Scrivo ad una settimana dalle elezioni italiane del 4 marzo 2018. Ma più che del voto, vorrei scrivere di questa campagna elettorale. Altro che “infuocata”, come di solito noi giornalisti amiamo definirla: questa è stata una campagna elettorale vergognosa. Da tutte le parti, intendiamoci. Tutti contro tutti. E con un’ondata di violenza, sociale e fisica, senza precedenti, almeno dagli anni ’70 ad oggi, da quando – cioè – ne ho memoria io. Una campagna elettorale che è stata (ed è ancora) una autentica caccia alle streghe. Dove, al giorno d’oggi, le streghe sono rappresentate dagli stranieri, dagli immigranti: anzi, si dice “migranti”, è questa la parola politicamente corretta da usare. Non c’è bisogno di essere un raffinato commentatore politico, come già ce ne stanno troppi, per capire che le elezioni si giocheranno, vinceranno e perderanno attorno al tema degli immigranti (pardon: migranti) e della sicurezza. Se tanto mi dà tanto, il PD dovrebbe straperdere e la Lega di Salvini stravincere. Eppure non sarà esattamente così: in mezzo ci sono anche il Movimento Cinque Stelle, favoritissimo per la vittoria finale (poi si vedrà con chi farà il governo: ma credo che non vorranno perdere una occasione più unica che rara di salire al governo, e alla fine faranno un’alleanza con chiunque, pur di farcela…) e Forza Italia del sempreverde Silvio Berlusconi (ma dovremmo già averne avuto abbastanza, o no?). Gli altri, contano poco. A cominciare da Grasso e dal suo partito. Dare il voto alla Boldrini, peraltro, diventa un esercizio di contorsionismo mentale di impossibile comprensione. Da valutare le mine vaganti: l’ultra destra di Forza Nuova e, soprattutto, di CasaPound. E anche in questo caso, il tema ricorrente diventa quello degli stranieri. Ovvio che di problema, il nostro ex BelPaese, ne ha molti altri: a cominciare dall’economia che non gira, dalle aziende stritolate dalla crisi e, ancor di più dalle tasse imposte dallo Stato, dal lavoro che fatica a decollare, nonostante i presunti numeri positivi del Jobs Act, l’apoteosi del precariato. In mezzo a tutti questi problemi di “economia reale”, in questi ultimi mesi di campagna elettorale è saltato fuori il problema “storico” del fascismo, dell’antifascismo e del razzismo (ormai l’epiteto “razzista” non si nega a nessuno, anche per un nonnulla, nemmeno ad uno che si incazza perchè gli zingari gli hanno svaligiato casa). E quindi, un’esclation di violenza e di cronaca nera: dopo la tragedia di Macerata, con la povera Pamela, 19 anni, fatta a pezzi dai nigeriani (si può dire o ci sono ancora dubbi?), arriva lo stupido “giustiziere” Luca Traini, testa rasata e vuota, vicino alla Lega, che ha tentato di farsi giustizia da sé. Poi è sembrata quasi più terribile la sparatoria di Macerata che quello che hanno fatto a Pamela…
E poi cos’altro, ancora? La fine tremenda della povera Jessica, poco più che ventenne, uccisa da un tramviere di Milano, tale Alessandro Garlaschi. E tutti a dire: “Vedete che gli assassini non sono sempre gli stranieri?”, come se fosse necessario sempre giustificare gli stranieri, gli immigrati (anzi: i migranti). E cosi, da una parte chi sta sempre e comunque con i poveri stranieri e dall’altra chi sta sempre e comunque contro i poveri stranieri: e finisce a botte un po’ ovunque, a Palermo addirittura menano uno dei leader di Forza Nuova (di solito sono loro a menare gli altri!). E poi grandi, inutili manifestazioni. A Roma, a Milano, a Torino. Un po’ di botte di qua, un po’ di tafferugli di là. Manifestazioni contro il fascismo, contro il razzismo, contro gli stranieri, contro tutto e tutti. E ad approfittarne sono solo i politici, che fingono di sposare una causa, ma che lo fanno solo ora, che siamo al rush finale della campagna elettorale. Non ve ne siete accorti?
No, grazie.
Passo la mano.
Ecco perchè stavolta non vado a votare. Faro’ parte del più grande partito italiano del 2018: il partito degli Astensionisti. Noi si che vinciamo veramente.
E così me ne vado all’estero (niente fuga di cervello, solo bisogno) a guadagnare un po’ di soldi. Che è meglio. Che se aspetto la pensione, campa cavallo….
Mese: Febbraio 2018
La sicurezza sui treni: una priorità europea
Il recente incidente ferroviario di Pioltello, alla periferia di Milano, avvenuto il 25 gennaio scorso, ha riacceso i riflettori sulle condizioni di sicurezza nei mezzi pubblici, in particolare il treno. Naturalmente si tratta di un problema non solo italiano, ma di tutti i paesi europei e non soltanto. Nell’incidente di Pioltello ci sono state tre vittime, tre donne ignare del loro destino al momento della partenza, al mattino presto, con il solito treno regionale che le avrebbe portate al lavoro. Un percorso fatto mille volte, eppure stavolta fatale. Ci sono stati anche 46 feriti, che non bisogna dimenticare. Sul banco degli imputati, l’azienda di trasporti ferroviari Trenord, che svolge trasporto locale tra la Lombardia e il Canton Ticino.
Secondo la prima ricostruzione da parte degli esperti, l’incidente sarebbe stato causato dal cedimento strutturale di un pezzo del binario su cui transitava il treno: appena 20 centimetri di binario, un’inezia che ha rappresentato – tuttavia – la differenza tra la ormalità e il disastro, tra la vita e la morte.
Tragica fatalità o incuria e mancata manutenzione delle infrastrutture? Su questo, sulle responsabilità dell’incidente, si esprimerà a suo tempo la magistratura. Rimane, comunque, la sensazione che in un mondo su rotaia che va ad alta velocità (i Frecciarossa di Trenitalia e gli Italo, appena diventati americani, sono bellissimi, comodissimi ed efficientissimi, e il super treno tedesco Ice sembra un portento), le linee secondarie sono state piano piano un po’ abbandonate, lasciate a se stesse. Ma qui stiamo parlando di un treno regionale, un treno di pendolari, un treno che partiva da Cremona e sarebbe dovuto arrivare a Milano. Non esattamente una linea secondaria. Non proprio un “ramo secco”. come invece sono diventate tante linee locali, in tutta Italia, con orari ridotti, treni soppressi, biglietterie chiuse.
Ancora piu’ disastroso l’incidente del 12 luglio 2016, sulla tratta Andria-Corato, della linea Bari-Barletta. Nello scontro di due treni sullo stesso binario, il bilancio è stato terribile: 23 vittime e quasi 60 feriti. Neppure quella linea era una di quelle considerate “ramo secco”, dal momento che i finanziamenti per il raddoppio del binario pare fossero già pronti da tempo, eppure mai maledettamente usati. Così, su quell’unico binario in mezzo agli ulivi, è stato l’errore umano a causare l’incidente: solo a dicembre, la giustizia ha cominciato a fare il suo corso, con 19 persone indagate, tra cui il capotreno e il capostazione, ma anche i dirigenti di Ferrotramviaria – l’azienda che si occupava del trasporto -, colpevoli di mancati investimenti in sicurezza e vigilanza. Indagati anche due funzionari del Ministero dei Trasporti, poichè non adottarono provvedimeti urgenti affinchè la rete ferroviaria fosse adeguata e nonostante fossero a conoscenza dei rischi della gestione del traffico con il regime del blocco telefonico. Pensate: siamo ancora al livello di dare il via libera o meno ad un treno con un colpo di telefono…
Non siamo certi qui a fare la triste statistica degli incidenti ferroviari avvenuti in Italia (particolarmente drammatico quello del 29 giugno 2009 alla stazione di Viareggio, quando un treno merci deragliò, la cisterna con il Gpl prese fuoco e causò 32 morti e oltre 20 feriti, molti dei quali gravemente ustionati), ma a cercare di capire qual è il limite della sicurezza sui mezzi pubblici. Proprio in un momento storico di sempre maggiore sensibilità ai temi ambientali e alla lotta all’inquinamento e…alle automobili, i mezzi pubblici devono rappresentare una alternativa economica e, soprattutto, sicura. Inutile (e sbagliato) sostenere che i treni siano pericolosi, visto che le statistiche smentiscono questa affermazione, ma certo – ancor più di tram, bus e metropolitane – il treno è il mezzo più usato dai pendolari. E, quindi, i prezzi e la sicurezza dovrebbero essere pensati in funzione loro. E la sicurezza non dovrebbe avere prezzo.
Le cose non è che vadano molto meglio nel resto dell’Europa. Secondo Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione Europea, i dati – seppur non recentissimi, riferiti all’anno 2014 – fanno emergere un aumento del 5,1% del numero degli incidente ferroviari, in particolare in quattro paesi: Germania, Polonia, Ungheria e Romania. In Germania, il 5 dicembre scorso, solo un miracolo ha impedito che ci fossero vittime (ma 50 feriti) nello scontro tra un treno merci ed uno passeggeri, avvenuto alla stazione di Meerbusch-Osteroth, vicino a Dusseldorf, nel Nord Reno-Westfalia. Ma sicuramente tutti si ricordano della tragedia ferroviaria più spaventosa di sempre in Germania, l’incidente del 3 giugno 1998, ad Eschede, in Bassa Sassonia: un IntercityExpress da Monaco di Baviera ad Amburgo deragliò, causando la morte di 101 passeggeri. Da allora le cose non sono migliorate granchè, nonostante la riconosciuta efficienza tedesca, forse un po’ offuscata recentemente, dopo la parziale privatizzazione della Deutsche Bahn. L’associazione dei consumatori Stiftung Warentest, addirittura, ha indicato che il 32% dei treni tedeschi non è in orario, come citato in un articolo di Panorama del 2015. Come se ad un aumento delle tariffe, che c’è stato, abbia fatto da contraltare un abbassamento della qualità del servizio. Ma nessuno è immune da colpe e da incidenti, come dimostra lo scontro tra due treni avvenuto in Austria, il 12 febbraio scorso, nei pressi di Niklasdorf. Una vittima, anche qui una donna, e 22 feriti. E 8 persone ferite in un deragliamento a fine dicembre vicino a Vienna.
Basta, finiamola qui.
Servono, ovunque, investimenti non solo per l’alta velocità e per arrivare sempre più velocemente da una città a l’altra, come fossimo trottole, ma anche e soprattutto per la nostra sicurezza, per ridurre al minimo il pericolo nel viaggiare su questi autentici “proiettili viaggianti”. Anche se, a volte, sembrano vecchie littorine.
NELLA FOTO: IL SUPER TRENO VELOCE “ICE” DELLA FERROVIE TEDESCHE
Doping, i casi più celebri. Aspettando le Olimpiadi…
Uno dei primi casi di doping è stato quello del ciclista inglese Tom Simpson: mori’ a 30 anni, sul Mont Ventoux, durante una tappa del Tour de France, a causa del caldo e delle anfetamine prese, che non gli fecero sentire la fatica dello sforzo.
Al Giro d’Italia 1969, quando era in maglia rosa, il Cannibale Eddy Merckx fu trovato positivo alla fencamfamina, uno stimolante: squalificato. Celebre l’intervista di Sergio Zavoli nell’albergo di Albisola dove si trovava il ciclista belga, in lacrime.
Alle Olimpiadi di Seul del 1988, scoppia il caso-Ben Johnson: oro e record del mondo (9”79) nei 100 metri, il giamaicano naturalizzato canadese viene trovato positivo alla stanozolo, un anabolizzante. Confesserà di essersi dopato anche l’anno prima, ai Mondiali del 1987, quando impressiono’ il mondo battendo Carl Lewis, il “Figlio del Vento”.
Ai Mondiali di calcio 1994, negli Stati Uniti, Diego Armando Maradona viene squalificato dopo un controllo antidoping positivo all’efedrina, uno stimolante. Il Pibe de Oro ha sempre parlato di complotto ai suoi danni. Nel ’91, Maradona era già stato squalificato per cocaina.
Uno dei casi più celebri è quello di Marco Pantani: alla vigilia della penultima tappa del Giro 1999 che stava dominando, a Madonna di Campiglio, il suo ematocrito risulta troppo alto: squalificato. Da quella che ha sempre ritenuto un’ingiustizia, Pantani non si riprese più, fino alla tragica morte, il giorno di san Valentino del 2004.
Qualche giorno prima delle Olimpiadi di Atene 2004, i velocisti greci Kostas Kenteris (oro nei 200 a Sydney) e Ekaterini Thanou inscenano un finto incidente in moto per giustificare l’ennesimo test antidoping saltato: saranno costretti a disertare i Giochi di casa.
La velocista americana Marion Jones vince 5 medaglie (tre d’oro) a Sydney, ma nel 2006 è trovata positiva all’eritropoietina, l’anno dopo ammette l’uso di sostanze dopanti e restituisce tutte le medaglie vinte.
Ancora un ciclista nei guai: nel 2010 allo spagnolo Alberto Contador viene riscontrato la positività al clenbuterolo, che brucia grassi e rafforza i muscoli: il “Pistolero” nega, dice che è colpa di una bistecca “contaminata”, ma si vede togliere un Giro e un Tour, e quando torna non è più un fenomeno come prima.
Clamoroso il caso di Lance Armstrong: vincitore di 7 Tour de France, icona della battaglia contro il cancro, il corridore texano è incastrato dalle confessioni degli ex compagni di squadra, in particolare di Tyler Hamilton, autore di un libro-scandalo, che ammettono il sistematico utilizzo di pratiche dopanti nella squadra della Us Postal: in tv da Oprah Winfrey, nel 2013, lo stesso Armstrong confessa l’uso di sostanze proibite e perde i suoi 7 Tour.
Uno dei casi piu’ recenti è quello del marciatore italiano Alex Schwazer; oro nella 50 km di marcia a Pechino 2008, prima di Londra 2012 è trovato positivo all’eritropoietina. Niente Olimpiadi. Prova a tornare, ma nel 2016 l’altoatesino ci ricasca, positivo ai metaboliti di testosterone. Lui si proclama innocente.
L’ultimo caso è quello del doping di stato in Russia, con atleti squalificati e poi parzialmente riabilitati, che ricorda le pratiche dopanti del passato, prima in Germania dell’Est (soprattutto con le nuotatrici) e, più recentemente, in Cina.
Mai abbassare la guardia. Il pericolo-doping è sempre in agguato.
A proposito di Giornata della Memoria, Olocausto, Polonia e negazionismo
Pubblico volentieri questa riflessione del collega Enrico Mentana, pubblicata su Facebook il 1.febbraio 2018.
“La legge varata dal parlamento di Varsavia che punisce penalmente chi parla di responsabilità anche della Polonia nell’Olocausto non è solo un’offesa alle vittime, è un insulto alla Storia. È una forma vigliacca di negazionismo, messa in atto 73 anni dopo la fine della guerra, quando la memoria di ciò che avvenne è ormai affidata a pochi sopravvissuti, una gran parte dei quali non ha nessun interesse a ricordare. Vuole ripulire la storia polacca con un colpo di spugna, ma anche lanciare un segnale: non dobbiamo più vergognarci, cancelliamo i fatti per cancellare la pena. Per fortuna la Polonia di metà Novecento era una terra di cultura e di testimonianza. Libri e racconti di inestimabile valore ci permetteranno di irridere alla legge che vuol nascondere la Storia per ripulire ad arte le coscienze. Vergogna”.