Mese: Maggio 2022
Russia: McDonald’s chiude tutto e vende a “Zio Vanja”
Il famoso arco giallo di McDonald’s è destinato a sparire, almeno in Russia.
Il gigante americano del fast-food, infatti, ha messo in vendita tutte le sue attività in Russia; 850 ristoranti che danno lavoro a 62.000 persone.
McDonald’s ha sottolineato la crisi umanitaria causata dalla guerra, affermando che mantenere le proprie attività in Russia “non è più sostenibile, né coerente con i valori di McDonald’s”.
Lo scorso 9 marzo, l’azienda con sede a Chicago aveva annunciato la chiusura temporanea dei suoi locali in Russia, continuando però a pagare i dipendenti. Ora Mc Donald’s ha dichiarato che cercherà di far assumere i lavoratori da un acquirente russo e di pagarli comunque fino alla chiusura definitiva della vendita.
L’amministratore delegato di McDonald’s, Chris Kempczinski, ha dichiarato che la “dedizione e la fedeltà dei dipendenti e delle centinaia di fornitori russi” hanno reso difficile la decisione di andarsene dalla Russia, “ma abbiamo un impegno nei confronti della nostra comunità globale e dobbiamo rimanere saldi nei nostri valori”.
McDonald’s sarà probabilmente rimpiazzato in Russia da “Zio Vanja“, neonato brand gastronomico che prende il nome dall’opera teatrale di Anton Cechov.
Per dribblare le sanzioni imposte dall’Occidente, promette di usare materie prime “russe al 100%”, con la possibilità di ignorare i brevetti dei Paesi che Mosca considera ostili. La catena, però, non si discosterà un granché dallo stile dei Big Mac. Un indizio arriva dal marchio: una B gialla, che nell’alfabeto cirillico corrisponde alla V di Vanja, su sfondo rosso, un marchio che roteato di 90 gradi somiglia molto alla ‘M’ del fast food americano.
McDonald’s è stato il primo fast-food americano ad aprire nell’Unione Sovietica, proprio a Mosca: era il 31 gennaio 1990. E fu subito un clamoroso successo.
Ma ora l’epoca della “democrazia americana degli hamburger” è finita.
Marilyn batte tutti i record!
195 milioni di dollari (circa 185 milioni di euro): è il valore astronomico raggiunto da una delle celebri opere della serie di serigrafie Shot Marilyn del leggendario artista Andy Warhol, dedicate naturalmente a Marilyn Monroe.
L’asta, da Christie’s a New York, per l’opera “Shot Sage Blue Marilyn”, realizzata da Warhol nel 1964, è durata meno di quattro minuti: il compratore è il celebre gallerista Larry Gagosian, presente al Rockfeller Center, che non ha però rivelato se l’acquisto è tutto per sè o per qualche facoltosissimo suo cliente.
Il dipinto apparteneva all’eredità di due commercianti d’arte svizzeri: i fratelli Doris e Thomas Ammann, che nel 1977 aprirono una galleria di arte moderna e contemporanea a Zurigo.
Marta Russo, 25 anni dopo
Diritti all’aborto: gli Stati Uniti stanno per tornare indietro di 50 anni
In piazza per difendere il diritto all’aborto.
Centinaia di attivisti si sono radunati martedì davanti alla Corte Suprema a Washington dopo la fuga di notizie relativa a una bozza di parere, secondo la quale la Corte sarebbe pronta a ribaltare la storica sentenza del 1973 che ha riconosciuto il diritto all’aborto a livello federale.
Il caso “Roe vs Wade”, che in queste ore è tornato sulla bocca di tutti, è stato tra i più esaminati al mondo in materia di bioetica e giurisprudenza: fino alla sentenza del ’73, solo un terzo degli Stati Uniti aveva in vigore leggi che consentivano l’aborto, e solo in alcuni casi.
La storia di Jane Roe (in realtà il suo nome era Norma McCorvey) e il processo contro le istituzioni del Texas (rappresentate dall’avvocato Wade, che completa il nome della sentenza) cambiò le carte in tavola e la Corte Suprema decise che lo Stato non poteva e non doveva intervenire sulle decisioni più intime e personali dell’individuo, tra cui la scelta di abortire.
L’unico aspetto su cui la legge può deliberare è la tempistica di accesso all’Ivg: in particolare, il caso “Roe vs Wade” garantisce l’accesso all’aborto fino al periodo compreso tra le 22 e le 24 settimane dal concepimento, a seconda dei casi. Il fattore tempo, in effetti, è controllato dallo Stato in tutti i Paesi in cui l’aborto è legale, in alcuni casi rendendolo completamente inaccessibile.
Ad esempio, proprio il Texas ha di recente limitato l’accesso all’interruzione di gravidanza entro le sei settimane, che è di fatto il periodo in cui la maggior parte delle donne scopre di essere incinta; proprio per questo motivo, la maggioranza degli aborti avviene solitamente dall’ottava settimana in poi. I nove giudici della Corte Costituzionale, invece, stanno esaminando il ricorso della Jackson Women’s Health Organization contro la norma del Mississippi che vieta l’Ivg dopo la 15esima settimana.
Reazione infuriata della vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris: “Questi leader repubblicani che stanno cercando di usare la legge come arma contro le donne… Come si permettono? Come osano dire a una donna cosa può fare e cosa non può fare con il proprio corpo?”
Ha parlato di retorica sfrenata, invece, Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana in Senato: “Per anni, la sinistra radicale ha attaccato l’istituzione della Corte Suprema. Proprio al momento giusto, i massimi democratici hanno iniziato a pubblicare dichiarazioni selvagge riguardo a quanto la Corte potrebbe decidere, una retorica sfrenata che facilmente potrebbe istigare, dar fuoco alla miccia”, ha detto McConnell.
Si tratta di una bozza “autentica, ma non definitiva”, ha precisato il presidente della corte suprema, John Roberts.
Cauta la reazione di Planned Parenthood, l’organizzazione senza scopo di lucro che fornisce assistenza all’aborto. “E’ solo una bozza. Per quanto sia scandaloso, non siamo ancora arrivati alla versione definitiva. L’aborto è il nostro diritto ed è ancora legale.
Se questo primo parere dei giudici venisse confermato, per gli States significherebbe mettere in dubbio la tutela costituzionale sul diritto all’aborto. Uno scenario che lascerebbe nuovamente ciascuno Stato libero di decidere autonomamente sull’interruzione di gravidanza, come accadeva prima del 1973.
5 maggio: serata divertente con i Teatroci al Q77
Solo guardandoci in questa caricatura ci viene da ridere…
Merito del grandissimo Gianni Soria!
Sette milioni di sterline per la “10” di Maradona….
Sette milioni e 142.500 sterline sono decisamente un bel gruzzolo, persino oltre alle più rosee speranze di Sotheby’s, che voleva arrivare almeno a quota sei milioni.
Il venditore – l’ex calciatore inglese Steve Hodge, in campo quel giorno, che ricevette la maglia a fine partita proprio da Maradona – può essere più che soddisfatto.
Meno soddisfatta, ovviamente, la famiglia “ufficiale” del Pibe de Oro: una delle figlie, Dalma, aveva messo in discussione l’autenticità della maglia, considerandola quella del primo tempo e non quella dello storico secondo tempo, quando Maradona segnò i due straordinari gol della vittoria argentina sugli inglesi, “Il gol del secolo” e la rete conosciuta da tutti come “La Mano de Dios”.
Secondo la figlia di Maradona, il padre era solito cambiare maglia tra i primi 45 minuti e il secondo tempo. Ma Sotheby’s – anche leggendo l’autobiografia di Maradona, che cita proprio lo scambio-maglie di fine partita con Hodge – ha confermato l’autenticità della maglia.
Tutto quando “è Maradona” fa sempre notizie e, naturalmente, business. Un esempio? Nel marzo 2021, Sotheby’s ha venduto un orologio cronografo Hublot modello “King Power Diego Maradona” in oro rosa a ben 201.000 dollari…
Un altro esempio? La Porsche di Maradona è stata venduta per 483.000 euro…