Aveva solo 60 anni, ma anche due titoli di campione del mondo da motociclista (1985.1987, nella classe 125) in bacheca e altri quattro da team manager.
Se n’è andato troppo presto, Fausto Gresini. Il Covid e le complicanzioni dovute ad un’emorragia celebrale se lo sono portato via.
Era ricoverato da fine dicembre in ospedale a Bologna e la famiglia continuava a dire: “Non ha mai avuto problemi di salute prima”, come cupo avvertimento ai presunti negazionisti del virus.
Il destino tragico, però, aveva già incrociato la strada di Fausto Gresini: con la morte di Daijiro Kato, scomparso a 26 anni su un muro di Suzuka (2003) in sella a una Honda del suo team e con la tragedia di Marco Simoncelli, volato via in una curva maledetta a Sepang (2011), anche lui su una Honda della scuderia del manager imolese. Ora, il fato è stato crudele proprio con lui, e senza nemmeno bisogno di un muro o di una curva maledetta, che durante le sue corse Gresini aveva sempre saputo sfidare e domare.
Tutti coloro che lo hanno conosciuto bene raccontano di un Fausto Gresini uomo d’altri tempi, una stretta di mano e via, valeva più di un contratto, amicizie senza tempo (come con Loris Capirossi, prima rivale in pista e poi amico vero), tanti progetti che – ora – sarà la famiglia, come ha annunciato, a portare avanti. Ma Gresini ci mancherà, e non soltanto agli appassionatissimi di moto, per la sua semplicità, per la sua intraprendenza, per la sua voglia di aiutare gli altri, in un mondo dominato dalla velocità, dalla tecnologia e dalla poca umanità.
Lui, in effetti, rappresentava una straordinaria eccezione alla regola.