IL GIGANTE CRUDELE, LA CITTÀ MUTA: IL GIORNO DOPO LA TRAGEDIA

di Luca Rolandi, “Famiglia Cristiana”

Genova è muta. Un silenzio irreale pervade le strade. Non c’è voglia di festeggiare il Ferragosto. Tutti sanno e sono tristi. Solo qualche turista, da via Garibaldi a piazza De Ferrari, s’abbandona all’ammirazione per monumenti che trasudano storia. La città si è svegliata ancora preda di uno degli incubi più tristi della sua storia recente. Alle pendici del Monte Figogna c’è il Santuario della Guardia, meta di tanti pellegrinaggi mariani dei genovesi: da lassù si vede lo scempio di una tragedia grande quanto quelle delle alluvioni che dal 1970 a 2012 hanno funestato la Superba, o grande quanto quella dei giorni bui del G8 o, ancora, degli incidenti in Porto.

Vista dall’alto, Genova è un groviglio di case, capannoni, snodi autostradali. Uno sviluppo irregolare fino a diventare selvaggio. Dalle 11.36 di martedì 14 agosto 2018, quando il Ponte Morandi s’è sbriciolato come un castello di sabbia, il dolore è ancora una volta piombato sulla città. Il bilancio più aggiornato parla di 39 morti accertati, di cui gli ultimi ritrovati nella notte tra il 14 e il 15 agosto, uno alle 3, uno alle 4, uno alle 5 e alle 7.30. Tra le vittime, anche un bimbo di 8 anni e due adolescenti di 13 e 16 anni. I feriti sono 16, 12 dei quali in “codice rosso”. «I dispersi sono 15 i dispersi», precisa il procuratore di Genova Francesco Cozzi. Sfollate decine di famiglie: in tutto, 664 persone. Affiorano le storie dei singoli: genitori con bambini diretti vero casa, a vacanza finita, ovvero felici di andare in ferie; il portuale, gli operatori delle pulizie d’origine albanese. Storie, cancellate in un attimo, come le vite di tre operai delle aziende sottostanti il viadotto, colpiti dai detriti del pilastro di cemento. Poi ci sono i miracolati, il vigile del fuoco calciatore dilettante, il camionista che è scivolato con il suo Tir giù dal viadotto e non riesce a parlare: lo sgomento è ancora grande, manca l’aria, il cuore batte troppo forte

Vite spezzate. Tutti sono alla ricerca di un perché un ponte come quello Morandi, vanto dell’ingegneria italiana degli anni Sessanta, costruito lungo una delle autostrade più importanti d’Italia, la A10 che collega il Levante con il Ponente ligure, possa crollare d’un fiato… Oggi è il giorno dell’Assunta, del cordoglio, del pianto e della preghiera come ha chiesto l’arcivescovo di Genova, il cardinale  Angelo Bagnasco. In tutte le chise della diocesi si inovca Dio per i morti e per i vivi. La città è in lutto. Il sindaco, Marco Bucci, e il presidente della Regione, Giovanni Toti hanno impresso nei volti lo sgomento di tutti. Nei caruggi come nei quartieri che vedono il mostro fragile precipitato non è possibile parlare di altro. E’ venuto il premier, Giuseppe Conte, è annunciato l’arrivo dei ministri Toninelli e Di Maio.

Genova è ferita in ginocchio ma il suo grande cuore batte forte: i Vigili del fuoco hanno salvato vite, hanno ricomposto i corpi delle vittime (30 auto e due camion sono stati inghiottiti nel vuoto e sono precipitate sul torrente Polcevera), i medici sono rientrati dalle ferie, gli ospedali Villa Scassi di Sampierdarena, Il Galliera e il San Martino hanno operato tutta la notte per curare le ferite e le paure da choc gravissime di molte persone coinvolte. La Protezione civile, le comunità parrocchiali, il vasto mondo del volontariato ha accolto gli oltre 450 sfollati delle case schiacciate dal mostro.

Quel ponte non era più sicuro da tempo, si ripete oggi. Era da sempre in manutenzione. Progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi, cui deve il nome, costruito tra il 1963 e il 1967, il Ponte di Brooklyn, così come  lo chiamavano i genovesi, incuteva comunque sempre una certa paura: troppe impalcature, deviazioni, lavori in corso. Le polemiche sono divampate puntuali: ingegneri che avevano previsto guai seri, altri che difendono l’opera pur ammettendo che si doveva fare di più, la società Autostrade che si appella all’imponderabile, uomini di Governo che chiedono ai vertici di quella stessa società di dimetters. L’opera davvero non sembrava più in grado di reggere l’urto di un traffico sempre più intenso e pesante. Genova è stretta e lunga, le vie al mare compresse e sempre intasate: la città scoppia. Spesso sul ponte si formavano lunghe code verso l’innesto dell’A7 per Serrravalle-Milano, la Livorno e l’uscita di Genova Ovest. La Magistratuta ha aperto un’inchiesta che farà luce sulle cause del crollo oltre che sulle modalità.

Tocca all’antica Aurelia, ora,  farsi carico da sola dei volumi di traffico. La Gronda, arteria viaria discussa (prevedeva un intervento a monte del porto di Voltri, avrebbe alleviato il via vai di auto, furgoni e Tir) non è mai stata realizzata. Le grandi opere, la manutenzione delle infrastrutture viarie, stradali, ferroviarie e ancora altro sono priorità e urgenza vitale per lo stivale. Genova è fragile. L’Italia è fragile.