Te la do io l’America!

di Riccardo Cestaro

Cosa spinge i grandi imprenditori stranieri a investire nel calcio italiano? Qual è la nuova visione di questi ultimi sul mondo del pallone? Che il sistema sia visto come un business non è certo una novità. Fino a qualche anno fa, il concetto di presidente appassionato che pur di non vendere era disposto a perdere denaro perché teneva alla società e a ciò che rappresentava era ancora presente. Vedi Moratti e Berlusconi negli ultimi anni della loro carriera a Inter e Milan per citare due nomi, ma ora tutto ciò rimane soltanto un ricordo. Si parla infatti di “franchising” del mondo del pallone quindi di magnati che rilevano grosse o piccole società, o per effettuare operazioni finanziare a breve termine, oppure considerando tali squadre vere e proprie attività industriali (asset). Questi ultimi sono molto sottovalutati in Italia, ecco perché nel nostro paese è possibile acquistare squadre con bilanci in ordine a cifre che non sarebbero nemmeno proponibili all’estero. Così si formano le cosiddette MCO (multiple club ownerships): più squadre possedute da un individuo o una singola società in campionati diversi. In poche parole, investire nel nostro paese conviene. Un classico esempio è sicuramente rappresentato da Paul Elliot possessore dell’omonimo fondo che detiene il 99,7% del A.C. Milan con un patrimonio economico che si aggira attorno ai 3,2 miliardi di dollari. Oppure altri casi noti sono quelli di Dan Friedkin neo presidente della Roma, di Joey Saputo a capo del Bologna e di Rocco Commisso che detiene la presidenza della Fiorentina e dei New York Cosmos, rispettivamente con capitali di 4.1, 5 e 9 miliardi di dollari. Senza contare del predecessore di Friedkin, James Pallotta con addirittura 10 miliardi di dollari di ricchezza. Una vera e propria colonizzazione di uomini d’affari americani, che probabilmente continueranno e svilupperanno questa politica. Insomma scordiamoci per sempre l’acquisto per amore della società. Ma allora perché le loro squadre non hanno importanti fatturati e non possono vantare prestazioni di livello con titoli annessi? Se l’obbiettivo è la valorizzazione della squadra, per quale ragione il Bologna non è il Manchester City d’Italia per fare un appunto? E ancora… Quale sarà il futuro dei nostri campionati? Che cosa manca alle squadre italiane per eccellere in Europa? Su questi e su molti altri interrogativi bisogna riflettere e non è semplice dare una risposta.

Dan Friedkin, l’ultimo boss “Made in USA” arrivato nel calcio italiano.