Torna il voto in condotta nelle scuole italiane, insieme ad altre importanti novità nel sistema scolastico, già a partire dal secondo quadrimestre dell’anno didattico in corso.
Le introduce il disegno di legge “Valditara” sulla condotta scolastica, approvato dalla Camera dei Deputati in via definitiva (dopo l’approvazione in Senato del 17 aprile scorso): 154 voti a favore, 97 contrari e 7 astenuti.
La novità più significativa è la possibilità di bocciare uno studente che abbia un voto di 5 in condotta: e questo vale già a partire dalle scuole medie.
Nelle scuole primarie, inoltre, il giudizio descrittivo sull’andamento di ciascun alunno sarà semplificato e affiancato da una valutazione sintetica: “Ottimo”, “Buono”, “Sufficiente” o “Insufficiente”. E il voto in condotta avrà un certo peso specifico anche alle elementari.
Tra le altre misure “comportamentali”, anche l’introduzione di multe (risarcimento alla scuola da 500 a 10mila euro) per chi aggredisce il personale scolastico (compresi i familiari degli studenti) e saranno “rimandati” a settembre gli studenti che non avranno più di 6 in condotta. E come detto: con il 5, bocciatura garantita!
Altra novità rilevante è il peso della valutazione del comportamento in vista del diploma di Terza media e di maturità: ora, solo gli studenti che otterranno un voto in condotta pari o superiore a 9 decimi potranno ricevere, alla fine, il punteggio massimo agli esami.
Altro giro di vite, in particolare per le scuole superiori: gli studenti che, eventualmente, saranno sospesi dalle lezioni per comportamenti violenti dovranno svolgere attività di recupero e, in caso di sospensioni superiori ai due giorni, saranno coinvolti in attività di “cittadinanza sociale” presso ospedali o case di riposo.
“Con la riforma del voto in condotta”, ha spiegato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, “si ripristina l’importanza della responsabilità individuale, si dà centralità al rispetto verso le persone e verso i beni pubblici e si ridà autorevolezza ai docenti”.
Mese: Settembre 2024
Totò Schillaci e la mia telefonata in Giappone…
Non ho mai conosciuto Totò Schillaci di persona, non ho mai avuto l’occasione di intervistarlo faccia a faccia. Ma ho avuto la fortuna di parlargli al telefono, per sette-otto minuti, indimenticabili.
Vi racconto: era il 1994, Schillaci era appena andato a giocare in Giappone, in una squadra con la maglia celeste e dal nome strano, Jubilo Iwata.
Allora ero un giovane giornalista a caccia di belle storie da raccontare: e la storia di Schillaci in Giappone – un calciatore così famoso in un paese così esotico e lontano, succedeva rarissimamente 30 anni fa – valeva la pena di essere raccontata in un bell’articolo, da pubblicare sul settimanale “Guerin Sportivo”, all’epoca il numero 1 sul calcio internazionale.
Comincio a muovermi e, in qualche modo, riesco ad avere il numero di telefono di Antonio Caliendo, storico procuratore di calciatori, Schillaci compreso.
Caliendo possiede un telefono cellulare: nel 1994, i primi vip (gli agenti dei calciatori lo erano senz’altro) hanno già il telefonino, anzi telefonone, bello grosso e con una batteria pesante come un macigno. Caliendo, da buon ex venditore di diari calcistici ed enciclopedie, sa che la pubblicità è l’anima del commercio e mi gira volentieri il numero (giapponese!) di cellulare di Schillaci, con una raccomandazione: “Chiamalo a quell’ora, mentre sta facendo i massaggi dopo l’allenamento”.
Calcolo il fuso orario e, al giorno e all’ora convenuti, chiamo sul cellulare giapponese.
Nota di cronaca: sono a casa mia, in provincia di Ferrara, con il telefono fisso, il batticuore e – per fortuna – i miei genitori erano fuori dai piedi, sennò sarebbe stato difficile giustificare una telefonata transcontinentale….
Al terzo squillo, risponde Totò Schillaci!
Proprio lui, l’eroe delle “Notti Magiche”, il mito dell’estate 1990, l’estate dei miei 20 anni….
“Sto facendo i massaggi, posso parlare tranquillamente”, e al telefono – con un segnale perfetto (sembrava dietro casa, non in Giappone) – mi racconta che là si trova bene, che per tutti i giapponesi è un idolo, che si guadagna bene, che si mangia benino (troppo riso, però), che il calcio giapponese non è male, ma il calcio italiano è meglio, che però Sacchi non lo convoca più, ma “tanto io continuo a fare gol e a divertirmi”….
Lo ricordo benissimo: sono stati questi gli argomenti di cui abbiamo parlato in quei sette-otto minuti intercontinentali, e non c’era nemmeno bisogno che gli facessi delle domande, Totò aveva proprio voglia di parlare, di “vuotare il sacco”, dopo che la Juve, l’Inter e il nostro Paese pallonaro lo avevano costretto ad emigrare. Emigrato di lusso, certo. Ma pur sempre emigrato.
Alla fine della telefonata, Schillaci mi ringrazia per l’intervista (lui che ringrazia me!), mi chiede quando esce l’articolo e mi chiede di mandargliene una copia, “perché tengo tutto quello che dicono e scrivono di me, fin da quando giocavo in serie C”, mi spiega.
Ancora emozionato, metto giù la cornetta, scrivo l’articolo in un battibaleno, l’indomani lo detto (si faceva così, allora) alla segreteria telefonica della redazione del “Guerin Sportivo” e loro mi assicurano che verrà pubblicato nel numero della rivista della settimana successiva. Ma l’articolo salta, una settimana dopo l’altra. Ed esce soltanto due mesi dopo: un articolo molto tagliato, rispetto al mio originale, un riquadro su Schillaci in un servizio-reportage su altri calciatori del recente passato, in giro per il mondo, del tipo “…e intanto Schillaci è in Giappone”…
Poco più di un trafiletto. Ci sono rimasto male, soprattutto perché Schillaci meritava molto più di un trafiletto. Non ci si dimentica così dell’eroe delle “Notti Magiche”. Ed erano passati solo quattro anni.
Non gli mando neppure l’articolo (volevo spedirglielo per posta all’indirizzo della sua squadra giapponese), perché mi vergogno di avergli fatto perdere sette-otto minuti della sua vita per un piccolo riquadro in mezzo ad altri articoli.
Non si fa così, con un eroe come lui.
Con il guadagno dell’articolo, ovviamente, non ci ho nemmeno pagato la bolletta stratosferica del telefono, arrivata a casa dei miei genitori (ho dovuto spiegare e dire la verità! E mio padre ha capito che era un apprezzabile tentativo di sfondamento professionale…), ma ho conservato per sempre quell’articolo – sia quello pubblicato, custodito gelosamente, che quello originale che avevo scritto tutto d’un fiato – e il ricordo di quei sette-otto minuti indimenticabili con Totò Schillaci.
Poi, negli anni a venire – in questi 30 anni passati da quella telefonata intercontinentale alla brutta notizia di oggi – l’ho sempre seguito in tv e sui giornali con affetto e simpatia, anche quando è diventato, forse suo malgrado, un po’ la caricatura di se stesso.
Ma era sempre e comunque Totò Schillaci.
Ci mancherai.
Mi mancherai.
Il Pavarotti dimenticato (dalla sua Modena)
Quel sabato di settembre 2007 in cui si celebrarono i funerali di Luciano Pavarotti se lo ricordano tutti: Modena si era letteralmente fermata per dare l’ultimo saluto ad uno dei suoi figli più illustri, che ha reso la città famosa in tutto il mondo.
Ora, 17 anni dopo la scomparsa del Maestro (l’anniversario è il 6 settembre), il Comune di Modena non è riuscito (o non ha voluto) ad organizzare un evento come si deve per ricordare Pavarotti.
Un evento unico, tutto per lui, il tenore più importante e più famoso del mondo.
Niente da fare.
In qualunque città italiana, per non dire del mondo, non succederebbe mai una cosa del genere, nei confronti di un artista celebre in ogni angolo del pianeta.
E così Nicoletta Mantovani – presidente della Fondazione Luciano Pavarotti – ha dovuto traslocare a Comacchio (Ferrara): venerdì sera, con l’affascinante scenografia dei Trepponti, si svolgerà il concerto-tributo “Pavarotti Forever”, con ingresso libero.
Già per l’anniversario dei 10 anni della scomparsa, l’omaggio a “Big Luciano” dovette emigrare all’Arena di Verona, dove Nicoletta Mantovani organizzò uno spettacolo indimenticabile, con Placido Domingo, Josè Carreras, Zucchero, “Il Volo” e tanti amici dei tempi d’oro del “Pavarotti and Friends”.
Ma Modena, quella volta, per il Decennale, si dimenticò di lui, come sembra essersene dimenticato ora.
La motivazione?
“Le risorse non sono infinite”, ha spiegato Aldo Sisillo, Direttore Artistico del “Bel Canto Festival”, giunto alla seconda edizione, che all’interno del proprio calendario accorperà le celebrazioni sia per Luciano Pavarotti che Mirella Freni, come se fossero artisti “qualunque”.
Quindi: a Modena preferiscono celebrazione per tutti, ma nessuno in particolare.
Neppure se si chiama Pavarotti.
Dal Comune, l’assessore alla cultura Andrea Bortolamasi ha chiosato: “Di fatto, Pavarotti lo celebriamo ogni giorno, avendo intitolato a lui e a Mirella Freni il nostro Teatro Comunale”.
Può bastare?
Secondo noi, no.
Il 6 settembre non si può dimenticare.