In assenza dell’ex presidente Carles Puigdemont, da allora riparato in Belgio, e per il quale è stato emesso un nuovo mandato di cattura internazionale, la condanna più dura colpisce quello che era il suo vice, Oriol Junqueras, che è anche il leader, carismatico e indiscusso, della più forte formazione politica secessionista, Esquerra Republicana de Catalunya. Per lui, appunto, 13 anni, da scontare nella prigione catalana di Lledoners, dove è già rinchiuso da due.
Quella protesta (seguita il 1° ottobre dalla giornata referendaria, con l’uso della forza da parte della polizia per tentare di impedire agli elettori di andare alle urne) è stata la base su cui la procura del Tribunale supremo ha costruito la tesi accusatoria contro gli indipendentisti, ipotizzando il reato di “ribellione”. Per il codice, una “sollevazione pubblica e violenta” nel tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale. In sostanza, un attentato alla Costituzione, un “golpe” come lo hanno definito gli stessi 4 procuratori che si sono alternati davanti al Tribunale supremo nei quattro mesi di processo, da febbraio fino al giugno scorso. Ma alla fine i sette giudici della più alta istanza giurisdizionale spagnola hanno accolto all’unanimità la tesi dell’avvocatura dello Stato (e quindi del governo) che parlava di “sedizione”. In questo caso si tratta di un reato contro l’ordine pubblico, una “sollevazione tumultuosa” per impedire l’applicazione delle leggi o non permettere all’autorità di applicare le “risoluzione amministrative e giudiziarie”.