di Luca Colantoni
È il 15 giugno. Accendo il computer e dopo aver controllato la mail e altre due cose, conoscendo a memoria questa data, mi soffermo a leggere sui social i vari commenti e auguri che in tantissimi stanno facendo ad Alberto Sordi nel giorno del suo compleanno.
Tanti anni ormai senza il mitico Albertone il cui ricordo resta sempre vivo nel cuore di tutti. A metà anni ’90, agli inizi del mio lavoro di giornalista, lo avevo addirittura conosciuto e intervistato ed è vero, lo incontri una volta e ti resta dentro, come se avessi preso parte a un suo film, ricordo come fosse ieri l’emozione di entrare nel suo ufficio al centro storico di Roma, quella di quando è arrivato ed è inciampato nella porta dell’ascensore esclamando con quel vocione: “Ahooo…e che cazzo, tutte e vorte!!!”… la colazione offerta: “volete du tramezzini, aho, nun fate complimenti”, le foto che abbiamo fatto insieme (che appena ritrovo pubblico) e ricordo la citofonata della collega che doveva intervistarlo dopo di me e lui che disse: “Ah, dev’esse quella culona di…”… ahimè ricordo anche quando arrivò la notizia della sua morte, ricordo i pianti, la radio dove lavoravo che interruppe le trasmissioni e io che per tutto il giorno lascio i miei report, allora calcistici, e divento il cronista della giornata più triste, e non solo per i romani. Subito davanti casa, poi al seguito del carro funebre fino al Campidoglio, l’allestimento della camera ardente e avere il privilegio visto che ero lì con il “tesserino” e lo ammetto, mi sono mischiato tra i parenti (gli altri, in seguito, lo avrebbero visto solo a distanza) di potergli toccare l’ultima volta la mano.
Ricordo gli occhi lucidi dei miei amici Andrea e Andrea la sera quando siamo tornati al Campidoglio e ricordo il giorno dei funerali… una sarabanda di emozioni che oltre a raccontare in radio, provai a mettere nero su bianco proprio per il giornale per il quale lo avevo intervistato anni prima (La Gazzetta della Capitale). Questo è proprio quel mio articolo: lo ripropongo oggi copiandolo e incollandolo così come è stato scritto, magari in maniera banale e impulsiva, da “ragazzetto alle prime armi”, ma (credo) con il cuore… Ciao Alberto e ancora Buon Compleanno, ovunque tu sia…
“Albertone, romano di nascita, italiano di professione”
(di Luca Colantoni)
“Aho, e sto a scherzà …”!! Chissà quanti avrebbero voluto sentire questa frase dopo che la notizia è cominciata a circolare. Magari accompagnata da quella risata e quel modo di fare tutto romano che avrebbe avuto il significato di un … ce siete cascati è? E invece no. Alberto Sordi era andato via veramente, di notte, senza troppi clamori, un po’ come è stato il suo stile di vita: sempre alla ribalta, ma schivo nelle sue cose più personali.
Roma ha capito a metà mattinata, una anonima metà mattinata di fine febbraio e subito dopo il tam tam di radio e televisioni si è creata una folla spontanea sotto la residenza di colui che per i romani aveva fatto molto, rappresentandoli nel mondo in tutte le sfaccettature. Poi, in 500mila alla camera ardente al Campidoglio, in fila, silenziosi, commossi. Quindi i funerali, gli stessi 500mila, forse di più… e quella folla è stata un atto dovuto, un ringraziamento, insomma, un vero e proprio atto d’amore verso chi aveva riversato fiumi d’amore verso la città eterna.
“Albè, sto film proprio nun ce lo dovevi fa vedè …”, è stato uno dei tanti commenti della gente, commossa, in quella Piazza Numa Pompilio gremita poco dopo la triste notizia. In tantissimi hanno portato dei fiori, altri piangevano, molti attaccavano al muro dei biglietti, altri ancora erano pronti a ricordare le battute più famose dei suoi film.
Già, le battute, entrate di diritto in quella zona che per convenzione definiamo il mito, ma che prima di tutto sono entrate a far parte della quotidianità. Alzi la mano chi di fronte ad un piatto di spaghetti non ha mai esclamato almeno una volta: “M’hai provocato e io ti distruggo, me te magno…”. E ancora, guardando l’orologio, a quanti di noi viene spontaneo dire: “Sor Marchese, è l’ora…”… la stessa frase-epitaffio che ha voluto sulla sua tomba…
Sordi ha lasciato una eredità pesante da raccogliere: 190 film nei quali ha rappresentato tutto ed il contrario di tutto, i suoi personaggi erano per la maggior parte romani, ma lui era romano di nascita e italiano di professione e quindi la sua forza è stata quella di far vedere al mondo intero chi è l’Italiano, come la pensa, come agisce nelle varie situazioni della vita, come lavora, come sogna e come è fiero di esserlo.
Quest’ultima affermazione riporta alla mente uno dei capolavori del cinema, “La Grande Guerra”: insolente, imboscato, poca voglia di partecipare all’evento bellico, ma alla fine vedendolo di fronte al plotone d’esecuzione, morire pur di difendere un amico, milanese, un ideale e una bandiera, ha fatto tirare fuori i fazzoletti a molti. E la tirchieria? Non scherziamo, è la classica leggenda popolare.
Lui era nato a Piazza San Cosimato, in mezzo alla gente, e da qui è nato il suo saper gestire il denaro guadagnato all’inizio con grande fatica. Ultimamente aveva donato un terreno per la costruzione di un ospedale, manteneva dei bambini con una adozione a distanza, ma forse i più non lo sapevano, ma lui voleva così. Aveva creato una fondazione per i giovani attori affinché venissero scoperti e non abbandonati. Avrebbe voluto vedere Roma, la sua città, libera dal traffico con la rivalutazione dei suoi monumenti, è stato Sindaco per un giorno e se fosse stato possibile, avrebbe firmato tutti i documenti necessari per farlo. Era tifoso della Roma, ma amato anche dai tifosi della Lazio … da tutti, nessuno escluso … !!!
In una famosa battuta tratta dal Marchese del Grillo, lui nobile si rivolge al popolo dicendo “…Io so io e voi nun siete un c…”!! Non lo pensava di certo, era solo un modo per far ridere l’ennesima volta.
Il ricordo personale è quello della prima intervista “seria e vera” fatta agli inizi della mia carriera giornalistica e quindi, avendolo incontrato, l’emozione non può che salire alle stelle, e sarà così sempre, anche in futuro, a distanza di anni: quaranta minuti di chiacchiere, splendide, importanti, divertenti e … una stretta di mano difficile da dimenticare con una foto che porto nell’album dei ricordi più cari.
Leggendo la strofa di una sua canzone scritta mentre doppiava il mitico Ollio, starà guardando quei famosi“asini che volano nel cielo”… ma questi asini, di colpo, si saranno trasformati in angeli. Angeli pronti ad accoglierlo ed accompagnarlo nel paradiso dei grandi.