FAR WEST VIRTUALE: SERVE UNA REGOLAMENTAZIONE SU DIFFAMAZIONE E PRIVACY

Non si può più andare avanti cosi: non si può più fare a meno di una regolamentazione del “Far West” virtuale dei social network. Lo impongono ormai i dati-monstre delle piattaforme più famose: ogni secondo su Facebook vengono pubblicati 50mila post, mentre su Twitter sono oltre 300mila i tweet e su YouTube vengono caricare oltre 85 ore di video! In mezzo a questo “mare magnum” ci sta di tutto, anche il peggio: dagli insulti ai politici di turno, fino agli sberleffi e al cyberbullismo, di cui può essere vittima un adolescente, ma anche una donna di 31 anni, come la povera Tiziana Cantone, travolta dalla vergogna di un suo video hard fatto circolare per tutta la Rete. Come si può porre un freno a tutto questo? I politici, da tempo, richiedono una regolamentazione che parifichi la diffamazione via web al reato di diffamazione a mezzo stampa, che può costare, al diffamatore, una querela e un processo sia civile e penale. Sui giornali e in tv non si possono offendere la Boldrini o Renzi (in testa alla classifica dei politici più insultati d’Italia) e, perciò, non dovrebbe essere possibile farlo nemmeno sul web. E su questo punto si trovano d’accordo anche altri personaggi pubblici, più o meno famosi, che siano cantanti (Gigi D’Alessio è, da sempre, uno di quelli più nel mirino), calciatori o attori. Non si possono insultare gratuitamente. Punto e basta. E su questo sono d’accordo. Del resto, siamo in un’epoca talmente tecnologica che i “leoni da tastiera” dall’insulto facile diventano poi, improvvisamente, i più servili tra quelli che si tolgono il cappello al potente di passaggio. Conta proprio il passaggio: dal virtuale al reale. E le cose cambiano parecchio. Ma al di là dell’onorabilità di certi personaggi, nel sottobosco insidioso di Internet c’è tutta una popolazione adolescenziale perenne connessa: e dopo i recenti fatti di cronaca e di bullismo telematico, che hanno portato addirittura a non sporadici suicidi di ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni, si comincia finalmente a parlare di limiti, barriere e sbarramenti al favoloso “world wide web”. Secondo esimi giuristi, è arrivato il momento di regolamentare la possibilità di accesso dei ragazzi ai social media: un limite di almeno 14 anni per essere membri e per postare foto e notizie. Oltre ad una maggiore attenzione da parte delle famiglie, troppo spesso distratte dalla “vita virtuale” dei loro figli. In realtà, le norme per tutelare bambini e adolescenti ci sono già: prevedono l’iscrizione alle piattaforme social solo ad una determinata età: Facebook, ad esempio, in molti paesi – Italia compresa – ha previsto un limite minimo di 13 anni, anche se poi l’Unione Europea l’ha alzata a 16, stabilendo che a decidere debbono essere i singoli paesi. In ogni caso, falsificare l’età è facilissimo: un po’ come per i distributori automatici di sigarette, vietati a minorenni. Ma poi basta inserire la tessere sanitaria di un amico maggiorenne e il gioco è fatto… Servono maggiori controlli, ma anche una nuova educazione civile, che deve necessariamente partire dai giovani, che diventeranno poi gli adulti di domani, per evitare di finire in “trappole mediatiche” come è accaduto alla povera Tiziana Cantone.
in attesa di leggi che vadano a riempire questi vuoti normativi, una novità importante sulla giustizia dei contenuti on-line scatterà dal 25 maggio 2018 e risolverà i problemi della extraterritorialità: in precedenza i colossi del web non riconoscevano le leggi italiane, ma quelle del paese in cui avevano sede. Ma l’Unione Europea ha stabilito che sulla privacy sia dominante la normativa vigente nel luogo di destinazione del servizio e non dove ha sede il gestore. Una conquista importante. Ma chissà se basterà.

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