IL CNEL: “MIRACOLATO” DAL REFERENDUM

Alzi la mano, sincero sincero, chi sa che cos’è il Cnel. Siete in pochi, vero? Gli altri non si debbono angustiare: il Cnel è un oggetto misterioso anche per noi. E proprio per questo, spinti da sana curiosità giornalistica e dalla pubblicità che al Cnel è toccata in sorte durante la campagna referendaria dello scorso 4 dicembre 2016 che ne chiedeva l’abolizione, vogliamo decisamente saperne di più e fare luce su uno dei tanti enti inutili della nostra amministrazione.
La spiegazione dell’acronimo Cnel già aiuta a capire meglio quali sono (quali sarebbero state, per meglio dire) le sue funzioni: Cnel significa Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Per occuparsi, come dice il nome, di economia e lavoro, si è formata una specie di vero e proprio Parlamento parallelo, composto da esponenti di sigle sindacali, associazioni industriali e imprenditoriali (anche Confindustria) e rappresentanti del cosiddetto “stato sociale” (il Terzo Settore, le associazioni di volontariato…).
La storia e la presenza del Cnel, tuttavia, non è campata in aria: affonda le sue radici nella Costituzione della Repubblica Italiana, istituito proprio dall’articolo 99 della nostra Costituzione, con il compito di fornire consulenza al governo e al Parlamento, il tutto ribadito da una legge ordinaria del 1986, con la facoltà di proporre anche disegni di legge, su questioni economiche e sociali. L’intenzione dei “padri fondatori”, quindi, era più che legittima e trasparente. Ma è stato con gli anni che si è capito, gonfiandosi peraltro a dismisura, che il Cnel serviva (serve, visto che esiste tuttora, dopo il NO al referendum che ne chiedeva l’abolizione) veramente a poco. Eppure, la struttura è sempre stata piuttosto imponente: fino al 2011, il Consiglio era composto da 121 consiglieri, poi – in seguito ad una necessaria cura dimagrante – dimezzati a 64, e ora a 24, dopo le dimissioni di 40 consiglieri, mai rimpiazzati. Se non altro, dal 2015, i consiglieri non prendono più nemmeno l’indennità (era più di 2 mila euro al mese) né tanto meno i rimborsi spese, e dev’essere stato per questo che i 40 consiglieri di cui sopra si sono dimessi, in un paese come l’Italia dove non si dimette mai nessuno. Ai tempi d’oro, il Cnel ci costava 22 milioni di euro. Adesso, se non altro, un pochino meno: 8,7 milioni di euro, per 50 dipendenti ed una elegante sede nella palazzina di Villa Borghese, a Roma.
Ma in questi 70 anni di vita, cosa ha combinato il Cnel? Ben poco, numeri alla mano: 96 pareri, 350 osservazioni (di cosa? delle stelle?) e proposte, 270 rapporti e studi, 90 relazioni, 130 convegni (nemmeno due all’anno!) e 14 disegni di legge (uno ogni cinque anni! Nessuna di queste proposte di legge, peraltro, è stata mai recepita dal Parlamento). Non un lavoro da stakanovisti, sembra. Con due riunioni al mese per ogni commissione (ce n’erano quattro) e una seduta plenaria di tutti i consiglieri, una volta al mese. Non si sono mai ammazzati di lavoro! Ma a difendere strenuamente il Cnel – oltre agli elettori che al referendum hanno votato NO (non certo all’abolizione del Cnel, ma alla fine conta il risultato finale) – è soprattutto il suo presidente, Delio Napoleone: non nasconde l’ormai evidente anacronismo di un Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (soprattutto con l’economia in crisi e senza lavoro), ma prova a fornire una spiegazione storica dell’attuale fallimento dell’ente che dirige: “Il Cnel  è stato voluto dal Parlamento come risposta a un modello sociale in vigore all’epoca. Solo che mostra tutti i segni del tempo, perché 70 anni fa il mercato del lavoro era per il 50% nel settore primario e secondario, industria e agricoltura. Negli ultimi anni, industria e agricoltura contano solo per il 20%, mentre l’80% del mercato del lavoro è costituito dal settore terziario, che non trova rappresentanza nel nostro parlamentino. Quindi, adesso che abbiamo scampato il pericolo dell’abolizione, ben venga una necessaria rivisitazione del Cnel e delle sue attività”.
Come, quando, perchè e in che modo non è ancora dato sapere. Forse servirà un nuovo referendum, stavolta propositivo, per capire cosa farne di questo ente inutile. Anzi, peggio: il Cnel sarebbe pure utile, ma senza riuscire a fargli svolgere i suoi reali compiti, diventa davvero il più inutile delle istituzioni pubbliche.
Da abolire. AnCNELche senza referendum.