Ascesa e caduta dello Stato islamico

La storia dell’Isis affonda le radici nella seconda guerra dell’Iraq: il primo nucleo del gruppo nasce come filiale irachena di al Qaeda durante l’insurrezione contro le forze statunitensi.

Le redini Abu Bakhr al Baghdadi le prende nel 2012. Tre anni dopo essere stato liberato dal carcere statunitense di Camp Bucca – una vera e propria accademia del Jihad, dove si formano molti dei leader della futura insurrezione islamista – ricostituisce un’organizzazione ormai decimata e allo sbando: invia emissari per infiltrare la guerra civile siriana, e nel frattempo in Iraq si allea con ex militari e ufficiali del regime baathista di Saddam Hussein, dando inizio a una nuova insurrezione, che per la prima volta dal 2008 fa schizzare a 1000 la conta mensile dei decessi.

L’espansione territoriale inizia nel dicembre del 2013: la prima a cadere è la città irachena di Fallujah; un mese dopo è il turno di Raqqa in Siria, che assieme a Mosul diventerà capitale di un’entità territoriale denominata Stato islamico.

Per qualche mese, l’Isis sembra inarrestabile: cattura e decapita giornalisti e personale umanitario di fronte alle telecamere; saccheggia e distrugge monumenti e siti archeologici, si dota di una complessa macchina amministrativa, giuridica e burocratica e nel frattempo avanza verso le aree a maggioranza curda nel nord della Siria.

Proprio qui inizia, lenta ma inesorabile la disfatta del gruppo; i bombardamenti della coalizione internazionale respingono l’avanzata dei miliziani, che in Siria e in Iraq si ritrovano martellati dal cielo e inseguiti a terra da forze curde e irachene.

Nel 2017 cadono Mosul e Raqqa: perse le capitali, lo Stato islamico inizia a sgretolarsi: l’atto finale si consuma a Baghouz, cittadina siriana sulle rive dell’eufrate dove si asserragliano 5mila tra jihadisti, familiari e decine di ostaggi catturati negli anni precedenti.

 La battaglia segna la fine dello Stato islamico come entità territoriale, ma non come forza combattente; dopo la morte di Al Baghdadi – subito innalzato a martire della guerra santa – i membri del gruppo attraverso la rete hanno giurato di continuare il Jihad e vendicare il vecchio leader

MA LA GENTE E’ PROPRIO STRANA…..

Siamo appena tornati dalla pizza del dopo spettacolo, un rito assolutamente immancabile per le compagnie teatrali. I “Teatroci” ringraziano tutti gli spettatori, gli amici, i conoscenti, gli sconosciuti, gli abbonati, gli appassionati di teatro che sono venuti a vederci al Teatro Cardinal Massaia di Torino (sempre grazie a Daniele Rinaldi), nella ”prima” di LO SAI LA GENTE È STRANA, la nostra sesta commedia dal 2015, un po’ diverse dalle altre con il concetto di “teatro a episodi”, sketch di variegata stranezza umana, intervallati dalla musica di Renato De Paolis e dalla voce della cantante Laura Verderone. Forse qualche grassa risata in meno, compensata da una riflessione dolceamara sulle umane debolezze…
Il primo ringraziamento va alla nostra regista Erica Maria Del Zotto, sublime interprete, ad esempio, de “La moglie logorroica” e della operatrica di call center. Un applauso caloroso alle due “new entry” dei Teatroci: a cominciare da Antonella Argentini, volto e nome noto del firmamento teatrale piemontese, eccellente “single sconvinta” e “tabaccaiona” esplosiva! Bravissimo Massimo Bertocchi, altro esordiente con noi, ma studioso incallito del mondo-teatro, straordinario “bamboccione” dei giorni nostri e ripetente scolastico seriale. Onore e gloria all’autore del copione, Luca Bertalotti, oltretutto frizzante “vecchietto da cantiere” e inquietante “giocatore compulsivo”. Detto di Cristiano Tassinari nel ruolo quasi autobiografico del “giornalista incalzante”, bravissima Xhuana Giulia Ago nei panni dell’avvocato De Cavillis e dell’insospettabile Jessica Sex Bomb, convincentissima Paola Speranza come “mamma iper protettiva” e come spietata serial killer gentil…donna, flessibilissimo Francesco Lemmi, inconsapevole vittima di un’operatrice di call center, di una “moglie logorroica” e pure di una fidanzata che si annoia a seguire il calcio… petulantissima – per esigenze di copione, s’intende – Federica Fulco come “commessa adulatrice” e come professoressa Numerelli…
E speriamo di riavere presto il capocomico Papus!!!
Sempre mitici il nostro fotografo Claudio Bonifazio e il nostro sound and lights engineer Mirco Negri, sempre gentile l’amico Pasquale a farci le riprese tv. Ormai leggendaria la nostra precisissima direttrice di scena
Patrizia Del Zotto. Bravissimo anche Santiago, che ha rallegrato il pubblico e anche il nostro dietro le quinte, senza fare troppo casino e senza far dannare la mamma, guardandoci come se pensasse “Lo sai gli adulti sono strani”…e ringraziamo Mia Martini che ci ha dato lo spunto per il titolo dello spettacolo.
Tra il pubblico ringrazio per la presenza, tra gli altri, Gian Casagrande Raffaele Petrarulo Daniela Schembri Volpe Patrizia la Neve Mariapaola Alì Lia Maro Barbara Cagliero Marina Rota Patty Solemar Carmine Salimbene Carlotta Bisio e tanti altri, compresi Sergio Giunipero e Caterina Fera, Nicola Carnovale, Cesare Castellani e Marco Tracinà. E spero di non dimenticare nessuno!
Domenica 17 novembre, replica di LO SAI LA GENTE È STRANA al Teatro Sant’Anna di Torino e domenica 26 gennaio 2020, “prima” di AMANTI…C’È POSTO al Teatro Cardinal Massaia di Torino. Seguiteci su Facebook sulla pagina “I Teatroci” o contattateci tramite i profili personali degli attori.
Ciao a tutti!

Catalogna, condanne agli indipendentisti: una vergogna spagnola


In assenza dell’ex presidente Carles Puigdemont, da allora riparato in Belgio, e per il quale è stato emesso un nuovo mandato di cattura internazionale, la condanna più dura colpisce quello che era il suo vice, Oriol Junqueras, che è anche il leader, carismatico e indiscusso, della più forte formazione politica secessionista, Esquerra Republicana de Catalunya. Per lui, appunto, 13 anni, da scontare nella prigione catalana di Lledoners, dove è già rinchiuso da due.

Dodici anni di carcere per gli ex assessori Jordi Turull, Raül Romeva e Dolors Bassa, 11 e mezzo per l’ex presidente del Parlament, Carme Forcadell, 10 anni e mezzo per gli altri assessori Josep Rull e Joaquim Forn e 9 anni per gli unici due imputati che non avevano responsabilità dirette nell’amministrazione, Jordi Sànchez e Jordi Cuixart. “Los Jordis”, come sono conosciuti, erano i presidenti dei due grandi movimenti della società civile, Anc e Òmnium Cultural, che negli ultimi anni avevano organizzato le manifestazioni di massa dell’indipendentismo catalano. E furono loro a convocare anche la protesta del 20 settembre 2017 davanti alla sede dell’assessorato all’Economia, a Barcellona, subito dopo l’arresto di alcuni alti dirigenti dell’amministrazione regionale. Una manifestazione – maggioritariamente pacifica, ma con qualche incidente – che si protrasse per tutta la giornata, raccogliendo a sorpresa fino a 40mila persone mentre all’interno era ancora in corso la perquisizione da parte della Guardia Civile.

Quella protesta (seguita il 1° ottobre dalla giornata referendaria, con l’uso della forza da parte della polizia per tentare di impedire agli elettori di andare alle urne) è stata la base su cui la procura del Tribunale supremo ha costruito la tesi accusatoria contro gli indipendentisti, ipotizzando il reato di “ribellione”. Per il codice, una “sollevazione pubblica e violenta” nel tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale. In sostanza, un attentato alla Costituzione, un “golpe” come lo hanno definito gli stessi 4 procuratori che si sono alternati davanti al Tribunale supremo nei quattro mesi di processo, da febbraio fino al giugno scorso. Ma alla fine i sette giudici della più alta istanza giurisdizionale spagnola hanno accolto all’unanimità la tesi dell’avvocatura dello Stato (e quindi del governo) che parlava di “sedizione”. In questo caso si tratta di un reato contro l’ordine pubblico, una “sollevazione tumultuosa” per impedire l’applicazione delle leggi o non permettere all’autorità di applicare le “risoluzione amministrative e giudiziarie”.

La morale è una sola: nessuno vuole sul serio fermare Erdogan

di Claudio Visani (Globalist.it)

“#poveraeuropa: nessuna posizione comune, neanche un documento comune di condanna della Ue per l’invasione turca del Kurdistan siriano.
Patetico Di Maio che dice “ora l’Europa parla con una sola voce”.
Ogni paese dovrà decidere in autonomia sul blocco delle esportazioni di armi a Erdogan. Che poi sarebbe solo una decisione simbolica perché Erdogan ha gli arsenali pieni delle armi fornite dall’Occidente con le quali sta massacrando i curdi, occupando una fetta di territorio di un altro paese, la Siria, e uccidendo i giornalisti per tenerli lontani dalla scena.
Morale: nessuno vuole fermare Erdogan. Se lo volessero fare la Nato dovrebbe decidere subito una “no fly zone” su quell’area, ma la Turchia è membro di peso della Nato quindi nisba. E si dovrebbero decidere dure sanzioni economiche. Ma gli affari sono affari e i soldi non hanno odore, neanche quelli che arrivano all’Italia, terzo partner commerciale, dal dittatore turco.
Poi c’è il ricatto dei profughi che Erdogan minaccia di far arrivare in Europa. Vorrete mica che ci facciamo invadere per difendere i curdi?
Che brutto mondo”.

Soldatesse curde.

Adesso chiamatelo CR700…

Una brutta sconfitta per il Portogallo, una grande cifra per Cristiano Ronaldo.

Quota 700!

Con il rigore trasformato allo Stadio Olimpixsky di Kiev contro l’Ucraina (partita persa 2-1 dal Portogallo), il 34enne attaccante portoghese della Juventus ha raggiunto i 700 gol in carriera, cosi distribuiti: 95 con la maglia della nazionale, 605 con le sue squadre di club (Sporting Lisbona, Manchester United, Real Madrid e Juventus).

CR7 si conferma come il giocatore in attività con piiù reti realizzate: il suo rivale di sempre, Leo Messi, lo segue a distanza, con 672 gol.

Sono passati ben 17 anni dal primo gol del 17enne Cristiano Ronaldo, segnato con la casa biancoverde orizzontale dello Sporting contro la Moreirense e 17 anni dopo l’impresa del brasiliano Romario, l’ultima capacità di arrivate alla vetta delle 700 reti.

I gol di CR700 sono stati cosi ripartiti: 5 gol in 31 partite con lo Sporting Lisbona (2002-2003), 118 in 292 partite con il Manchester United (2003-2009), 450 in 435 partite con il Real Madrid (2009-2018), 32 in 51 gare con la Juventus (2018-2019).

Se il primo gol fu in Sporting-Moreirense del campionato portoghese, il 100° fu in Manchester United-Tottenham di FA Cup, il 500° in Real Madrid-Malmo di Champions League e il 600° proprio contro la Juventus, sempre in Champions.

Delle 95 reti in nazionale portoghese, 30 (in 39 partite) le ha segnate nelle qualificazioni mondiali, 7 (in 17 partite) nelle fasi finali dei Mondiali, 27 (in 32 incontri) nelle qualificazioni europee, 9 (in 21 in match) nelle fasi finali degli Europei, 17 in 47 amichevoli, 3 in due partite di Nations League e 2 in quattro partite di Confederations Cup.

Secondo una meravigliosa statistica, dei suoi 700 gol in carriera Cristiano Ronaldo ne ha segnati 442 con il piede destro, 129 con il sinistro, 127 di testa e 2 di…petto!

Sembra impossibile, semmai, l’assalto di Cristiano Ronaldo al record assoluto dell’austriaco Josef Bican, che dal 1933 al 1956 – altri tempi – mise a segno in totale 885 gol.

 

Cristiano Ronaldo trasforma il rigore del suo gol numero 700 in carriera.
REUTERS/Valentyn Ogirenko

Curdi: 100 anni di lotte e promesse mancate

Ai tradimenti i curdi sono abituati. Il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria deciso da Trump, seguito dall’offensiva turca, è solo l’ultimo di una lunga serie. Il grande Kurdistan, sogno cullato da uno dei più grandi gruppi etnici senza uno stato, è sempre rimasto sulla carta.

Il primo tradimento è storia di quasi cento anni fa. È il 1920: il trattato di Sèvres sancisce la fine della prima guerra mondiale e dell’impero ottomano, ai curdi viene promessa la concessione di uno Stato autonomo nell’altopiano del Kurdistan.

Tre anni dopo a Losanna Regno Unito, Francia e Stati Uniti si rimangiano la parola, dando il via libera alla creazione di altri stati. Da quel comento comincia una storia costellata da delusioni cocenti e successi fugaci come la Repubblica di Mahabad, fondata nel 1946 e durata appena 11 mesi prima di essere rasa al suolo da Teheran.

Il 1972 è l’anno del primo tradimento americano. Lo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, chiede agli Stati Uniti di appoggiare la rivolta dei curdi in Iraq. Il presidente americano Richard Nixon e il segretario di Stato Henry Kissinger accolgono la richiesta. Gli Usa armano i ribelli per destabilizzare Baghdad, ma tre anni dopo Iran e Iraq trovano un accordo e i curdi vengono lasciati al loro destino.

Il 1978 è l’anno di nascita del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) di Abdullah Ocalan. Il nord dell’Iraq diventa l’avamposto per la guerriglia contro Ankara: un conflitto destinato a segnare i quattro decenni successivi.

Negli anni ’80 i curdi si ritrovano ancora una volta in mezzo al conflitto tra Iran e Iraq. Saddam Hussein dà inizio al genocidio che culmina con l’attacco chimico di Halabja, dove muoiono circa 5mila persone.

La Guerra del Golfo nel 1991 rappresenta il secondo tradimento americano. Saddam reprime nel sangue la rivolta curda incoraggiata da Bush senior. I curdi sono costretti a rifugiarsi nelle montagne tra Turchia e Iraq. Se non altro gli Stati Uniti impongono una no-fly zone per salvarli dai bombardamenti: un accordo durato fino all’invasione americana del 2003 voluta da Bush junior.

Il resto è storia recente. Nel 2011 la guerra civile in Siria permette ai curdi siriani di formare un’amministrazione autonoma nel nord-est del Paese. Gli Stati Uniti gli danno man forte per combattere l’Isis. Un’alleanza finita con un altro tradimento.

W la tecnologia! (senza esagerare)

Ho avuto il primo cellulare a 27 anni e il primo indirizzo e-mail a 31 anni: adesso mi sembra impossibile poter vivere senza. Ma come si faceva prima? Non solo gli amici, ma anche il datore di lavoro ti chiamava al telefono di casa per comunicare qualche novità? Sembrano passati mille anni da allora. Eppure si viveva bene lo stesso, ignari della “rivoluzione tecnologica”. Ma ora, per fortuna, non si può più tornare indietro dal progresso, in nessun settore. E quelli che invocano un ritorno ai “bei tempi di una volta” si mettano l’animo in pace o vadano a fare i monaci buddisti sull’Himalaya.
W la tecnologia – magari senza esagerare a scapito dei rapporti umani – che mi permette, tra l’altro, di vedere mio figlio che, da un telefono, mi dice “Ciao” di fretta e poi scappa perchè ha mille cose da fare e non ha tempo da perdere con il vecchio babbione del suo babbo….

Non è che siamo un po’ troppo connessi con il mondo?

Una frecciatina a Greta

Andrew Bolt, giornalista di SkyNews Australia smaschera l’ipocrisia dei giovani che manifestano per il clima:

«Voi siete la prima generazione che ha preteso l’aria condizionata in ogni sala d’aula; le vostre lezioni sono tutte fatte al computer; avete un televisore in ogni stanza; passate tutta la giornata a usare mezzi elettronici; invece di camminare a scuola prendete una flotta di mezzi privati che intasano le vie pubbliche; siete i maggiori consumatori di beni di consumo di tutta la storia, comperando in continuazione i più costosi capi di abbigliamento per essere trendy; la vostra protesta è pubblicizzata con mezzi digitali e elettronici.

Ragazzi, prima di protestare, spegnete l’aria condizionata, andate a scuola a piedi, spegnete i vostri telefonini e leggete un libro, fattevi un panino invece di acquistare cibo confezionato. Niente di ciò accadrà, perché siete egoisti, mal educati, manipolati da persone che vi usano, proclamando di avere una causa nobile mentre vi trastullate nel lusso occidentale più sfrenato. Svegliatevi, maturate e chiudete la bocca. Informatevi dei fatti prima di protestare”.

Il giornalista australiano Andrew Bolt, “nemico” di Greta.