Non ho mai conosciuto Totò Schillaci di persona, non ho mai avuto l’occasione di intervistarlo faccia a faccia. Ma ho avuto la fortuna di parlargli al telefono, per sette-otto minuti, indimenticabili.
Vi racconto: era il 1994, Schillaci era appena andato a giocare in Giappone, in una squadra con la maglia celeste e dal nome strano, Jubilo Iwata.
Allora ero un giovane giornalista a caccia di belle storie da raccontare: e la storia di Schillaci in Giappone – un calciatore così famoso in un paese così esotico e lontano, succedeva rarissimamente 30 anni fa – valeva la pena di essere raccontata in un bell’articolo, da pubblicare sul settimanale “Guerin Sportivo”, all’epoca il numero 1 sul calcio internazionale.
Comincio a muovermi e, in qualche modo, riesco ad avere il numero di telefono di Antonio Caliendo, storico procuratore di calciatori, Schillaci compreso.
Caliendo possiede un telefono cellulare: nel 1994, i primi vip (gli agenti dei calciatori lo erano senz’altro) hanno già il telefonino, anzi telefonone, bello grosso e con una batteria pesante come un macigno. Caliendo, da buon ex venditore di diari calcistici ed enciclopedie, sa che la pubblicità è l’anima del commercio e mi gira volentieri il numero (giapponese!) di cellulare di Schillaci, con una raccomandazione: “Chiamalo a quell’ora, mentre sta facendo i massaggi dopo l’allenamento”.
Calcolo il fuso orario e, al giorno e all’ora convenuti, chiamo sul cellulare giapponese.
Nota di cronaca: sono a casa mia, in provincia di Ferrara, con il telefono fisso, il batticuore e – per fortuna – i miei genitori erano fuori dai piedi, sennò sarebbe stato difficile giustificare una telefonata transcontinentale….
Al terzo squillo, risponde Totò Schillaci!
Proprio lui, l’eroe delle “Notti Magiche”, il mito dell’estate 1990, l’estate dei miei 20 anni….
“Sto facendo i massaggi, posso parlare tranquillamente”, e al telefono – con un segnale perfetto (sembrava dietro casa, non in Giappone) – mi racconta che là si trova bene, che per tutti i giapponesi è un idolo, che si guadagna bene, che si mangia benino (troppo riso, però), che il calcio giapponese non è male, ma il calcio italiano è meglio, che però Sacchi non lo convoca più, ma “tanto io continuo a fare gol e a divertirmi”….
Lo ricordo benissimo: sono stati questi gli argomenti di cui abbiamo parlato in quei sette-otto minuti intercontinentali, e non c’era nemmeno bisogno che gli facessi delle domande, Totò aveva proprio voglia di parlare, di “vuotare il sacco”, dopo che la Juve, l’Inter e il nostro Paese pallonaro lo avevano costretto ad emigrare. Emigrato di lusso, certo. Ma pur sempre emigrato.
Alla fine della telefonata, Schillaci mi ringrazia per l’intervista (lui che ringrazia me!), mi chiede quando esce l’articolo e mi chiede di mandargliene una copia, “perché tengo tutto quello che dicono e scrivono di me, fin da quando giocavo in serie C”, mi spiega.
Ancora emozionato, metto giù la cornetta, scrivo l’articolo in un battibaleno, l’indomani lo detto (si faceva così, allora) alla segreteria telefonica della redazione del “Guerin Sportivo” e loro mi assicurano che verrà pubblicato nel numero della rivista della settimana successiva. Ma l’articolo salta, una settimana dopo l’altra. Ed esce soltanto due mesi dopo: un articolo molto tagliato, rispetto al mio originale, un riquadro su Schillaci in un servizio-reportage su altri calciatori del recente passato, in giro per il mondo, del tipo “…e intanto Schillaci è in Giappone”…
Poco più di un trafiletto. Ci sono rimasto male, soprattutto perché Schillaci meritava molto più di un trafiletto. Non ci si dimentica così dell’eroe delle “Notti Magiche”. Ed erano passati solo quattro anni.
Non gli mando neppure l’articolo (volevo spedirglielo per posta all’indirizzo della sua squadra giapponese), perché mi vergogno di avergli fatto perdere sette-otto minuti della sua vita per un piccolo riquadro in mezzo ad altri articoli.
Non si fa così, con un eroe come lui.
Con il guadagno dell’articolo, ovviamente, non ci ho nemmeno pagato la bolletta stratosferica del telefono, arrivata a casa dei miei genitori (ho dovuto spiegare e dire la verità! E mio padre ha capito che era un apprezzabile tentativo di sfondamento professionale…), ma ho conservato per sempre quell’articolo – sia quello pubblicato, custodito gelosamente, che quello originale che avevo scritto tutto d’un fiato – e il ricordo di quei sette-otto minuti indimenticabili con Totò Schillaci.
Poi, negli anni a venire – in questi 30 anni passati da quella telefonata intercontinentale alla brutta notizia di oggi – l’ho sempre seguito in tv e sui giornali con affetto e simpatia, anche quando è diventato, forse suo malgrado, un po’ la caricatura di se stesso.
Ma era sempre e comunque Totò Schillaci.
Ci mancherai.
Mi mancherai.
18Set