Un articolo di “Vanity Fair” del 2018, in occasione dell’80esimo anniversario della nascita di Tiziano Terzani, scomparso nel 2004.
Nella sua vita ha «volato tanto»: ha avuto il coraggio di farlo, di dire no, di cambiare tutto e di ricominciare da capo. Oggi Tiziano Terzani avrebbe compiuto ottant’anni. Invece il giornalista e scrittore toscano, nato a Firenze nel 1938, si è spento quattordici anni fa. Ma senza rammarico o nostalgia. «La mia vita è stata un giro di giostra, sono stato incredibilmente fortunato e sono cambiato tantissimo», aveva scritto.
È vero: la sua vita è stata un giro di giostra. Terzani non si è mai fermato fino a quando non ha trovato il lavoro che rispecchiasse la sua personalità e soddisfacesse le sue ambizioni, ha vissuto una vita famigliare intensa, ha esplorato e raccontato per decenni il continente asiatico in tutte le sue dimensioni.
Ma andiamo con ordine. Il papà Gerardo aveva un’officina meccanica, la mamma Lina lavorava come cappellaia in un negozio di sartoria: la famiglia Terzani viveva in una piccola casa modesta, e per Tiziano forse non era previsto un futuro di studi e di impegno intellettuale. Ma un professore della scuola media, Ernesto Cremasco, convocò i genitori: il ragazzo doveva assolutamente andare al liceo classico. Gerardo e Lina si convinsero, e con tutti i loro risparmi andarono a comprargli il suo primo paio di pantaloni lunghi. Non sbagliarono a puntare su quel figlio diligente: Tiziano si diplomò brillantemente.
Fu allora che la Banca Toscana gli offrì un lavoro. Una proposta che aveva elettrizzato i genitori, ma terrorizzato il giovane. «Per me era la morte civile. Però avevo tutta la famiglia contro». Disse comunque di no e continuò a studiare. Tentò l’ammissione al collegio Medico-Giuridico annesso alla Scuola Normale di Pisa: c’erano cinque posti a disposizione, e lui arrivò secondo. Con la sua laurea con lode in mano, entrò alla Olivetti e fece il manager per cinque anni. Un lavoro che gli permise di viaggiare in tutta Europa e in Oriente, e di rendersi conto di che cosa davvero gli facesse battere il cuore.
In quegli anni Tiziano, che si era sposato con una ragazza di origine tedesca, Angela Staude, iniziò a innamorarsi della Cina. E quando la Olivetti lo mandò in Sud Africa, lui tornò indietro con un reportage sull’apartheid pronto da pubblicare su l’astrolabio, settimanale diretto da Parri. Passò ancora qualche anno nell’azienda prima di riconoscere che la sua vera, unica e grande passione era il giornalismo. E che non aveva più intenzione di sprecare tempo facendo altro.
Trovò lavoro a Il Giorno, fece il praticantato e diventò professionista. Ma lui voleva fare il corrispondente dall’Oriente, e quando il direttore gli disse che il giornale non ne aveva bisogno, si dimise. Iniziò a girare l’Europa per trovare quel posto di lavoro, finché approdò al settimanale amburghese Der Spiegel, diretto da Rudolf Augstein, che gli diede la possibilità di scrivere dal Sud-Est asiatico, da freelance. L’avrebbe poi fatto per trent’anni.
Da Singapore, dove si stabilì con la moglie e i figli Folco e Saskia, cominciò anche la collaborazione con diverse importanti testate italiane, da L’Espresso, a Il Messaggero, da La Repubblica al Corriere della Sera. Il suo primo libro, Pelle di leopardo, è dedicato alla guerra in Vietnam. Nel 1975 rimase a Saigon insieme a pochi altri giornalisti per assistere alla presa del potere da parte dei comunisti, e scrisse Giai Phong! La liberazione di Saigon, che fu tradotto in molte lingue. Dopo l’aggressione della Cambogia da parte del Vietnam, Terzani fu tra i primi cronisti a tornare a Phnom Penh, e raccontò il suo viaggio in Holocaust in Kambodscha.
Scriverà altri libri preziosi, e scriverà anche di se stesso: nell’aprile del 2004, poco prima di morire, pubblicò Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo. Ancora un’osservazione giornalistica, ma questa volta della delle tecniche più moderne di quella medicina che stava tentando di curare il suo tumore all’intestino, senza riuscirci. Ma sappiamo che Terzani se ne è andato in pace. «Senza alcun rimpianto, di promesse mancate, di cose incompiute, senza pena aggiunta mi preparo a volare un’altra volta».