I balli senegalesi in chiesa per beneficenza scatenano la polemica sui social

da “Torino Oggi” – di Marco Bertello

“Cos’è sto schifo!? Il Bunga Bunga almeno lo facevano a casa loro”. Questo è solo uno dei tanti commenti che popolano il Web e che impallinano la serata che si è tenuta sabato in chiesa a None con il concerto di percussioni dell’associazione Tamra, che aveva anche il fine di raccogliere fondi per i lavori che si stanno tenendo in parrocchia.

La serata voleva essere un momento di incontro con la cultura senegalese, ma un video che si è diffuso in maniera virale su Internet ha scatenato una serie di polemiche ed attacchi al vetriolo, che hanno lasciato interdetto il parroco don Giancarlo Gosmar, che non si dà pace per una reazione così feroce: “Mi hanno fatto vedere i commenti e mi chiedo cosa ci sia di dissacrante in quanto è successo? – commenta basito –. È una serata che nasceva dall’esigenza dei giovani dell’oratorio di conoscere una realtà diversa e di confrontarsi con loro”.

Non è la prima volta, peraltro, che la musica Griot di Magatte Dieng e dei musicisti che collaborano con lui, viene suonata in chiesa a None: “C’era già stata una serata qualche tempo fa e nessuno si era lamentato” ricorda don Gosmar.

Stavolta invece un video di un paio di minuti che riprende l’esibizione ha scatenato il putiferio. Basta vedere le reazioni sul profilo del giornalista Cristiano Tassinari, che abita in paese e ha pubblicato il filmato con il commento “E poi, in certe chiese, come a None, il parroco permette le danze tribali senegalesi…”.

Ne è seguita una sfilza di commenti più disparati: “Questo è uno spettacolo da circo”, “Siamo alla frutta”, “Solo più perenne carnevale”. E non mancano attacchi al prete come “Il parroco di sicuro è buonista e del Pd”.

Ovviamente non mancano le voci in difesa, anche se sono numericamente di meno: “Buondì, scusate l’intromissione. Qualcuno ha avuto l’idea di andare a chiedere ed informarsi sull’evento? Delle sue finalità? Non vi angustiate, andate pure nelle vostre tranquille chiese, nessuno viene a giudicare l’operato che fate dentro” oppure “Questi ragazzi fanno volontariato per bimbi in difficoltà. Vi turba perché in chiesa? Perché sono lavoratori integrati e non hanno alcun tipo di fanatismo. Il ballerino è una persona da conoscere. È morta la moglie e la figlia. Un gigante buono. Vorrei lo conosceste”.

Nel dibattito, è intervenuto anche il vice sindaco nonese Roberto Bori Marrucchi che sul suo profilo Facebook ha commentato duramente: “Sabato sera scorso, nella Chiesa Parrocchiale di None, c’è stato un concerto di musiche africane con percussioni e balli. Il tutto organizzato per raccogliere dei fondi per il restauro in corso dell’edificio di culto. Ieri sera mi sono imbattuto, su questo social, su un filmato della serata. Quello che più mi ha sconvolto sono stati i commenti lasciati. Dire razzisti è fare un complimento. Una sequela di insulti, con il corollario di frasi tipiche razziste, verso il parroco, il Papa, i preti, i cristiani complici di tale sacrilegio, le scimmie nere. Decine e decine di questi commenti. Che desolazione! Che schifo! Stiamo veramente divenendo un popolo xenofobo. O forse lo siamo sempre stati ed ora qualcuno ha sdoganato l’anima più nera che c’è in noi”

Il video come succede sul web, ha fatto il giro ed è finito anche sul profilo dello speaker di Radio Padania Libera Sammy Varin, dove si è scatenata un’altra raffica di commenti del tipo: “Qualcuno chiami Salvini”, “Via fateli tornare in Africa”, “Vomitevole vergognoso”.

Una reazione e una diffusione che nessuno in parrocchia e all’oratorio si sarebbe aspettato, men che meno il parroco: “La chiesa non è una balera, questa serata serviva per conoscere l’espressività del popolo africano che passa anche attraverso la musica e il ritmo – conclude don Gosmar –. Abbiamo anche fatto cena con il gruppo per parlare di loro e della loro cultura e farli sentire a casa”.

Ortoressia, questa sconosciuta (e pericolosa)

L’ortoressia è un disturbo che porta ad ammalarsi…di troppa salute. L’ossessione per il cibo sano, questa una possibile definizione di “ortoressia”, è un disturbo alimentare relativamente nuovo, ma già in forte crescita. Non è ancora riconosciuta come patologia dal DSM-5, il principale manuale di diagnostica dei disturbi mentali, ma tra le malattie psichiatriche classificate come ARFID (Avoidant Restrictive Food Intake Disorder), che riunisce le persone che non mangiano per ragioni non legate al dimagrimento, può rientrare anche l’ortoressia.
“Si tratta di un disturbo insidioso, perché inizialmente può essere scambiato per un corretto stile di vita. Il paziente stesso è portato a pensare che gli altri non si rendano conto di intossicarsi con cibi malsani, si sente l’unico a fare la cosa giusta”, spiega Dora Aliprandi, psicoterapeuta presso Aba (Associazione per lo sviluppo e la ricerca sull’Anoressia, la Bulimia e altri disturbi alimentari), intervistata dalla rivista “Donna Moderna”.
“Da noi, gli ortoressici arrivano solo quando realizzano di essere socialmente isolati e di stare male fisicamente. Assumendo pochissimi nutrienti, oltre a perdere peso, continuano ad ammalarsi, sono anemici e soprattutto malnutriti. Li riconosci perché hanno la carnagione pallidissima”, aggiunge la dottoressa Aliprandi.
E non è finita: perchè il passaggio dall’ortoressia all’anoressia sembra davvero breve.
Ortoressia, un problema più maschile dell’anoressia
“L’ortoressia è il sintomo d’esordio dell’anoressia. Succede in molti casi”, aggiunge Stefano Erzegovesi, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare dell’Ospedale San Raffaele Turro di Milano, intervistato da “Donna Moderna.
“Si diventa vegeteriani, poi vegani, poi crudisti, quindi si comincia da una qualunque restrizione, ma di fatto si sta sviluppando un disturbo anoressico mascherato da salutismo. In entrambi i casi si tratta di problemi alimentari che hanno a che vedere con il controllo e “l’evitamento”. Ma a differenza dell’anoressia, che colpisce quasi solo donne (90%), nell’ortoressia c’è una leggera prevalenza degli uomini”.
Nel 2017, secondo i dati del Ministero della Salute, quasi 3 milioni di italiani soffrivano di disturbi dell’alimentazione e di questi circa 500mila erano ortoressici”.
Appetito corretto? Non proprio
Il termine ortoressia viene dal greco: ortos, “corretto”, e orexis, “appetito”. Letteralmente, dunque, si tratta di “appetito corretto”. Il termine richiama alla memoria, ovviamente, l’anoressia (che significa letteralmente “mancanza di appetito”).
Come ricorda il sito psicolinea.it, “ortoressia”, o “ortoressia nervosa”, è un termine coniato dal dottor Steven Bratman per definire l’ossessione patologica per i cibi sani, che porta alla malnutrizione e a disturbi di salute anche gravi.
Lo stesso dottor Bratman, specializzatosi in medicina alternativa, era diventato un maniaco dell’alimentazione, al punto da consumare i propri pasti nel silenzio più assoluto, si alzava da tavola quando il suo stomaco non era ancora sazio, non mangiava mai una verdura se questa era stata colta da più di quindici minuti e masticava il boccone di cibo, prima di ingerirlo, per più di cinquanta volte. Mangiare del formaggio pastorizzato poteva farlo sentire male al punto di temere di contrarre, dopo questa ingestione di cibo ‘avvelenato’, una polmonite, se non addirittura il cancro. Riconosciuto di avere qualcosa che non andava, il dottor Bratman si è curato da solo ed ha anche divulgato le caratteristiche e la sintomatologia di questo disturbo alimentare fino ad allora sconosciuto (si può consultare il sito http://www.ortorexia.com, comprendente il test-fai-da-te elaborato proprio dal dottor Bratman.

Quasi come Braccio di Ferro con gli spinaci….
Il soggetto che soffre di ortoressia vuole a tutti i costi evitare determinati alimenti, come quelli contenenti grassi, conservanti, coloranti artificiali, carne rossa, uova, zuccheri, latticini, e sceglie una dieta povera. Le persone che soffrono di ortoressia non sono interessate al gusto di ciò che mangiano: l’unica cosa che conta è sapere che quel determinato cibo può fare bene, evitare le malattie, ricevere forza ed energia per affrontare la vita, un po’ come Braccio di Ferro e i suoi spinaci. I cibi preferiti per nutrirsi sono vegetali crudi e cereali, o cibi macrobiotici.

Salute, ad ogni costo
Le persone ossessionate dal cibo sano, come intuibile, sono anche quelle della  ‘salute, a qualsiasi costo’, dunque il loro interesse non riguarda solamente l’alimentazione, ma anche l’ossessione per il fitness, la pulizia, i massaggi, il rilassamento, la meditazione… Possono esservi poi altre fissazioni che portano ad esempio ad evitare, nei luoghi pubblici, stoviglie (piatti, pentole, posate) “contaminate” da un uso precedente con la carne, oppure considerate tossiche, come quelle di alluminio o di plastica. Al ristorante capita pure di chiedere un piatto di insalata con foglie non tagliate, per non far perdere alla verdura le sue qualità nutritive, mangiare solo (e soltanto) verdura e frutta di stagione, o escludere dalla propria dieta anche i latticini e le uova, per essere vegetariani totali, o ‘vegetaliani’, come molti si definiscono.

Occhio al supermercato
Un altro segnale di ortoressia è la conoscenza precisa di tutte le etichette dei cibi in vendita al supermercato: chi soffre di questo disturbo conosce i componenti nutritivi di ogni genere di prodotto, per cui sa benissimo, in termini assoluti e in percentuale, quanti grassi saturi e insaturi contiene quel determinato prodotto, il suo valore calorico, i carboidrati…
In pratica questi ‘estremisti del cibo’ focalizzano tutte le loro attenzioni ed energie solamente sugli aspetti dietetici, trascurando completamente gli altri aspetti della loro vita quotidiana, come ad esempio le relazioni sociali. Il che, alla lunga, crea problematiche psicologiche associate che rendono ancor più complicata una terapia “disintossicante”.

Esiste una cura?
“La cura è basata sul modello dell’anoressia: dobbiamo aiutare il paziente ad allentare il controllo ossessivo sul cibo e l’alimentazione”, conclude il dottor Erzegovesi, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare dell’Ospedale San Raffaele Turro di Milano. “Ma il supporto psicologico e umano dei familiari e delle persone care risulterà fondamentale nella buona riuscita, in tempi ragionevoli, della cura”.