Senza bisogno di insultarlo nè di santificarlo, ecco una breve biografia di Sergio Marchionne (tratto da it.euronews.com)
Nella mattinata di mercoledì 25 luglio è arrivata la notizia: è morto Sergio Marchionne, ex presidente e ad di Ferrari, presidente di Cnh e amministratore delegato di Fca. Era ricoverato a Zurigo da fine giugno dopo l‘aggravarsi delle sue condizioni in seguito ad un intervento chirurgico.
“E’ accaduto, purtroppo, quello che temevamo. Sergio, l’uomo e l’amico, se n’è andato”. Così John Elkann, presidente di Exor, la holding della famiglia, ha annunciato la sua scomparsa.
Classe 1952, nato a Chieti e figlio di un maresciallo dei Carabinieri, emigra in Canada da bambino e si laurea in legge a Toronto. Studi in Canada e domicilio in Svizzera, dove abitano l’ex moglie e i due figli. Marchionne, l’uomo dal maglioncino nero, ha vissuto gli ultimi anni tra Torino e Detroit mentre il Canada è stato il Paese in cui il manager ha vissuto anche le prime esperienze professionali come commercialista ed esperto nell’area fiscale. Dal 1985 fino al suo ingresso al Lingotto, Marchionne ricoprirà via via diversi ruoli di rilievo in aziende internazionali.
Il manager italo-canadese entra nell’universo FIAT come indipendente nel consiglio di amministrazione del Lingotto dal maggio 2003 e con l’impronta di Umberto Agnelli: deciso a portare in Fiat, manager cinquantenni e con esperienze internazionali di rilievo. Arriva alla guida del gruppo Fiat il 1 giugno 2004. Un anno di veloce crescita. Siede negli scranni principali del gruppo Fiat, nonché alla presidenza della Ferrari fino al 21 luglio 2018 quando per le sue gravi condizioni di salute dovrà “abdicare”.
Non pochi sono stati i contrasti con il mondo operaio soprattutto a seguito del suo appoggio al decreto voluto dall’ex premier Matteo Renzi, il Jobs act, che ha limitato le garanzie di stabilità per i lavoratori, ma che – secondo il manager – ha rappresentato garanzia per gli investitori e possibilità di assunzioni piu frequenti. Nel 2015 al salone di Ginevra aveva dichiarato: “Il Jobs Act era dovuto, bisognava aggiornare il sistema di regole del lavoro. Eravamo uno dei pochi paesi in Europa, forse l’unico, ad avere un sistema come quello italiano. E, al di la’ di tutto quello che si dice sul Jobs Act, credo abbia fatto molto per modernizzare il sistema di relazioni industriali nel nostro Paese”. Un gran passo avanti da quando, nel 2012, Matteo Renzi e Sergio Marchionne si scontravano sulla ingloriosa fine del progetto Fabbrica Italia.
Renzi-sindaco di lui diceva questo: “Non ho mai immaginato Marchionne come modello di sviluppo per l’economia, andava ai congressi Ds quando c’erano D’Alema e Bersani, Bertinotti ne parlava come il borghese buono. Tanti lo hanno incontrato e definito modello di sviluppo. Io ho solo detto in un’intervista a Enrico Mentana che se fossi stato un “elettore della Fiat”, cioè un cittadino che andava a votare al referendum, che aveva alcuni profili di ricatto politico che Marchionne poneva, dicendo se vinco metto 20 miliardi in Fabbrica Italia se perdo vado via, avrei votato per il sì, aggiungendo un ‘senza se e senza ma’”. Il riferimento era al piano di investimenti annunciato nel 2010 e poi ritirato da Fiat nel giro di due anni, dopo aver chiesto agli operai di Pomigliano e Mirafiori di votare sulle nuove condizioni di lavoro. Poi d’improvviso pubblico e privato si mescolano per arrivare a una grande sintonia.
Nel maggio del 2018 il manager informale annuncia di fare a meno delle utilitarie con molti lavoratori in cassa integrazione, una immagine che stride con una delle sue frasi piu celebri: “abbiamo restituito la dignità del lavoro alla gente degli stabilimenti che erano stati quasi completamente abbandonati”.