Sean Connery: l’agente segreto che ha vissuto un migliaio di volte….

di Eduardo Ferrarese (cinema.everyeye.it)

È sempre difficile in questi casi tenere a freno le emozioni. Ci si chiede quale sia il modo migliore per ricordare un’icona, o se davvero ne esista uno. Perché Sean Connery ha incarnato un modello assoluto di attore, quello che ha azzannato per anni grande schermo e palcoscenico con uno charme e una classe totali: divorava i ruoli senza mai sporcarsi la camicia. E allora come si può ripercorrere una carriera che lo ha trasformato in qualcosa di “oltre”, un Sir della settima arte dentro e fuori lo schermo, che veleggiava fra teatro, televisione e ovviamente cinema, con i capelli sempre in ordine.
Bisogna farlo tramite le emozioni, quelle che ci permettono di sentirlo vibrare sui nostri occhi ogni volta che si accende una sigaretta con il completo da James Bond, o che impartisce lezioni di vita a uno scapestrato Indy. Dopotutto, non è così che si diventa immortali?

Esiste un’immagine più iconica di Sean Connery con la sigaretta in bocca in Agente 007 – Licenza di uccidere? Una manciata di secondi che hanno traslato la carta di Ian Fleming nell’immaginario collettivo mondiale.
Un sorriso, quel “James Bond” pronunciato con gigiona sicumera e la sigaretta leggermente a penzoloni. E in quell’esatto istante, prima di scatenare la sua valanga sul mondo, Sean Connery diventava già immortale, forse senza neanche saperlo.
Qui sta tutta l’importanza che il lavoro dell’attore scozzese ha significato per almeno un paio di generazioni: unire cinema e letteratura, intrattenimento e cinefilia, arte e guadagno.
Il James Bond di Sean Connery è una quintessenza della pellicola, capace di arrivare a qualsiasi tipo di pubblico, conquistando le folle negli anni ’60 e riuscendo a mantenere inalterato il suo fascino ancora oggi.
Come se fosse un passaggio di testimone generazionale nelle domeniche pomeriggio estive, quando la sua Spia spuntava in tv, un genitore cresciuto a pane e cascate di diamanti probabilmente era lì a far appassionare il proprio pargolo al mondo british, spiegandogli perché quello era davvero James Bond. E lo sarebbe stato per sempre.

Poi, improvvisamente, si affastellano decine di altri ricordi. Arriva subito il Prof. Henry Jones Sr., il padre di Indy, quello a cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo guardato. E resta lì, vestito di tutto punto, naturale emanazione del suo corpo, cappello, occhialini e barba a farlo già all’epoca uno straordinario gentleman.
Sean Connery riusciva a essere imprescindibile in qualsiasi situazione, perfetto Riccardo Cuor di Leone che suggella matrimoni o poliziotto incorruttibile che demolisce criminali intoccabili.
Il passaggio da icona pop a mentore è stato quasi naturale, attraverso uno dei ruoli che lo ha cristallizzato nel cult: il Ramirez di Highlander – L’ultimo immortale. Un Sir dandy e scapestrato, capace però di rappresentare una sorta di Obi-Wan per chi voleva davvero vivere in eterno cantando i Queen, cercando di non perdere la testa.
E sui nostri occhi resta fisso quel sorriso, che Sean Connery donava a ogni suo personaggio, come se riuscisse a cambiare pelle con estrema bravura senza mai perdere la sua identità. In ogni ruolo quello era Sean Connery, anche se lui ti faceva credere di non esserlo mai.
E poco importa che abbia chiuso la sua carriera con un film meno leggendario di quanto ci si aspettasse: dentro di noi i tamburi dell’Africa vibreranno sempre, e Sean Connery non vivrà solo due volte. Almeno un migliaio in più.