Gino Dauro: fumettista con gomma pane, pennellini e matite

Andiamo alla (ri)scoperta di un fumettista di successo, ora ingiustamente dimenticato: Gino Dauro. Nato ad Isola d’Asti nel 1932, ha vissuto a lungo a Torino. E’ scomparso il 12 novembre 2005. Quasi quindici anni. Un tempo più che sufficiente per provare a rinfrescarne (meritatamente) la memoria.
Ricordate alcuni dei suoi fumetti più famosi? Se non siete più giovanissimi, forse si.
Racconta Marco, uno dei figli: “Non ho notizie precise sul percorso formativo di mio padre, dato che lui mi raccontò sempre di essere stato un autodidatta. Riguardo i fumetti più legati al suo nome direi che il principale fu “Savage“, che veniva pubblicato sul “Corriere boy”: mio padre mi disse che fu nominato miglior fumetto italiano per tre anni (negli anni ’70). Il fumetto narrava di un detective privato (ex poliziotto) dagli occhi tristi (portava sempre nel cuore l’immagine della sua fidanzata Jenny, una ballerina classica, uccisa da criminali).
Prima, mio padre aveva legato il suo nome ad un altro fumetto chiamato “Teddy Bob“, che parlava delle avventure di un ventenne scapestrato, ma dai saldi principi morali, anche se un po’ ribelle (un James Dean all’italiana), prodotto in collaborazione con Pier Carpi. Altro suo fumetto abbastanza conosciuto fu “Justine“, un’eroina sexy con avventure erotiche che svariavano dalle più “normali” a quelle spaziali.

Successivamente mio padre si dedicò a disegnare anche per “Intrepido“, dove pubblicavano storie da 12 tavole quasi sempre a se stanti (storie di un solo capitolo) disegnate su sceneggiature altrui o create da lui. Questi. in generale, furono i principali lavori di mio padre, anche se so che durante un certo periodo disegnò anche dei “Tex” e delle storie per il mercato francese”.
– Poi arrivò la crisi del fumetto…
“A causa della crisi del fumetto (e anche per problemi personali), mio padre smise di collaborare con la Rizzoli e la Universo (le case editrici principali per cui lavorava). Per qualche anno disegnò fumetti pornografici per la “Edifumetto”, ma fu una breve parentesi, della quale non andava orgoglioso. Dopo, abbandonò definitivamente il mondo dei fumetti e si dedicò a sbarcare il lunario con lavori di pittura e decorazioni domestiche. Dopo qualche anno lo contattò un tal Cannata per provare a rieditare “Savage” come fumetto unico (tipo Nick Rider o Dylan Dog), ma la cosa non funzionò e s’interruppe dopo 4-5 pubblicazioni”.
– Come si svolgeva il lavoro di un fumettista d’altri tempi? Altro che computer, immagino….
“Il lavoro di mio padre si svolgeva unicamente a mano e devo dire, onestamente, che era un vero fenomeno, ma probabilmente non seppe sfruttare appieno le sue possibilità (o il destino non gliene diede l’opportunità). Io lo ricordo sul suo tecnigrafo, con la luce diretta sulle tavole da disegno, con la sua “gomma pane” e i suoi pennellini e matite. In generale lui riceveva la sceneggiatura o creava lui stesso la storia, poi faceva gli “schizzi” sulle tavole e successivamente disegnava la bella copia. Solitamente erano storie da 12 tavole, tavole grandi, tipo A4. Una volta finito di disegnare a matita le tavole, riprendeva dalla prima e si occupava di pitturare a “china”. Quindi, una o due volte al mese andava a Cinisello Balsamo a portare il lavoro (pochissime volte gli chiedevano piccole correzioni, ma davvero pochissime volte, dato che era davvero bravo)”.
– Gino Dauro ha lasciato una “eredità artistica”, qualche discepolo che si ispiri a lui?
“Non ha lasciato una “eredità artistica”, poichè mio fratello ed io siamo totalmente negati per il disegno! Quando ero piccolo mi fece disegnare, e spesso, copiando disegni suoi, ottenevo discreti risultati, ma ero molto lento e non mi appassionava molto. Nel suo periodo di massimo fulgore si fece aiutare da altri due disegnatori cui insegnò il suo stile di disegno (anche se si notavano abbastanza le differenze). Uno era il “Signor Lagna”,  e l’altro era un cugino di mia madre”.
E’ vero che Gino Dauro è conosciuto anche come giornalista?
“Si, certo… Era stato pure giornalista, anche del Corriere della Sera. Mi raccontava che aveva cominciato con lo scrivere oroscopi (mi spiegò come non si deve credere in certe str…ate, dato che lui li inventava di sana pianta) e poi occupandosi di sport e cronaca italiana alternati (alcuni suoi articoli contribuirono a certi cambi politici nella Torino dei primi anni ’70). Spesso mi raccontava di quanto fosse affascinante, ma duro, il lavoro di giornalista, dovendo spesso quasi “inventare” le notizie; mi raccontava di un giocatore della Juve che aveva dato un pugno al flipper in un bar (probabilmente aveva mancato il suo record personale) e lui creò una storia su un presunto litigio con la moglie o fidanzata, causa ingerenze di un altro compagno di squadra e bla bla bla… Se non sbaglio. il giocatore minacciò di querelarlo.  Mi raccontava anche che frequentava un bar dove spesso giocava a carte con Bearzot e Causio, e in quel bar a volte portava pure me (ricordo che un signore del bar mi diede una bandiera del Toro per sfottere mio padre che era della Juve, e mio papà mi disse che quel signore era proprio Bearzot, ma io non ricordo bene, avevo 4 o 5 anni).
– Belle storie, bei tempi. Ma dove sono ora tutti i suoi fumetti? Voi li avete conservati?
“Noi abbiamo conservato quasi tutti i suoi fumetti, eccetto “Teddy Bob” e “Justine” che vendemmo ad un collezionista per pochi soldi (la nostra situazione economica non era delle migliori), però attualmente si trovano tutti inscatolati a causa di un trasloco. Abbiamo anche alcune sue tavole originali e dei quadri fatti da lui (se la cavava anche con la pittura vera e propria, con uno stile molto personale, ispirato a Picasso). Nel web e nei mercatini credo si trovi ben poco”.
– Cosa è mancato a suo padre per poter essere considerato un grande anche dagli “esperti”?
“Pur essendo un disegnatore straordinario, non seppe mai “vendersi bene” e non riuscì mai a realizzare il suo sogno di fare un percorso alla Milo Manara, che si isolò dal mondo per qualche anno, senza preoccuparsi di mantenere moglie e figli, e creò una serie di fumetti e di personaggi che “sfondarono”.
– Quanto è ancora vivo il ricordo di Gino Dauro tra gli appassionati di fumetti?
“Non saprei dirti quanto sia vivo il ricordo del suo nome negli addetti ai lavori, purtroppo è un campo che non frequento, anche per il fatto che ormai da 16 anni vivo in Spagna. Ma il fatto che qualcuno abbia voluto saperne più di lui mi fa piacere”.

(c.t.).