Non ci sono giustificazioni politiche, quando invadi un altro paese e rovini la vita a civili innocenti.
Non ci sono giustificazioni politiche, quando invadi un altro paese e rovini la vita a civili innocenti.
C’è una vigna in centro a Milano, che non è una vigna come tutte le altre.
Si trova nei giardini della Casa degli Atellani, appartenne a Leonardo da Vinci e gli fu donata da Ludovico Maria Sforza, detto “Il Moro”, nel 1498, come pegno per aver dipinto una delle sue opere più famose: il Cenacolo.
“Questa vigna è di fatto il metodo di pagamento dell’ultima cena”, racconta Alessandro Cotroneo, Direttore della Vigna di Leonardo, che ha raccolto l’eredità e l’importanza di questa storia del passato e, ora, del presente.
“La storia fa riferimento a Ludovico ‘il Moro’, il Duca di Milano, che comprò questa casa per farne il punto di partenza del nuovo quartiere di Milano che voleva costruire. Si presentò a Leonardo da Vinci, che arrivava da Firenze, sedotto e abbandonato dai Medici: nel curriculum che Leonardo aveva consegnato al Duce, scrisse “saprei anche dipingere”.
Oggi la vigna – un tempo dimenticata – è rinata, grazie all’Expo 2015, all’interno dei filari originali.
Già nel 2007 vennero rinvenuti dei residui biologici vivi del vigneto originario, situato all’interno del giardino. Queste ricerche portarono al reimpianto del vitigno, la Malvasia di Candia Aromatica, detto anche il “Malvasia di Milano”: di fatto, il vino di Leonardo da Vinci.
Da alcune settimane – grazie ai “buoni uffici” dell’amico e collega Ezio Maletto – sono stato arruolato nella batteria degli opinionisti di “Top Planet”, programma a tinte bianconere che, da diversi anni ormai, è un punto di riferimento per tutti gli appassionati di calcio e, in particolare, per i tifosi della Juventus.
Io faccio la mia parte da bravo opinionista “super partes”, come dovrebbe essere – e spesso non è – ogni buon giornalista sportivo che si rispetti.
Grazie a Massimo Tadorni e ad Angelo Raffino, che – dalle frequenza di Videogruppo in Piemonte, da TeleLombardia e sullo streaming https://www.mediapason.it/top-planet/guardalo-in-streaming-top-planet/– mi ospitano nelle loro trasmissioni del pomeriggio e del matinèe, sempre in compagnia di ospiti interessanti, simpatici e competenti.
E, quindi, come per le occasioni speciali, bisogna mettersi in ghingheri. Ma, soprattutto, bisogna divertirsi.
E io mi diverto un mondo!!!!!!!
P.s. spero anche i telespettatori….
Fa una certa impressione scoprire che – lo scorso 7 febbraio – Vasco Rossi ha compiuto 70 anni: un’età da anziano in un’anima “rock”!
Ma l’anagrafe non deve ingannare: Vasco è ancora mooolto giovane dentro!
E mi fa ricordare, in effetti, di quando sono stato “veramente giovane” pure io: nel 1991 avevo quasi 21 anni e andai a vedere l’unico vero concerto della mia vita, quello di Vasco Rossi allo Stadio del Baseball di Firenze.
Mi ricordo chi c’era con me, quella sera dell’11 giugno di 31 anni fa? Direi proprio di sì: Guerzo con le sue immancabili “cartine”, Cippo, Sabbino e Berto. Mi pare proprio ci fosse anche un sesto, ma non ricordo chi fosse.
Viaggio di andata e ritorno in treno, Bologna-Firenze. Ritorno alla notte e, come disse uno di noi: “Siamo partiti in sei, torniamo in cinque”.
Ecco perché un sesto doveva proprio esserci…
Questo perchè avevamo perso di vista Cippo, il più “grande” di tutto, all’epoca baldanzoso 25enne un tantino…sbadato. Infatti, conoscendolo, dopo averlo perso di vista nella bolgia di fine concerto, abbiamo prima chiamato – da un telefono a gettoni – la polizia e poi l’ansioso padre, noto come “Gnagno”. Non molto preoccupati, nè i poliziotti nè il signor Zaniboni.
A dire il vero, ci eravamo preoccupati per niente, perchè Cippo ci aveva preceduti e aveva preso il treno prima per Bologna, arrivando a destinazione un’ora prima. Ed era lì dalla macchine ad aspettarci! Ma, all0ra, non c’erano mica i cellulari…
Più che delle canzoni di Vasco, mi ricordo l’atmosfera “ribelle” di quel concerto, il mondo in mano – almeno per una notte – ai noi giovani. Eravamo in una posizione da cui non si vedeva granchè e non si sentiva granchè, Vasco era un puntino sul palco, laggiù, e noi seduti a gambe incrociate sull’erba dello stadio. Se lo facessi ora, non riuscirei più a rialzarmi…
Un’esperienza “di amicizia” bellissima e unica, talmente unica da non essere mai stata più ripetuta, se non per un “Vota la Voce” in Piazza Maggiore a Bologna, forse lo stesso anno di grazia 1991…
Purtroppo – e incredibilmente – non ho foto di quel viaggio, di quel concerto, di quell’avventura: erano altri tempi “fotografici” e, probabilmente, non mi interessava immortalare quel momento, mi bastava viverlo…
Adesso farei migliaia di scatti!!!!!
Accidenti, non ho nemmeno conservato il biglietto: com’è possibile?
Per fortuna, ho conservato il ricordo, quello sì, di un Vasco Rossi, che quel giorno, aveva – facciamo i conti – 39 anni. E adesso, a 70, è sempre prepotentemente sulla cresta dell’onda.
“Eh già, sono ancora qua”, direbbe il Blasco da Zocca.
Scrivo proprio nei momenti-clou del giuramento-bis del presidente Mummiarella, che – pensate – resterà in carica, forse, fino al 2029, quando avrà 87 anni e potrebbe pure essere rieletto per un terzo mandato, che farebbe in totale 21 anni. Direi che ne bastano 14, no? Ne bastavano anche 7, sicuro.
Ovviamente, del giuramento di Mummiarella non me ne può fregare di meno.
Ovviamente, non ho guardato un solo nanosecondo delle dirette lecculiane dei grandi telegiornali nazionali: so già tutto quello che mi serve per giudicare l’infimo comportamento del Parlamento italico e dello stesso Mummiarella, che prima dice “basta basta basta” – guadagnandosi il mio rispetto, come aveva fatto un’altra nullità come Ratzinger, riabilitatosi soltanto con le dimissioni, probabilmente obbligate – e poi volta gabbana e dice di non “potersi sottrarre alle responsabilità e ai doveri cui è chiamato”.
No comment.
Certo fa comodo al governo-Draghi un presidentucolo così remissivo, una brava persona (e chi lo mette in dubbio?) ma un pessimo presidente, che firma qualunque decreto gli venga posto sotto il naso senza nemmeno leggerlo (come ci manca Kossiga!), il vero garante di questa cabina di regime-Covid.
Come tale, Sergio Mattarella, detto “Mummiarella”, non può essere il mio presidente.
E, visto il teatrino indecoroso delle ultime elezioni “raddoppiate” (prima Napolitano, ora Mummiarella), speriamo che un giorno si arrivi finalmente alla repubblica presidenziale: così, almeno, chi comanda lo decidiamo (nel bene o nel male, azzeccandoci o sbagliando) noi cittadini. E non 1000 parlamentari (1000: vi rendere conto?) che pensano solo ai loro oscuri interessi di bottega.
Arriverà quel giorno benedetto? Spero presto.
Foto “I Sarcastici 4”.
Per tutti quelli che “volevano solo fare i giornalisti”, Tito Stagno è sempre stato una figura leggendaria. E’ lui che ha fatto la “telecronaca” dello sbarco (reale o fittizio? Non lo sapremo mai con certezza) dell’Uomo sulla Luna, quell’indimenticabile 20 luglio 1969.
Io non c’ero ancora, sarei nato di lì a cinque mesi, per cui l’epopea di quella straordinaria notte italiana con il naso all’insù, raccontata in tv da Tito Stagno (aveva 39 anni, quella notte…), l’ho semplicemente sentita raccontare, tante e tante volte, in 50 anni e oltre. Ma poi il “giornalista della Luna” ho imparato a conoscerlo, vedendolo fare – in tv – altre cose, come condurre “La Domenica Sportiva”, un tempo appuntamento imperdibile per gli appassionati di sport, non solo di calcio. Ma per tutti, anche per mio padre che lo rivedeva in televisione, era sempre e comunque “il “giornalista della Luna”.
E così è rimasto, per tutti.
Una figura mitologica, così come – ad esempio, per me – Lello Bersani, il leggendario cronista dei festival cinematografici, quello che mi rubava il ciuccio (me lo diceva la mia mamma, per giustificare la sparizione del ciuccio: cosa che non dimenticherò mai e che perdonerò mai a Lello Bersani)…
Lello Bersani ci ha lasciati da 20 anni.
Tito Stagno ci ha lasciati l’altro giorno, a 92 anni.
Un pezzo di storia della televisione, un pezzo di storia della Luna.
Quasi come l’Apollo 11, quasi come Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins (un mito anche lui, sebbene quella notte rimase ai comandi e non potè mai raccontare ai nipotini di aver messo piede sulla Luna).