo gli annoiati, hanno fatto ricorso come tanti Peter Pan, per ritrovare l’isola che non c’è più ma che c’era una volta. Per tornare bambini.

Nel mondo di Harry Potter sarebbe bastato evocare l’expecto patronum, il più potente tra gli incantesimi difensivi, l’unico a proteggere chi lo usa dalla minaccia dei «dementor», quella creatura oscura che si nutre della felicità degli uomini, succhia la loro energia e li lascia confusi e depressi. Esattamente come qualsiasi inglese vede l’Europa.

Nel centro di Londra, al 111 di Cannon Street, si conserva da secoli la «London stone», si dice sia portata qui da un bisnipote di Enea. Ora è protetta da una piccola gabbia dentro un negozio di cancelleria. Per i londinesi è l’omphalos, l’ombelico, una pietra magica che tiene in equilibrio una vasta rete di correnti esoteriche e telluriche, le «ley lines». Finché resta lì niente di male può capitare alla città e al paese. Ne era già convinto il mago di fiducia della regina Elisabetta I, John Dee di cui parla anche Umberto Eco nel Pendolo di Foucault e che H.P. Lovecraft considera l’autore del Necromicon. Dopo Brexit la pietra è ancora lì. Così come attorno alla Torre di Londra continuano a volare i corvi neri considerati spiriti protettori della città. Segni che nulla di male accadrà al Regno di Sua Maestà.

Nel resto del mondo si teme la tempesta scatenata dalla decisione britannica di lasciare l’Europa, ma di qua dalla Manica la tempesta non fa così paura. Da Shakespeare in poi è la metafora dell’illuminazione e della crescita, contro la paralisi e la resa del resto del mondo. Ed è ancora un mago, Prospero a ricordarlo, e oggi potrebbe essere Nigel Farage a parlare così: «Tutto procede a norma de’ miei desideri, questi miei nemici son tutti preda della lor pazzia, tutti quanti in totale mio potere, il mio disegno sta venendo a capo; gl’incantesimi vanno tutti a segno».

E se l’antidoping lo facessimo al Cio?

di Oliviero Beha
Il Fatto Quotidiano, 27.6.2016schw

Se sul giornale di oggi parlo della “partita”, l’attenzione dei lettori va ovviamente all’ottavo di finale Italia-Spagna, alle 18. Come già fatto alla vigilia degli Europei, qui dichiarandomi ottimista tra i gufi, rischio uno sputtanamento previsionale: se la partita resta in bilico, in qualche maniera vincono i patriottici “azzurri” di “bellicapelli” (non è Renzi…), altrimenti si rischia una vera imbarcata. Come motivo tutto ciò? Con il fatto che si segna talmente poco in questi Europei della noia nonostante la grancassa degli imbonitori che o il match “si apre”, e la vedo brutta, oppure rimane confezionato in un cellophane tattico e allora mi prendo i connazionali… Eppure quando evoco la “partita” non intendo questa, bensì il gravissimo trappolone teso all’ex olimpionico superdopato e superdotato naturalmente, Alex Schwazer. Come saprete, è stato trovato misteriosamente positivo a un test sulle urine del gennaio scorso, allora negativo, diventato tempestivamente positivo presso il laboratorio di Colonia dell’Agenzia mondiale antidoping, in arte Wada.

Schwazer era appena rientrato alle gare dopo quasi quattro anni di squalifica e un allenamento durissimo sotto gli occhi del massimo esperto europeo di lotta al doping, il tecnico Sandro Donati, segnando subito un tempo eccezionale nella 50 km di marcia, in maggio, e candidandosi all’oro olimpico di Rio. Pensate che storia: l’inferno dell’imbroglio, con oro a Pechino, la dannazione come atleta e come persona, la rinascita al massimo livello come un’araba fenice che resta se stessa mutandosi dall’overdose di droga sportiva al classico “acqua e sapone”.

Adesso, tenuta a bada la depressione per questo clamoroso risvolto che colpisce l’uomo altoatesino fin nei precordi comunque diffamandolo a mezzo stampa (perché questo rimarrà nella memoria collettiva, ed è vergognosamente irreparabile) e sconvolge un esperto di chiara e integerrima fama come Donati, ci sarà la controprova (o provetta…). I due “comodi reprobi annunciati” (spiego subito perché) hanno già presentato in Procura una dettagliata denuncia contro ignoti per truffa sportiva. Solo che queste analisi le rifanno a giorni, ma sempre a Colonia. Dalle notizie che si hanno sul mancato “anonimato” del campione di urine e una serie di altre irregolarità “mirate” ce n’è già abbastanza per pensare a un raggiro. Vi chiederete perché, e forse se io sia uno stolido tifoso di Alex, o di Donati. Vi invito invece a una disciplina sportiva obbligatoria, la diffidenza originata dalla sproporzione delle forze in campo. La Wada è un sistema di potere che muove circa 50 milioni di euro, finanziato per lo più dal Cio in completa assenza di divisione e autonomia dei poteri, alla faccia di qualunque Montesquieu. Per dare l’idea della sua affidabilità, non si contano i laboratori Wada sospesi o chiusi per manifesta impostura, da Mosca a Rio passando per Madrid. In Italia è la camorra a gestire il grande business delle sostanze dopanti per una popolazione finto-sportiva, dai giovanissimi a veterani. Solo quello che riescono annualmente a sequestrare i carabinieri nelle loro indagini nel sottobosco dei palestrati ammonta a circa 600 milioni di euro, un terzo delle stime. Schwazer grazie a Donati e a se stesso stava diventando una specie di antidoto a questa gigantesca malattia, che avvicina la droga “sportiva” alle droghe tout court. Ma se “bastassero” un tecnico e il suo staff dalla parte giusta con l’apporto di un exsuperdopato adesso limpido che va forte come o più di quando si dopava, tutto l’edificio politico-sportivo rischierebbe di franare dalle fondamenta, Cio, Comitati Nazionali, Wada ecc.

Così invece sarebbe “solo” uno Schwazer che ci ricasca. Per questo la partita vera, che riguarda la salute dei nostri figli, si gioca su questo terreno, in cui il sistema ha tutto l’interesse a schiacciare i “comodi reprobi” di cui sopra per mantenere in vita il baraccone drogato, dal business dello sport-spettacolo a quello dei farmaci dopanti da strada. Insomma, l’hanno fatta sporchissima: ma non solo a Schwazer e Donati, bensì a tutti noi…