Comunque, se sapete dell’esistenza anche in Italia e in Piemonte, di questi biscotti “Piémont”, fatemi un fischio. Non si finisce mai di imparare. E di assaggiare.Una tradizione che continua
Ma sono cosi conosciuti questi “Ossi dei morti” dalle nostre parti? Si fanno ancora in casa? L’ho chiesto in giro e anche ai miei contatti su Facebook, la miglior piattaforma “tuttologica” di tutti i tempi: e allora sembra proprio di si, sembra proprio che questi dolci novembrini abbiano ancora un certo successo, soprattutto tra le famiglie (e le pasticcerie) più legate alla tradizione.
Io li conosco poco, lo ammetto, ma io non faccio testo, in quanto emiliano trapiantato un po’ a Torino e un po’ a Lione: per noi i dolci della celebrazione dei Defunti sono i “favetti” o le “raviole”- di cui un giorno vi parlerò – e che, stranamente, vanno bene sia ad Halloween (anche se non esisteva, ai tempi in cui impastava e infornava mia mamma) che a Carnevale. Evidentemente, anche certi dolci (come certi amori) “fanno dei giri immensi e poi ritornano” (per la citazione si ringrazia Antonello Venditti).
I biscotti “liberamente tratti” non sono affatto male
Gli ingredienti? Vi risparmio la ricetta completa dei biscotti del supermercato, fatti con il 49% di cioccolato nero e di altra roba tipo huiles végétales (palmiste, coco, tournesol: il famigerato olio di palma, quello di cocco e quello di girasole) più sirop de glucose e via discorrendo. Però, vi dirò: il risultato è buono e crea dipendenza: ho appena fatto in tempo a fare la foto per l’articolo con la confezione piena che la confezione, un attimo dopo, era già vuota. Per fortuna ne avevo preso due scatole. Previdente, no?
Le mille varianti degli “Ossi dei morti”
Nella ricetta originale degli “Ossi”, con dozzine di varianti regionali, troneggiano farina, uova, zucchero, mandorle, nocciole, cioccolato, frutta candita, marmellata, cannella, chiodi di garofano, zenzero, fichi secchi e chi più ne ha più ne metta e, a seconda del tipo di “ossa”, i biscotti possono essere bianchi, marroni o rosa (con un cicinino di colorante, temo), più o meno morbidi, croccanti o duri (un’amica mi ha detto “sono duri come le ossa, rischi di spaccarti i denti, ma quanto sono buoni”…). Io, in realtà, alla mia dentiera naturale ci terrei ancora.
Ma perchè si chiamano “Ossi dei morti”? Secondo la leggenda (e pure secondo Wikipedia) – ma del resto si intuisce facilmente – il nome è dovuto alla forma e alla consistenza di questi dolci, che sembrano proprio quelle di un osso. In diverse zone d’Italia, nella notte tra il 1. e il 2 novembre, esiste ancora la tradizione di stendere tutti questi dolci sulle tavole imbandite, convinti che possano essere di gradimento ai familiari defunti.In Francia? Solo macarons e madeleine
Ma io ora voglio scoprire questi dolci “Ossi dei morti” o “Pièmont” dal “vivo”, cioè in una pasticceria, una pasticceria francese. E quindi ho perlustrato tutte le vetrine delle otto pasticcerie del centro di Lione, in Rue de la Rèpublique, e in qualcuna sono pure entrato a chiedere lumi e dolci informazioni. Posso, quindi, dirvi con cognizione di causa, che degli “Ossi dei morti” i francesi non ne sanno proprio una mazza, ma se poi spieghi loro qualcosa sui biscotti di Ognissanti, rispondono “Ah, i biscotti Torino”, almeno per sentito dire. Biscotti Torino, capito? Un’altra definizione. Chissà come chiamerebbero i leggendari Krumiri di Casale Monferrato….
La graziosa commessa di “Eric Kayser”, nota pasticceria artigianale diventata una catena in tutta la Francia, mi suggerisce di provare i loro biscotti di Ognissanti, una confezione anonima “croquant noisette amandes” (croccante nocciole mandorle) che assomigliano, molto ma molto vagamente, proprio agli “Ossi dei morti”. E per essere buoni sono buoni, ma sono i biscotti più sbriciolosi del Pianeta Terra e, in effetti, anche con loro la dentiera è a forte rischio…
Per il resto, nelle pasticcerie francesi vige il motto “paese che vai, dolci che trovi”. Quindi: macarons ovunque (belli colorati, ma sopravvalutatissimi, diciamo la verità) , madeleine di proustiana memoria e cioccolatini di lusso in eleganti confezioni altrettanto di lusso, come da “Voisin”, che più che una pasticceria sembra una gioielleria (anche nel prezzo). Per il resto, in questi giorni, tra mille zucche zuccherate di Halloween, al massimo spunta il miglior tiramisù di Lione, che lo fanno in una pizzeria napoletana che si chiama proprio “O’ Tiramisù”, con le partite piratate del Napoli sul maxischermo e pure in un locale che si chiama “Piada: un po’ di italianità” (non proprio la piadina romagnola, ma la loro versione con sardine e crema di cipolla rosse di Tropea è da sballo!).
Nostalgie alimentari italiane
Basta, basta, non voglio mica fare come quegli italiani che ascoltano Toto Cotugno (mito degli emigranti) e sul gruppo di Facebook “Italiani a Lione” scrivono solo di nostalgie alimentari del tipo “Ma dove posso trovare il pane carasau?”, al che io ho risposto: “Torna in Sardegna!”. E mi sa che anche io, per provare i veri “os dij mort”, dovrò tornare in Piemonte. Intanto, per non sentire la nostalgia canaglia, mi sono comprato un’altra scatola di “Les suprenants Pièmont”, sempre più sorprendenti, sempre più buoni. E non demordo sulle origini e sulla diffusione della pasticceria piemontese.
La prossima indagine gastronomica sui dolci piemontesi nel mondo? I cuneesi al rhum…