Editoriale di Alessandro Sallusti, da “Il Giornale”. 15.12.2018
Antonio Megalizzi non ce l’ha fatta, come era chiaro fin da subito, dopo essere stato colpito alla testa da un proiettile sparato dal terrorista islamico che ha fatto strage a Strasburgo.
Era un collega che si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato, perché mai avrebbe potuto immaginare di essere a rischio passeggiando, dopo una giornata di lavoro, per un mercatino di Natale della capitale europea. Non c’è nulla di eroico in questo, ma la sua vita fino a quell’attimo l’ha vissuta in modo eroico nel senso letterale del termine, cioè, cito dalla Treccani, «in modo duro e faticoso per le lotte da sostenere e le difficoltà da superare ma perciò intensa e piena di entusiasmo, che si ricorda con compiacimento soprattutto se paragonata a un presente piatto e poco interessante».
Nell’epoca dei record di ascolto del Grande Fratello, del disimpegno e del «tutti ladri», Antonio era appunto un eroe perché credeva e si batteva per cose oggi merce rara. Per esempio era convinto della centralità e della nobiltà della politica come unico strumento per dirimere le questioni; pensava che l’informazione e la sua libertà fossero un bene assoluto e da proteggere; era convinto che un’Europa unita, equa e solidale, fosse il punto di approdo da perseguire da parte di tutte le nazioni che ne fanno parte. E per questo si trovava a fare il giornalista politico al Parlamento di Strasburgo.
Chi gli ha sparato, un bastardo terrorista islamico, tutto questo non lo sapeva, né gli importava conoscerlo. Sono bastati i suoi tratti fisici da occidentale a trasformare il ragazzo italiano in un facile bersaglio. Ma a noi importa eccome sapere e ricordare chi era Antonio Megalizzi, 29 anni appena compiuti. Ha vissuto poco, ma non invano, anche se questo non può consolare l’immenso dolore dei suoi cari. Non invano perché il lavoro e gli ideali di Antonio restano in eredità a tutti noi che ci battiamo, ognuno nel suo campo, per una società pacifica, libera e liberale. È una eredità che non possiamo dissipare, pena essere complici di chi lo ha ucciso e dei suoi mandanti.
E questo è un patto che ci impegniamo oggi, nella memoria di Antonio, a non tradire mai.