Se Greta andasse a fare un giro a Pinerolo…..

Per “salvare il Pianeta” fa concretamente di più Greta Thunberg, la giovane e grintosa attivista svedese contro i cambiamenti climatici o Acea Pinerolese?

La domanda è curiosa, stuzzicante, persino di moda. Ma è meglio approfondire quello che avviene nella realtà. E la realtà vede Pinerolo e il territorio pinerolese sempre più all’avanguardia nei progetti “green”. Molto del merito, in realtà, va dato proprio ad Acea Pinerolese, la SpA di proprietà pubblica (ne sono soci 47 comuni, il comune di Pinerolo ne detiene una quota del 32,17%) che si occupa di energia, ambiente e acqua.

Da appena qualche settimana, era il 16 aprile 2019, l’azienda ha coinvolto il territorio pinerolese nel diventare “Oil Free Zone”, grazie ad una delibera di 23 comuni che, di fatto, hanno dichiarato di voler andare nella direzione della riduzione dei combustibili fossili. Ma gli obiettivi sono sempre più ambiziosi, l’asticella è sempre più in alto.
Nella sede vintage, ma funzionale, di Acea a Pinerolo, incontriamo l’ingegner Francesco Carcioffo, dal 1991 Amministratore Delegato e Direttore Generale dell’azienda, nonchè “padre saggio”, dice lui, di Acea. “Il nostro prossimo passo sarà la Comunità Energetica sperimentale”, ci dice il numero uno di Acea. “Partiamo in piccolo: tre-quattro aziende che producono energie e cinque-sei che la consumano. Direi che è già pronta: basterà aspettare ancora qualche mese”.

Ma cos’è una Comunità Energetica?
È un mondo tutt’altro che virtuale dove si può vendere, comprare e scambiare energie rinnovabili (ad esempio: il fotovoltaico). Sembra un mondo tutto nuovo e innovativo, ma nella realtà esisteva già agli inizi del ‘900: poi, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica negli anni Sessanta, le Comunità Energetiche vennero proibite. Se ne salvò solo una manciata, qua e là per l’Italia, tra il Trentino e il Nord della Lombardia. Poi, finalmente, una direttiva europea ripristinò le Comunità Energetiche, riconoscendo il valore sociale ed economico. Quindi l’Italia fa una legge che le autorizza, demanda alle Regioni per una legge ad hoc e la Regione Piemonte, anche ispirata da Acea, è la prima (e finora l’unica) in Italia ad aver legiferato (Legge 122018) su una materia cosi specifica e complessa. E, secondo quanto previsto, una Comunità Energetica può esistere solo all’interno di una “Oil Free Zone”, appena realizzata nel Pinerolese. Tutto quadra.

“E tutto va verso il rispetto dell’indirizzo europeo sul tema delle energie rinnovabili”, aggiunge l’ingegner Carcioffo. E all’Europa, Acea Pinerolese, ci tiene eccome: non a caso, il 24 aprile 2017, l’azienda è stata premiata al Parlamento Europeo di Bruxelles come “campione di economia circolare in Europa”. “Ci ha premiato proprio il Vice Presidente della Commissione europea Jyrki Katainen”, ricorda con orgoglio Carcioffo.
Ma quello è stato un punto di partenza, non di arrivo, per Acea, vera apripista delle energie rinnovabili. “Fa parte del nostro Dna. E nel concreto, la Comunità Energetica esiste già”, riprende l’A.D. di Acea, “e si chiama CPE: Consorzio Pinerolo Energia. CPE si propone, come obiettivo, lo sviluppo del territorio pinerolese. Formalmente ne fanno parte 66 aziende, che raggruppano a loro volta altre entità, fino ad arrivare a 4000 soggetti coinvolti. Tra cui la Diocesi di Pinerolo, il Politecnico di Torino, l’Adapt di Michele Tiraboschi e che fu di Marco Biagi… E’ un sogno che sta diventando realtà e a cui stanno lavorando 20-30 persone, fra cui Legambiente… Ci siamo quasi”.

Il Numero Uno di Acea, l’ing. Francesco Carcioffo.

Il presente: il Polo Ecologico
Se la Comunità Energetica è il futuro prossimo venturo, il presente si chiama Polo Ecologico. Sono passati poco più di vent’anni da quella volta che…
“La nostra discarica si stava esaurendo”, ricorda Francesco Carcioffo. “E cosi spedii alcuni nostri ingegneri-esploratori in giro per il mondo a cercare e trovare una soluzione. Tornarono con il caso di Vaasa, una città finlandese con forte presenza di svedesi. Proprio lì avevano trovato un batterio che si mangiava i rifiuti organiici e li trasformava in biogas… Ho comprato il brevetto per conto di Acea, il costo totale di realizzazione poi dell’impianto è stato di quasi 40 miliardi di lire… E ringrazio ancora i comuni che dissero ok senza battere ciglio… L’impianto fu inaugurato nel 2003″.

Ma come funziona?
“Ecco la catena di lavoro”, spiega Carcioffo. “Arriva il rifiuto organico, avviene la pulizia di tutto ciò che non è organico, soprattutto i sacchetti, se non sono biodegradabili. Poi i batteri termofili, in un grande tino anaerobico, cioè in assenza di ossigeno, a 55 gradi, trasformano i rifiuti organici in biogas. In natura, nella discarica ad esempio, servirebbero 20-30 anni, e con dispersione di parte del biogas in atmosfera… Noi lo facciamo in 14 giorni! Ed è tutto captato il biogas, perchè dai cilindri stagni non esce neppure una molecola. Con i fanghi si ottiene il compost e il biogas serve per il riscaldamento. In pratica, Pinerolo si scalda con i propri rifiuti. Senza bisogno di un inceneritore!”
Ma non è tutto, perchè Acea Pinerolese vuol essere ancora più “bio”. Ed ecco, infatti, che arriva il biometano. Anche qui urge spiegazione dell’ingegner Carcioffo: “Il biogas è composto da metano più Co2, etano, butano, propano… mentre noi, dal 2014, primi in Italia, abbiamo l’impianto per trasformare il biogas in biometano: e oltre il 95% è assolutamente metano. Abbiamo anche la pompa di metano che utilizziamo per fare il pieno agli automezzi di Acea. Più ecologici di cosi…”, gongola Carcioffo.

Giornalista in visita alla sede dell’Acea, a Pinerolo.

I progetti dei prossimi due anni
Infine, il 23 maggio è stata la Giornata Nazionale della Bioeconomia, il “Bioeconomy Day”, coordinata da Cluster SPRING con Assobiotec-Federchimica, a cui Acea Pinerolese ha aderito in qualità di realtà all’avanguardia sul fronte della nuove frontiere bioeconomia. E sono numerosi i progetti di ricerca che vedono l’azienda pinerolese coinvolta su questo tema. Il Polo Ecologico Acea Pinerolese sarà per due anni il Centro della sperimentazione delle più avanzate soluzioni di Chimica Verde e sulle bioenergie a livello nazionale ed europeo. In altre parole, si testeranno le soluzioni che nel breve medio termine potranno diventare i più grandi driver per l’economia e per una circolarità sempre più efficiente.

Mi sa proprio che bisogna invitare la giovane e grintosa Greta Thunberg a fare un giro a Pinerolo e dintorni…

TEATRO, PER DIVERTIRSI E PER BENEFICENZA

Cosa fate sabato sera ? Se malgrado la pioggia non volete stare in casa vi aspettiamo al Teatro La Venere a Savignano s/P dove i I Teatroci vi faranno passare due ore in modo divertente e spensierato. Lo spettacolo è a offerta libera e i fondi raccolti serviranno a sostenere le attività gratuite di Assistenza domiciliare e prevenzione oncologica che Fondazione ANT Italia ONLUS ha attive sul territorio. Per avere informazioni sullo spettacolo o sulle attività attive sul territorio chiama lo 059/766088.

No alla vendita di armi

LA FOTO DEL GIORNO: NO ALLA VENDITA DI ARMI…
Proteste al porto di Le Havre (Francia) contro un cargo saudita pronto ad imbarcare armi. Poi, dopo le proteste, ci ha rinunciato. Ma è ripartito per la Spagna….

People attend a demonstration to protest against the loading of weapons aboard the Bahri-Yanbu, a cargo ship operating for Saudi Arabia’s defence and interior ministries, in Le Havre, France, May 9, 2019. The banner reads: “No to arms sales”. REUTERS/Benoit Tessier

“Non mi toccare”: il romanzo dove la protagonista è l’aptofobia

Ê uno degli scrittori prolifici del panorama narrativo torinese. Massimo Tallone dispensa il tuo talento per i lettori, ma anche a beneficio di chi vuole magari emularlo, un giorno, con i suoi corsi di scrittura che ottengono sempre un eccellente successo. Esce proprio in questi giorni la sua ultima fatica letteraria, “Non mi toccare” (Edizioni del Capricorno), un libro toccante in cui la protagonista è l’aptofobia, la paura del contatto fisico. Abbiamo incontrato Massimo Tallone per carpirgli qualche “spoiler” del suo nuovo romanzo.


Conoscendo il Massimo Tallone autore, questo “Non mi toccare” mi sembra decisamente diverso da altri che avevi scritto: si tratta di una evoluzione nella scrittura?

“Credo che la scrittura sia sempre evoluzione. Almeno per me. Alla fine di ogni libro sento sempre che avrei potuto fare meglio. E allora scatta la molla di aprirsi a nuove sfide e al tentativo di inventare nuove soluzioni narrative. Anche se in realtà “Non mi toccare” era una bozza che tenevo in serbo da tempo. Ma il tipo di ‘sfida’ che contiene era già ben presente dall’inizio: scrivere una storia in cui realtà e fantasia fossero intrecciate in modo inestricabile e non separabile”.

La trama ci porta da Torino fino al Nord Europa… Quanto c’è ancora di torinese e quanto di islandese e dintorni? 

“Torino è il centro della vicenda. Da lì nasce la storia e lì si conclude. Susanna, la protagonista, deve fuggire da Torino. Approda prima in Sardegna, poi lassù, in Islanda e alle Fær Øer. Ma porta con sé un’idea di ‘torinesità’, come è inevitabile”.

Perchè la scelta dell’aptofobia come ‘protagonista’ del tuo libro? C’è qualcosa di autobiografico in questa vicenda?

“No, nulla di autobiografico. Ma ho conosciuto una persona aptofoba. Il motivo vero della scelta è quello di far entrare nella trama, tra le altre cose, una relazione vera, profonda e sentita, ma del tutto priva di contatti fisici”.

Come scrittore, come si definisce Massimo Tallone?

“Faccio fatica a definirmi, proprio perché sono pressoché costretto, ogni volta, a inventare un universo narrativo che non ho ancora esplorato. Anche quando scrivevo storie seriali cercavo di dare a ogni episodio della serie una struttura diversa. Insomma, l’unica definizione calzante che riguarda la mia attività dovrebbe essere quella di ‘esploratore di forme narrative’, alle quali cerco di dare di volta in volta un tono, una sintassi e un ‘cromatismo’ che non ho ancora mai sperimentato. Nel caso di “Non mi toccare” i livelli di esplorazione sono molti: la già citata fusione di realtà e immaginazione; la ‘scomposizione’ della storia su piani spaziali e temporali sempre in movimento, come i cieli dei mari del Nord; la costante e indivisibile presenza di paura e coraggio; la sfida dell’amore senza sesso e senza contatti; l’esperimento della suspense tenuta allo spasimo nonostante le distanze geografiche…”. 

Come sei diventato scrittore?

Credo che si ‘diventi’ scrittori continuando a chiedersi che cosa vuol dire essere scrittori.Pubblicare vuol dire essere scrittori? Non credo che basti pubblicare per essere scrittori, anche se è necessario. E forse non basta nemmeno vendere molto, anche se non guasta. Forse si diventa scrittori quando i lettori, scorrendo le pagine del libro, dimenticano del tutto di avere davanti segni grafici e cominciano a ‘vedere’ la realtà narrata, e a sentire gli odori, a provare caldo e freddo, la paura e la gioia. E girano pagina senza rendersi conto di avere in mano un libro, senza sentire la presenza dell’autore, ma percependo soltanto i personaggi e il mondo che li circonda. E da ultimo, credo che si diventi scrittori quando si accetta, proprio per le ragioni che ho appena detto, di non esistere, di essere morti, di annullare la propria realtà e la propria personalità a favore della ‘verità’ della scrittura, dato che le parole, definendo il mondo, lo rendono visibile”.

Quanti libri hai scritto? Ricordi il titolo del primo? E che cosa bolle in pentola?

“La risposta non è facile. Dal 1983 scrivo con metodo. Ho decine di romanzi giovanili che non ho mai pubblicato (e alcuni li ho distrutti). Poi ci sono romanzi e saggi che ho pubblicato, e sono circa venticinque. E numerose collaborazioni, racconti in antologie, testi per enciclopedie. Il primo lavoro pubblicato credo sia stato nel 1990, per UTET.

E sui lavori in corso, mi sento come un ‘umarell’ che guarda il cantiere di se stesso con le mani dietro la schiena. E in questo cantiere vedo un saggio dal titolo provvisorio “La letteratura, il superfluo e la morte”, un saggio umoristico dal titolo “Fenomenologia del corridoio” e l’abbozzo di un romanzo…”.

Tu sei uno di quei ‘fortunati’ che vivono di scrittura, con i tuoi libri e con i tuoi corsi di scrittura: com’è avere questa possibilità di trasformare una passione in una professione? 

“Credo che non ci sia fortuna maggiore e gioia più grande di fare ciò che si immaginava da sedicenni. Ma occorre molta attenzione. Bisogna ricordarsi di essere morti, rispetto al mondo esterno. Bisogna vivere pensando ossessivamente alla gioiosa e drammatica fatica del testo, dedicando quasi ogni istante alla sfida formale imposta dal nuovo scritto, mettendo tutta l’energia possibile nello scalpello che scava il nulla (il nulla è più duro del marmo) per ottenere la frase. Perché se si inseguono traguardi effimeri, di immagine, di successo, si entra in una macchina di perpetua insoddisfazione e di ansia. Da morti, invece, si respira l’aria pura della parola”.

 

 

Genova è più tranquilla: indaga la Squadra Speciale “Minestrina in brodo”

Dietro ai soprannomi da vecchietti, Maalox, Kukident e Semolino, si nascondono tre baldi ex poliziotti ora in pensione. Solo che il bonifico della pensione, ad un certo punto, non arriva più e loro si ritrovano a fare i salti mortali per sbarcare il lunario. E scoprono, quasi per caso, una Genova fatta di finta accoglienza, di speculazione edilizia, di intrecci affaristici tra Chiesa, mafia, politiche e banche. E’ la quarta nuovissima indagine della Squadra Speciale Minestrina in Brodo, un nome che è un tutto un programma. Ma il loro mestiere lo sanno fare, smascherando i malfattori che approfittano di una autentica emergenza sociale. Il libro, “Mazzo e Rubamazzo” (TEA), è scritto da Roberto Centazzo, Ispettore di Polizia a Savona, scrittore, speaker radiofonico e…gattofilo. Lo abbiamo incontrato per capire il segreto del successo della sua Squadra Speciale.

La Squadra Speciale Minestrina in Brodo ha un grande successo: Maalox, Kukident e Semolino sono veramente irresistibili…come spieghi questo loro successo?

“Mi ero accorto da lettore e da autore che molti protagonisti delle storie gialle avevano caratteristiche similari: erano tormentati, con problemi affettivi, non riuscivano ad adattarsi alla nuova città nella quale era stati trasferiti, soffrivano di solitudine e così cercavano sempre qualcuno con cui andare a cena. Magari inconsapevolmente, ma c’erano dei cliché da rispettare: era quasi d’obbligo citare il piatto tipico del luogo in cui prestavano servizio, oppure connotarli con una particolarità, chessò, indossavano calzini spaiati o cose simili. Insomma, c’era una sorta di sacralità nel giallo, delle regole da non sovvertire e una insopportabile tendenza degli autori a prendersi sul serio. A ciò aggiungi che, svolgendo indagini per mestiere, sono Ispettore superiore della Polizia di Stato, mi ero accorto che spesso le procedure non erano affatto rispettate. Ecco come sono nati Kukident Maloox e Semolino: non sono gourmet, né intenditori di vini, conoscono il lavoro, hanno fatto per quarant’anni i poliziotti, lo affrontano con serenità, sono amici, non hanno tormenti esistenziali né affettivi, non si prendono sul serio, anzi, si sfottono e si attribuiscono soprannomi buffi, hanno una vita regolare, non sono super eroi, ma sanno come va condotta un’indagine, e si occupano di problemi reali, di grande attualità. Insomma basta stereotipi. Mi dicono i lettori, e i critici letterari, che questa sia stata una ventata di novità e il segreto del loro successo”.


La trama si svolge a Genova, nella Genova dei carruggi e dell’accoglienza e degli affari un po’ loschi…quanto c’è di Genova nei tuoi libri? Quanto le vuoi bene, da immaginarla migliore? E’ possibile trovare una soluzione cosi geniale come nel libro (e incastrare i poteri forti?) 

“I miei romanzi della serie Squadra speciale Minestrina in brodo sono stati definiti dai critici e dai recensori delle commedie gialle. La definizione mi trova perfettamente d’accordo. Io sono innamorato del cinema italiano degli anni 50 e 60, dei film con De Sica (padre), Totò, Fabrizi. Raccontavano la realtà, erano uno spaccato dell’Italia di quegli anni. Ed erano “eleganti”, ossia privi di volgarità. Poi, al cinema, sono venuti i “poliziotteschi” quelli con Maurizio Merli e Franco Nero e ho amato anche quelli. Quante verità contenute in quei film! Ricordate  il primo film di tale genere? Si intitolava “La polizia incrimina la legge assolve” era diretto da Enzo Castellari e non a caso era ambientato proprio a Genova. Segnò una svolta nel mondo della cinematografia. Sono felice di aver coniugato la commedia col poliziesco. Nella detective/comedy il delitto c’è, sicuramente ma è il contorno la parte più importante, il tessuto sociale in cui si dipana la vicenda.
L’ambientazione a Genova è dovuta a molti fattori. È lì che ho mosso i primi passi come poliziotto, a metà degli anni ’80. È a Genova che ho fatto l’università, laureandomi in giurisprudenza. E poi, non dimentichiamolo, a Genova c’è il porto più grande d’Italia per estensione. E attraverso quel porto arriva di tutto: droga, armi. Nel centro storico di Genova si vivevano trent’anni fa i problemi di integrazione e di afflusso di migranti che oggi sono estesi ovunque. Ma tutto questo nei miei romanzi resta sullo sfondo, è scenografia, come la famosa sopraelevata, citata e ripresa in tutti i film.
Ciò che conta per me è l’aspetto umano dei personaggi, è l’intreccio che è un intreccio di vite, di anime, di persone. Genova è una città europea, multirazziale, con quartieri popolari  e zone di gran lusso, è la città dei vicoli resi celebri da De André, vicoli che, da ragazzino, frequentavo stupito e meravigliato quando vedevo le prostitute in attesa davanti ai portoni, i venditori di sigarette di contrabbando, di fuochi d’artificio sotto le Feste natalizie o di Rolex fasulli.
Quelle bancarelle, quelle scene, ora provocano nostalgia. Sono scomparse.
La città si è trasformata, è diventata più cruda, forse anche più pericolosa, alcuni carruggi sono diventati inaccessibili. Ma Genova conserva intatto il suo fascino. Come una bella donna. È un set naturale, straordinariamente efficace per chi come me ha scelto di ambientarvi le sue vicende umane”.

L’idea di trasformare i tre poliziotti in pensionati senza pensione (quando non arriva il bonifico) è geniale: fa loro rendere conto di cosa significa essere senza soldi e vivere quasi ai margini: è una piccola lezione di vita per tutti?

“Eh, sì. Per un errore della Prefettura o per un problema del programma informatico, non si sa, ai tre protagonisti, Kukident Maalox e Semolino non arriva più il bonifico della pensione. Così sono costretti ad arrangiarsi per sopravvivere, ad arrabattarsi.  Semolino troverà impiego come vigilante notturno in un magazzino di elettrodomestici, Kukident andrà a vendere i panini con la porchetta e Maalox troverà lavoro come ciabattino, per i cinesi a tre euro l’ora. In nero. E scopriranno che metà della popolazione di Genova e non solo, cerca di mettere insieme il pranzo con la cena. Da quel momento, inevitabilmente, diventano più indulgenti verso coloro che sino ad allora avevano guardato con distacco e con sospetto. C’è un periodo del romanzo che voglio citare testualmente: “Ora, d’un tratto, si trovava su un crinale: di qua, l’onestà, che significava povertà, stenti, privazioni, forse anche fame. Di là, l’arte di arrangiarsi. Che non significava necessariamente illegalità, ma spirito di sopravvivenza. Si batté una mano sulla fronte. Lo avessero lasciato senza stipendio quando aveva vent’anni, a inizio carriera. Avrebbe compreso davvero le ragioni di chi si era trovato a dover denunciare, e magari non sarebbe stato così spocchioso… così altezzoso… insomma, così stronzo!”

I nostri eroi, nonostante una certa età, hanno un notevole successo con le donne, anche più giovani…è merito del fascino della divisa? 

“Ahahaha… questa storia che con la divisa si becchi è da sfatare!”

Come scrittore, come si definisce Roberto Centazzo? Come sei diventato scrittore? Quanti libri hai scritto? Ricordi il titolo del primo? E cosa bolle in pentola per la squadra speciale Minestrina in brodo? 

“Io desideravo due cose da bambino: diventare ispettore di Polizia e diventare scrittore. Ci sono riuscito e sono la persona più felice del mondo. Per anni mi sono dilettato a scrivere a livello amatoriale, pubblicando, qualcosina ma la vera attività di scrittore è cominciata solo nel 2013 quando sono approdato all’editore TEA del gruppo GEMS. Con loro, prima ho pubblicato il romanzo ‘Signor Giudice basta un pareggio’, scritto a quattro mani con il giornalista Fabio Pozzo, poi ho dato vita alla serie Squadra speciale Minestrina in brodo. Attualmente le serie è composta da quattro episodi, ha avuto diverse ristampe è stata allegata alle collane Noir del Gruppo Repubblica/L’Espresso, ma sicuramente avrà altri seguiti. Inoltre sta per uscire il primo romanzo di una nuova serie ‘I casi di Cala Marina’, la cui uscita è prevista per giugno e anche un libro dedicato ai gatti, che uscirà il 16 maggio prossimo.  Il primo romanzo sì, lo ricordo eccome! S’intitolava ‘Per Terra ho annusato la vita’. Vinsi un premio letterario, ‘il Libro Parlante’ e il premio era la pubblicazione. Poi pubblicai altri due romanzi non gialli”.

Oltre a scrittore, Roberto Centazzo è avvocato, Ispettore di Polizia e chissà cosa altro ancora: altre vette da conquistare, altre sfide da vincere?  

“Io non mi vedo da vecchio a scrivere gialli. Mi vedo piuttosto autore di favole e di storie di gatti e ho anche nel cassetto un paio di romanzi di fantascienza. Spero inoltre di continuare la mia attività di conduttore radiofonico. Il mio programma ‘Noir is Rock’ nel quale, assieme all’amico Marco Pivari, intervistiamo i maggiori scrittori italiani, va in onda su diverse emittenti ed è ormai giunto alla sesta edizione”.