Pubblico volentieri questo articolo del collega e amico Darwin Pastorin pubblicato il 17.7.2018 sul sito dell’Huffington Post.
È arrivato Cristiano Ronaldo e Torino, per la prima volta nella sua storia, davanti a un calciatore famoso, sembrava una succursale di Rio de Janeiro. Mille e più persone in attesa per le visite mediche e poi fuori dallo stadio in visibilio per la fine della conferenza-stampa. Il campione portoghese si è concesso ai tifosi, si è consumato in saluti, selfie e pollice alzato, ha promesso meraviglie e di non preoccuparsi per i suoi 33 anni perché nel cuore si sente ancora un giovane ricco di futuro e di speranza.
Ha destato una buona impressione, discreto, malgrado la lunga corte di accompagnatori, misurato nei toni, sorridente quanto bastava, pronto a finire presto le vacanze in Grecia per dare vita, sul campo, quindi con i fatti, alla sua nuova avvenuta. Vestirà, ovviamente, la maglia numero 7, che gli è stata concessa, senza turbamento alcuno, dal colombiano Cuadrado. CR7 in bianconero, e vai con nuovi orizzonti da conquistare, soprattutto la tanto agognata Champions League, e nuovi sogni da realizzare.
Già, la maglia numero 7. Una volta apparteneva all’ala destra, il giocatore, di norma, funambolico, dotato di estro e di fantasia. Uno che dribblava gli avversari e le nuvole. Come Gigi Meroni, la farfalla granata. Ogni sua azione era una poesia.
Ed era un rebelde sempre, disegnava i vestiti che avrebbe indossato, rifiutò un alloggio di lusso per una mansarda senza riscaldamento, dipingeva quadri bellissimi e, talvolta, inquietanti, si innamorò di Cristiana, la ragazza sposata che lavorava al luna park, per sfidare le convenzioni borghesi passeggiava sotto i portici antichi di Torino con una gallina al guinzaglio.
Morì, investito da un’auto, attraversando, con il compagno Fabrizio Poletti, corso Re Umberto a Torino. Se ne andarono a pochi giorni di distanza lui e Che Guevara, due rivoluzionari. Con il sette giocarono Garrincha, amato dai poeti e dai musicisti, e dagli uccellini della foresta, George Best, che fu il quinto dei Beatles, e possedeva la bellezza nel viso e nel gioco, un filosofo irrazionale, i brasiliani Jair e Cané, Franco Causio detto “Brasil’ e Claudio Sala soprannominato “Poeta del gol”, persino un Angelo faticatore, in antitesi con un ruolo voluto dagli dei: Domenghini.
Anche Domenico Marocchino fu un “sette”: con ironia, in campo e fuori. Bruno Conti, fu il folletto che fece emozionare Pelé. Oggi il football è cambiato. I numeri non spiegano più i ruoli e non raccontano più gli uomini. Ma quel 7 a Cristiano Ronaldo, capace di fiammate improvvise, di superbe rovesciate, di tunnel e serpentine, di conclusioni improvvise, ci riporta al bel tempo antico, all’epoca del romanticismo, dell’immaginazione e dell’allegria.
Sì, Bem-Vindo Cristiano. E leggi, per conoscere l’italiano, Pier Paolo Pasolini e Antonio Tabucchi (troverai, con l’autore di “Sostiene Pereira”, tanto Portogallo e tanto Pessoa). Due formidabili narratori che, guarda caso, giocavano all’ala destra, con il numero 7.