Martedì la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero dell’Interno contro una sentenza dell’anno scorso, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, secondo cui sulla carta d’identità di un minore si poteva anche non utilizzare la dicitura “padre” e “madre” e preferire quella di “genitori”.
Secondo la Cassazione, quindi, l’indicazione di “padre” e “madre” sulla carta d’identità di un o una minore è discriminatoria, perché non rappresenta tutti i tipi di famiglie che esistono oggi e le relazioni al loro interno: per esempio, le famiglie formate da figli o figlie con due madri o con due padri.
La dicitura “padre” e “madre” era stata reintrodotta nel 2019 da un decreto approvato da Matteo Salvini, che all’epoca era ministro dell’Interno. Il decreto aveva sostituito proprio la dicitura “genitori”, che era in vigore dal 2015, per volontà del governo di centrosinistra di Matteo Renzi.
Il caso finito alla Corte di Cassazione riguardava due madri seguite dai legali delle associazioni Rete Lenford, composta da avvocati esperti sui temi LGBT+, e Famiglie Arcobaleno, la principale associazione di genitori omosessuali in Italia.
Nel 2023 le due donne avevano fatto ricorso alla cosiddetta “Stepchild Adoption”, cioè l’adozione permessa in casi particolari al genitore non biologico: si erano rivolte prima al TAR del Lazio e poi al Tribunale di Roma per avere sulla carta d’identità elettronica del loro figlio la dicitura “genitori”, anziché “padre” e “madre”.
L’idea di Salvini di reintrodurre la dicitura “padre” e “madre” sostituendola a quella più generica di “genitori” era stata criticata dal Garante della privacy, l’autorità italiana per la protezione dei dati personali, secondo cui una regola del genere avrebbe finito per caratterizzare i soggetti a cui si riferiva la dicitura in maniera errata, dato che due madri o due padri non possono essere considerati “padre” e “madre”.
