LA “DOMENICA BESTIALE” DEI NEGOZI ITALIANI

Cosa fare in una uggiosa domenica d’inverno se il cinema non propone niente di interessante, se in tv ci sono solo le partite di calcio e se i centri commerciali e i negozi sono addirittura chiusi?
La prospettiva, al tempo stesso allettante e inquietante, arriva dalla proposta del governo italiano, presieduto da Giuseppe Conte. L’intenzione dell’esecutivo, su “assist” del Ministro dell’Economia Luigi Di Maio, principale sponsor di questa “retromarcia” commerciale, è ridurre il numero dei giorni festivi in cui negozi e centri commerciali possono tenere aperto.La proposta di legge
Possono o devono tenere aperto? Il dibattito è interessante e apertissimo, sui siti specializzati e tra gli adepti del “partito dei social”. Innanzitutto è necessario sciogliere il dilemma di base: lavorare alla domenica è un diritto o un dovere? E, naturalmente, bisogna ulteriormente suddividere la questione tra quelli che “subiscono” il lavoro festivo (cioè costretti a lavorare tutte le sante domenica, ma pure Natale, Pasqua, 1.maggio e via discorrendo) e quelli che del lavoro festivo altrui ne traggono un utile servizio (si tratta comunque di un servizio, no?), come, ad esempio, chi va a fare la spesa all’ultimo minuto alla domenica mattina.
L’attuale organizzazione era stata introdotta dal governo Monti e dal decreto “Salva Italia”, che aveva autorizzato le aperture dei negozi anche il sabato e la domenica per contrastare la crisi delle piccole realtà commerciali schiacciate progressivamente dall’avvento dei centri commerciali, pronti a spuntare ovunque come funghi e sempre aperti. Con la nuova proposta, il governo-Conte prova a limitare la liberalizzazione, proponendo una nuova regolamentazione, un ritorno al passato e ai negozi chiusi e ai centri commerciali aperti una domenica al mese più le tre-quattro domeniche prima di Natale. Ricordate? Secondo la proposta di legge presentata dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Davide Crippa, le aperture straordinarie non potranno superare i 12 giorni all’anno e potranno essere introdotti turni e rotazioni definiti nelle realtà locali, come già accade per le farmacie, la liberalizzazione delle quali fu sancita già nel 2006 dal “decreto Bersani-Visco”, il cosiddetto “pacchetto liberalizzazioni”.
Ogni comune dovrà attenersi ad un limite di un negozio aperto su quattro dello stesso settore merceologico, ma le aperture festive durante il corso dell’anno non potranno comunque superare, come detto e scritto, i 12 giorni. Da questa proposta saranno, però, esclusi gli esercizi commerciali delle località turistiche (è considerata tale anche Biella, ad esempio: e allora sono davvero tutte località turistiche in Italia…), ma toccherà a regioni e comuni il compito di stabilire una rotazione tra le attività e regolamentarne la disposizione sul territorio.

L’esperimento di Modena
L’idea del sottosegretario Crippa riprende l’esperimento della città di Modena – storicamente governata dalla sinistra – che dal 2015 ha approvato un codice comportamentale di autoregolamentazione, che impone la chiusura dei negozi (e delle tante Coop e Ipercoop presenti) a Natale, Capodanno, per la Festa della Liberazione e per la Festa del Lavoro, mentre le rotazioni riguardano solo alcune zona della città. E la posizione dei sindacati è chiara, uniti e compatti da tempo contro il lavoro domenicale. Che, intendiamoci, non è il diavolo in persona. Anche perchè il lavoro è sempre lavoro ed è meglio averne pure di domenica che non averne nemmeno dal lunedi al sabato. O no?

Lavorare alla domenica? Più soldi in busta paga
Eviterei la parola “sfruttamento”, come ogni tanto si sente dire, spesso a sproposito, qualche volta, purtroppo, con ragione. Il nodo della questione non è santificare le feste comandante, semmai, il vero problema è la regolamentazione dei contratti di lavoro, altro che le date di apertura o di chiusura. Perchè se il lavoro festivo fosse ben pagato, come giusto, e pagato meglio dello stesso medesimo carico di ore di un giorno feriale, il discorso sarebbe ben diverso. Non ci credete? Sentite qui: personalmente lavoro in Francia un’azienda francese in cui, il 1.maggio – data sacra per i cugini, sono fermi totalmente pure bus e metropolitane e le azienda offrono il taxi ai lavoratori – , tutti fanno la fila per lavorare, perchè la giornata è pagata tripla (non doppia, come invece succede a Natale o a Capodanno o per il 14 luglio….). E a questo punto è evidente che il problema non è etico e morale (stare di più in famiglia e cose del genere “focolare domestico”), ma semplicemente (che poi non è cosi semplice) è un problema economico, essere pagati meglio e di più.

Quando godersi le domeniche in famiglia?
Poi, certo, c’è l’aspetto sociale. I lavoratori costretti a lavorare 52 sabati e 52 domeniche all’anno come faranno a godersi il giorno di festa, il pranzo con la famiglia e le gita al parco con i bimbi? Tutte cose che non si possono certo fare, con lo stesso piacere, il lunedì, giorno di riposo dei “forzati della domenica”. Vero. Ma senza lavoro non c’è pranzo della domenica, senza lavoro non c’è gita con i bimbi, senza lavoro non c’è niente. E se il lavoro è di domenica, bisogna accettarlo. O provare a trovare un altro lavoro, di quelli belli, dal lunedi al venerdi, dalle 9 alle 17, se ancora esiste un lavoro cosi. I tempi sono cambiati, non sono nè meglio nè peggio, ma sono cambiati e bisogna farsene una ragione.

Tornare indietro?  
Commercialmente ed economicamente, non so se per i negozi e per i centri commerciali sia veramente vantaggioso tenere aperto, considerati i costi per i dipendenti e le spese fisse, ma ritengo che “tornare indietro” non sia molto costruttivo nemmeno per l’economia. Come fanno in Francia e in Germania e in tutti gli altri paesi d’Europa (tranne l’italia) dove tutto è chiuso alla domenica? Fanno senza, ovvio. E non muore nessuno. Come si faceva una volta con i negozi e i supermercati chiusi di domenica? Si viveva lo stesso, ma era, appunto, “una volta”. Non credo neppure che sia una questione di voglia compulsiva di shopping (fosse cosi, staremmo tutta la domenica attaccati ad Amazon a comprare tutto e subito con consegna a domicilio), credo proprio che i negozi e i centri commerciali abbiano una funzione sociale importante, per la qualità delle città e delle persone stesse. Gli integralisti del “no domenica” invocano superbi pranzi al ristorante e festose gita con tutta la famiglia, ma forse tutto questo costa di più di una semplice “vasca” pomeridiana al centro commerciale, non trovate? Bisogna tener conto anche di questo
Personalmente sono contrario a questa proposta di legge che puzza tanto di “proibizionismo”, io sono dell’idea, ad esempio, che la Festa del Lavoro del Primo Maggio vada festeggiata lavorando (volevano far chiudere i negozi di souvenir a Venezia, Roma e Firenze!) e non più portando il garofano e “L’Unità” (o era “L’Avanti”?) in tutte le case come faceva il 1.maggio mio nonno Maggio, chiamato così perchè si chiamava Primo ed era nato proprio il Primo Maggio….

E gli altri lavoratori della domenica?
Poi, perchè solo i lavoratori dei negozi e dei centri commerciali avrebbero diritto a restare in famiglia? Non vale anche per tutti gli altri lavoratori della domenica? I casellanti, i medici, gli infermieri, i pizzaioli, i cuochi, i camerieri, persino i giornalisti. Io nasco giornalista sportivo e ho sempre messo in conto di dover lavorare anche il sabato e la domenica, no? Altrettanto deve fare una commessa di negozio, non vi pare? Altrimenti prova a cercarsi un altro lavoro. Se lo trova….
Non credo, tuttavia, che una legge possa risolvere il problema delle “domeniche bestiali” all’italiana: prima bisogna fare una legge – fatta bene – per regolamentare seriamente il lavoro domenicale e festivo, poi ne riparliamo.
Con un po’ più di soldi in tasca per tutti, si ragiona meglio.