GIORNALISTI RAPACI?

In questi giorni frenetici scanditi dal terribile terremoto in Lazio e nelle Marche, in particolare nelle province di Rieti e Ascoli Piceno, oltre che dalle testimonianze di solidarietà e dalle raccolte fondi per le popolazioni colpite, i social network – e i loro leoni da tastiera – hanno sguazzato nel torbido, prendendosela con i cosiddetti “giornalisti rapaci”, quelli cioè che si recano sul posto di una tragedia con l’unico intento di carpire emozioni e lacrime alle sfortunate vittime. In tanto hanno scritto “ma che domanda è: come si sente?”. Non è la domanda più bella del mondo – ma nemmeno la più facile – da fare a chi ha perso tutto, un parente, un amico, la casa. Ma è questo il lavoro del reporter: cosa dovrebbe fare altrimenti? Riportare unicamente la conferenza stampa del premier, le parole di incoraggiamento del capo della Protezione Civile, la tristissima matematica delle vittime che aumentano giorno dopo giorno? Anche questo, ma non solo questo. Dietro, anche ad una tragedia, ci sono storie – anche belle, benchè poche – da raccontare, come quella della bambina di 11 anni salvata dalle macerie dopo quasi 16 ore dalla prima scossa. Oppure, purtroppo, tante storie tristi, ma che vale comunque la pena raccontare. Certo, con garbo. Senza aggressività. Senza morbosità. E non è colpa del moltiplicarsi delle emittenti, italiane o americane (c’è anche la CNN ad Amatrice), perchè la “tv verità”, che piaccia o meno, esisteva anche più di 30 anni fa. Il primo esempio non è, forse, il caso di Alfredino Rampi, il bambino caduto nel pozzo di Vermicino? Non fu il primo caso di “cronaca in diretta”? Ebbene, quella diretta della Rai, affidata a Piero Badaloni, è sempre stata indicata come un eccellente modello di televisione “di servizio”. Forse adesso sono più aggressivi i cronisti dei canali all news? Sono diventati dei rapaci? Non credo: è cambiato il modo di fare informazione, a cominciare dai suddetti social network (certo non esempio di correttezza, troppo spesso…), è cambiato il modo di percepirla. E non dimenticate che, a volte, sono le stesse vittime di una tragedia immane come quella di questi giorni ad aver voglia di raccontare, di sfogarsi, di piangere, anche di fronte al microfono di un estraneo giornalista. Perchè no? Sarà peggio, molto peggio, quando si spegneranno i riflettori: con la paura nera di essere rimasti soli, abbandonati. Ne ho esperienza diretta, con gli amici e conterranei dell’Emilia, che hanno subito un sisma, nel 2012, decisamente meno devastante di quello di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto. A volte, anche un microfono, una telecamera, un taccuino, una macchina fotografica, possono fare compagnia e dare conforto. Per cui, almeno stavolta, pur tra i mille difetti della categoria, non date la colpa ai giornalisti rapaci. Date, piuttosto, la colpa al maledetto terremoto, che ancora una volta, in Italia, ha seminato morte e distruzione.

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