LA “DOMENICA BESTIALE” DEI NEGOZI ITALIANI

Cosa fare in una uggiosa domenica d’inverno se il cinema non propone niente di interessante, se in tv ci sono solo le partite di calcio e se i centri commerciali e i negozi sono addirittura chiusi?
La prospettiva, al tempo stesso allettante e inquietante, arriva dalla proposta del governo italiano, presieduto da Giuseppe Conte. L’intenzione dell’esecutivo, su “assist” del Ministro dell’Economia Luigi Di Maio, principale sponsor di questa “retromarcia” commerciale, è ridurre il numero dei giorni festivi in cui negozi e centri commerciali possono tenere aperto.La proposta di legge
Possono o devono tenere aperto? Il dibattito è interessante e apertissimo, sui siti specializzati e tra gli adepti del “partito dei social”. Innanzitutto è necessario sciogliere il dilemma di base: lavorare alla domenica è un diritto o un dovere? E, naturalmente, bisogna ulteriormente suddividere la questione tra quelli che “subiscono” il lavoro festivo (cioè costretti a lavorare tutte le sante domenica, ma pure Natale, Pasqua, 1.maggio e via discorrendo) e quelli che del lavoro festivo altrui ne traggono un utile servizio (si tratta comunque di un servizio, no?), come, ad esempio, chi va a fare la spesa all’ultimo minuto alla domenica mattina.
L’attuale organizzazione era stata introdotta dal governo Monti e dal decreto “Salva Italia”, che aveva autorizzato le aperture dei negozi anche il sabato e la domenica per contrastare la crisi delle piccole realtà commerciali schiacciate progressivamente dall’avvento dei centri commerciali, pronti a spuntare ovunque come funghi e sempre aperti. Con la nuova proposta, il governo-Conte prova a limitare la liberalizzazione, proponendo una nuova regolamentazione, un ritorno al passato e ai negozi chiusi e ai centri commerciali aperti una domenica al mese più le tre-quattro domeniche prima di Natale. Ricordate? Secondo la proposta di legge presentata dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Davide Crippa, le aperture straordinarie non potranno superare i 12 giorni all’anno e potranno essere introdotti turni e rotazioni definiti nelle realtà locali, come già accade per le farmacie, la liberalizzazione delle quali fu sancita già nel 2006 dal “decreto Bersani-Visco”, il cosiddetto “pacchetto liberalizzazioni”.
Ogni comune dovrà attenersi ad un limite di un negozio aperto su quattro dello stesso settore merceologico, ma le aperture festive durante il corso dell’anno non potranno comunque superare, come detto e scritto, i 12 giorni. Da questa proposta saranno, però, esclusi gli esercizi commerciali delle località turistiche (è considerata tale anche Biella, ad esempio: e allora sono davvero tutte località turistiche in Italia…), ma toccherà a regioni e comuni il compito di stabilire una rotazione tra le attività e regolamentarne la disposizione sul territorio.

L’esperimento di Modena
L’idea del sottosegretario Crippa riprende l’esperimento della città di Modena – storicamente governata dalla sinistra – che dal 2015 ha approvato un codice comportamentale di autoregolamentazione, che impone la chiusura dei negozi (e delle tante Coop e Ipercoop presenti) a Natale, Capodanno, per la Festa della Liberazione e per la Festa del Lavoro, mentre le rotazioni riguardano solo alcune zona della città. E la posizione dei sindacati è chiara, uniti e compatti da tempo contro il lavoro domenicale. Che, intendiamoci, non è il diavolo in persona. Anche perchè il lavoro è sempre lavoro ed è meglio averne pure di domenica che non averne nemmeno dal lunedi al sabato. O no?

Lavorare alla domenica? Più soldi in busta paga
Eviterei la parola “sfruttamento”, come ogni tanto si sente dire, spesso a sproposito, qualche volta, purtroppo, con ragione. Il nodo della questione non è santificare le feste comandante, semmai, il vero problema è la regolamentazione dei contratti di lavoro, altro che le date di apertura o di chiusura. Perchè se il lavoro festivo fosse ben pagato, come giusto, e pagato meglio dello stesso medesimo carico di ore di un giorno feriale, il discorso sarebbe ben diverso. Non ci credete? Sentite qui: personalmente lavoro in Francia un’azienda francese in cui, il 1.maggio – data sacra per i cugini, sono fermi totalmente pure bus e metropolitane e le azienda offrono il taxi ai lavoratori – , tutti fanno la fila per lavorare, perchè la giornata è pagata tripla (non doppia, come invece succede a Natale o a Capodanno o per il 14 luglio….). E a questo punto è evidente che il problema non è etico e morale (stare di più in famiglia e cose del genere “focolare domestico”), ma semplicemente (che poi non è cosi semplice) è un problema economico, essere pagati meglio e di più.

Quando godersi le domeniche in famiglia?
Poi, certo, c’è l’aspetto sociale. I lavoratori costretti a lavorare 52 sabati e 52 domeniche all’anno come faranno a godersi il giorno di festa, il pranzo con la famiglia e le gita al parco con i bimbi? Tutte cose che non si possono certo fare, con lo stesso piacere, il lunedì, giorno di riposo dei “forzati della domenica”. Vero. Ma senza lavoro non c’è pranzo della domenica, senza lavoro non c’è gita con i bimbi, senza lavoro non c’è niente. E se il lavoro è di domenica, bisogna accettarlo. O provare a trovare un altro lavoro, di quelli belli, dal lunedi al venerdi, dalle 9 alle 17, se ancora esiste un lavoro cosi. I tempi sono cambiati, non sono nè meglio nè peggio, ma sono cambiati e bisogna farsene una ragione.

Tornare indietro?  
Commercialmente ed economicamente, non so se per i negozi e per i centri commerciali sia veramente vantaggioso tenere aperto, considerati i costi per i dipendenti e le spese fisse, ma ritengo che “tornare indietro” non sia molto costruttivo nemmeno per l’economia. Come fanno in Francia e in Germania e in tutti gli altri paesi d’Europa (tranne l’italia) dove tutto è chiuso alla domenica? Fanno senza, ovvio. E non muore nessuno. Come si faceva una volta con i negozi e i supermercati chiusi di domenica? Si viveva lo stesso, ma era, appunto, “una volta”. Non credo neppure che sia una questione di voglia compulsiva di shopping (fosse cosi, staremmo tutta la domenica attaccati ad Amazon a comprare tutto e subito con consegna a domicilio), credo proprio che i negozi e i centri commerciali abbiano una funzione sociale importante, per la qualità delle città e delle persone stesse. Gli integralisti del “no domenica” invocano superbi pranzi al ristorante e festose gita con tutta la famiglia, ma forse tutto questo costa di più di una semplice “vasca” pomeridiana al centro commerciale, non trovate? Bisogna tener conto anche di questo
Personalmente sono contrario a questa proposta di legge che puzza tanto di “proibizionismo”, io sono dell’idea, ad esempio, che la Festa del Lavoro del Primo Maggio vada festeggiata lavorando (volevano far chiudere i negozi di souvenir a Venezia, Roma e Firenze!) e non più portando il garofano e “L’Unità” (o era “L’Avanti”?) in tutte le case come faceva il 1.maggio mio nonno Maggio, chiamato così perchè si chiamava Primo ed era nato proprio il Primo Maggio….

E gli altri lavoratori della domenica?
Poi, perchè solo i lavoratori dei negozi e dei centri commerciali avrebbero diritto a restare in famiglia? Non vale anche per tutti gli altri lavoratori della domenica? I casellanti, i medici, gli infermieri, i pizzaioli, i cuochi, i camerieri, persino i giornalisti. Io nasco giornalista sportivo e ho sempre messo in conto di dover lavorare anche il sabato e la domenica, no? Altrettanto deve fare una commessa di negozio, non vi pare? Altrimenti prova a cercarsi un altro lavoro. Se lo trova….
Non credo, tuttavia, che una legge possa risolvere il problema delle “domeniche bestiali” all’italiana: prima bisogna fare una legge – fatta bene – per regolamentare seriamente il lavoro domenicale e festivo, poi ne riparliamo.
Con un po’ più di soldi in tasca per tutti, si ragiona meglio.

Giornalista, il mestiere più pericoloso (in certe parti del mondo)

La giornalista bulgara Viktoria Marinova è la settima giornalista uccisa in Europa dall’inizio del 2017 (a cui andrebbe aggiunto il giornalista saudita Khashoggi, di cui non si hanno più tracce da quando è entrato nel consolato del suo paese in Turchia).
Viktoria Marinova stava lavorando ad un’inchiesta su corruzione e abusi legati ai fondi dell’Unione europea. L’assassino, che ha confessato, è però un giovane bulgaro di 21 anni, di etnia rom, che l’avrebbe violentata al parco di Ruse, soffocata e uccisa, prima di fuggire in Germania, dove vive da anni la madre. La Bulgaria è rimasta sconvolta dalla morte di Viktoria Marinova.

questo link è possibile trovare la lista dei professionisti della notizia uccisi nel 2017: spiccano i 12 morti in Messico, 11 in Afghanistan, 10 in Siria e 6 in India.

Slovacchia: Ján Kuciak

Ján Kuciak, 27 anni, stava indagando su presunte frodi fiscali che coinvolgevano uomini d’affari legati al partito al governo della Slovacchia. Come segnala Valigia Blu, il giornalista si era anche occupato di persone vicine alla ‘Ndrangheta in Slovacchia e delle loro passate relazioni con il principale consigliere statale del primo ministro Robert Fico, Mária Trošková. Su quest’ultimo tema, Tom Nicholson, che lavorò anche con Kuciak, scrive su POLITICO che il giovane giornalista slovacco “fece progressi importanti (…). Ján aveva stretto un’alleanza con giornalisti investigativi italiani in grado di confermare le identità e le associazioni criminali degli italiani che erano attivi in ​​Slovacchia”.

Transparency sottolinea come esista una relazione tra libertà di stampa, corruzione percepita e violenza contro i professionisti dell’informazione. Dal 2012 a fine 2017, 368 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro: il 96% di questi omicidi è avvenuto in Paesi dalla corruzione elevata nel settore pubblico, ovvero con punteggio CPI (Corruption Perception Index) inferiore a 45. L’Italia ha 50.

Inoltre, un giornalista su cinque tra quelli uccisi nel mondo stava indagando su casi di corruzione. Il Messico dal 2014 è sceso di sei punti nell’indice, passando da un punteggio di 35 a 29.

Malta: Daphne Caruana Galizia

Il 16 ottobre è stata ammazzata Daphne Caruana Galizia, collega maltese fatta saltare in aria con una autobomba piazzata nella macchina presa a noleggio. A dicembre tre persone sono state formalmente accusate di omicidio ma la Federazione Europea dei Giornalisti ha lanciato un appello alle autorità maltesiper approfondire le indagini sui mandati reali dell’omicidio.

Danimarca: Kim Wall

La giornalista freelance svedese è stata uccisa e fatta a pezzi in Danimarca ad agosto dopo essere salita a bordo del sottomarino civile di Peter Madsen. Stava scrivendo un articolo su di lui e sul crowdfunding che ha permesso la realizzazione del mezzo. Madsen, che inizialmente aveva negato ogni coinvoglimento e aveva parlato di un incidente, è stato condannato all’ergastolo.

Russia: Nikolai Adrushchenko

Adrushchenko, 73 anni, è morto ad aprile in un ospedale di San Pietroburgo dopo essere stato picchiato selvaggiamente da degli assalitori sconosciuti sei settimane prima. Si occupava di crimine e violazioni dei diritti umani e aveva co-fondato il Novy Petersburg nel 1990. Nel 2007 era stato messo in carcere per diffamazione e ostruzione alla giustizia.

Russia: Dmitry Popkov

Co-fondatore e caporedattore del quotidiano locale russo Ton-M, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella città di Minusinsk il 24 maggio 2017. Il suo corpo è stato trovato nel suo cortile. C’è un’indagine in corso che punta a diverse piste, inclusa “l’attività professionale” della vittima”. Popkov era stato eletto nel parlamento regionale per il Partito Comunista e, durante la sua carriera, ha scritto di corruzione tra le forze dell’ordine.

Turchia: Saaed Karimian

Nell’aprile di quest’anno, il dirigente televisivo iraniano Saaed Karimian è stato ucciso a Istanbul, in Turchia. Degli uomini armati hanno fatto fuoco sul suo veicolo uccidendo anche il suo partner, originario del Kuwait. La macchina usata per l’esecuzione è stata poi trovata carbonizzata. La polizia turca sta ancora indagando sul caso.

Karimian, 45 anni, è stato fondatore e presidente della tv in lingua persiana GEM che doppia i programmi stranieri e occidentali nella lingua parlata in Iran. Per questo motivo, è stata criticata in passato dalle autorità iraniane con l’accusa di aver diffuso la cultura occidentale e mostrato programmi contrari ai valori islamici. Processato in contumacia da un tribunale di Teheran nel 2016, era stato condannato a sei anni di carcere per aver veicolato propaganda contro lo stato.

Arabia Saudita e Turchia: Jamal Khashoggi

C’era anche un esperto di autopsie nel team di agenti sauditi che avrebbe fatto sparire Jamal Khashoggi. Lo scrive il New York Times citando gli investigatori turchi. Un commando di 15 persone, secondo le ultime ricostruzioni, lo avrebbe fatto a pezzi con una segaossa all’interno del consolato saudita a Istanbul. Altre fonti da Ankara sostengono che il corpo del giornalista saudita sarebbe stato caricato su un van nero.

“Questa è un’area piena di telecamere, è un consolato, basta andare laggiù per vedere che ci sono telecamere in cima all’edificio e lungo le strade. Sappiamo che i turchi stanno cercando di avere accesso ai filmati – spiega la giornalista della Reuters, Emily Wither – Gli inquirenti non forniscono troppe informazioni, quindi può darsi che siano più avanti nelle indagini rispetto a quanto riferito pubblicamente, ma al momento dicono solo che vogliono perlustrare il consolato”.

Il giorno della scomparsa del giornalista, due aerei privati sono arrivati dall’Arabia Saudita. Per le persone a bordo sarebbero state prenotate camere in un hotel vicino al consolato, ma nessuno ha trascorso la notte in albergo.

“Fonti industriali ci hanno detto che questi aerei sono di proprietà del governo saudita e sappiamo che questi 15 persone sono entrate nel consolato nello stesso momento in cui Jamal arrivava a ritirare i suoi documenti – conclude Emily Wither – sono partite dopo un paio d’ore e sono andate direttamente all’aeroporto. I funzionari turchi stanno ora cercando di scoprire da chi fosse composto esattamente questo gruppo e se ha qualche coinvolgimento nella scomparsa di Jamal”.

Sono almeno sette i sospettati dalle autorità di Ankara e ora si viene a sapere che, il 2 ottobre, il personale turco del consolato era stato invitato a non presentarsi in ufficio, perchè ci sarebbe stato “un incontro diplomatico”.

SANTO SANTIAGO!

DOMENICA 30 SETTEMBRE ABBIAMO BATTEZZATO SANTIAGO!!!!
HA PURE FATTO IL BRAVO….E NON SI E’ LAMENTATO QUANDO IL PRETE DI CANDIOLO, DON CARLO, GLI HA VERSATO L’ACQUA SULLA FRONTE…CHE OMETTO!

Altro che “dono”…

Sulla dichiarazione della conduttrice Nadia Toffa delle “Iene” a proposito del presunto “dono” ricevuto insieme al suo tumore, poi sconfitto, pubblico questo post di Dora Esposito, scritto su Facebook in data 25.9.2018.

No, cara Nadia Toffa, io non ti giudico e non sono nessuno per dirti quello che devi o non devi pensare, però vorrei solo dirti che forse per te il cancro è stato un dono, ma ti assicuro che vedere morire, consumarsi, giorno per giorno le persone care, è una maledizione. Non c’ho messo molto, con questo tuo pensiero a ricordarmi della prima volta in cui mi sono offerta di rasare i capelli a zero di mio padre dopo la prima chemio, non c’ho messo neanche molto a ricordarmi di tutte le volte che l’ho visto soffrire dal dolore, piangere dal dolore e io lì inerme a sentirmi inutile, a far finta di stare bene, a fingere di ridere, a ridere quando non avevo voglia di ridere e a piangere quando non avrei mai voluto piangere. Non c’ho messo molto a ricordarmi del via vai di tutte le ambulanze e i medici nelle notti inoltrate, di quando sono stata ferma, zitta e di quando ho dovuto mantenere la calma per non agitare lui e chi mi stava intorno. Non c’ho messo molto a ricordare dell’ultima volta che è ritornato dal suo ultimo ricovero e mi hanno detto: “Gli è arrivato alle ossa e al cervello, ha poco tempo!” e dormivo vestita quelle poche ore perchè mi alzavo per andare a controllare se respirasse ancora. Non c’ho messo molto a ricordarmi di tutte le volte che l’ho visto piangere di nascosto perchè sapeva. E non c’ho messo molto neanche a ricordarmi di tutte le volte che ho pianto di nascosto prendendo a pugni il muro in bagno perchè dalla sua stanza si sentivano le urla di dolore. Di mia madre che non dormiva mai per stargli notte e giorno vicino. Delle piaghe. Della sua agonia. Di quel “ti voglio bene” detto l’ultimo minuto della sua vita. Perciò, cara Nadia, il cancro non è un dono. Il vero dono è l’amore di chi ha vissuto ed ha avuto la forza di combattere nonostante la guerra persa. Il dono è l’amore che hai donato a chi sapevi che dovevi perdere.
No, non c’ho messo molto a ricordare di quando mi hanno dato la diagnosi: “Carcinoma polmonare in stadio avanzato. Tuo padre ha due giorni di vita” ma ha vissuto cinque anni, solo altri fottuti cinque anni. Un inferno, Nadia. 
E tutto questo, me lo sono ricordato solo grazie a te.
Grazie“.

È passato giusto un anno….

È passato giusto un anno da quando ho cominciato a lavorare a Euronews, qui a Lione. Per me è stato praticamente un ritorno a “casa“, visto che al canale satellitare europeo, fondato nel 1993, ci avevo già lavorato per un anno e mezzo quasi 15 anni fa. Da allora, sono cambiate molte cose: la sede, il tipo di lavoro, le modalità di lavoro, ma molti colleghi sono ancora gli stessi – certo, qualcuno invecchiato meglio e qualcuno peggio – e la filosofia “europea” della tv è diventata più internazionale grazie all’avvento, come socio, del colosso televisivo americano NBC, che ha portato soldi, idee, risorse umane e “american tv style”, lanciando il nuovo canale Euronews World.
La versione italiana, purtroppo, resta ancora in sordina: per colpa del fatto che si trova esclusivamente sul satellite di Sky, e non sol digitale terrestre (cosa che farebbe fare un notevole salto di qualità in termini di visibilità popolare), ma grazie al web e al sito it.euronews.com sta guadagnando lettori e fruitori di qualità e noi ne guadagniamo in credibilità.
Ma, al di là di tutte queste considerazioni, lavorare a Euronews per me è un privilegio, e me ne sono accorto in questi 365 giorni: in un ambiente con colleghi di dodici lingue diverse, culture differenti, enormi possibilità di crescita professionale, culturale e umana. Per questo, ringrazio decisamente la Francia, che mi offre questa opportunità. Perchè se aspetto qualcosa di interessante dall’Italia…
Ma non vi preoccupate: come canterebbe il mitico Toto Cotugno, resto un “italiano vero“!

Con la collega Gabriella Ferrero in visita a Lione, davantio al Cubo Verde, sede di Euronews

I social? Sono meglio dei giornali

Pensavo: i social sono come i giornali, ma in meglio.
Notizie in tempo reale (pure fake news, ma ci sono anche sui giornali), commenti in totale libertà, senza il filtro della diplomazia, spazio per tutti, non solo per i soliti noti e connessione immediata con tutti, altro che le “lettere al Direttore”.
Secondo me, sono punti a favore dei social.
Poi, comunque, prendiamo con le molle. E senza esagerare.

Tutti pazzi per i social. O i social sono per i pazzi?

“Domenica mattina mi sono alzato…”

Ecco la mia opinioni sulla vicenda delle ventilate chiusure domenicali di negozi e centri commerciali.

DOMENICA mattina mi sono alzato e ho deciso di fare una passeggiata fino all’edicola, ma putroppo era chiusa. Poco male, mi sono detto, andrò a leggere il giornale al bar. Giunto di fronte al bar l’ho trovato chiuso. Dopo aver girovagato un po’, sono tornato a casa. Mia moglie mi ha detto: “visto che sei qui, porta tuo figlio al parco, che vuole fare un giro sul trenino”. Dato che era una bella giornata, ho accettato di buon grado. Una volta giunto alla giostra l’ho trovata chiusa, la giostraia sarà stata a casa con la sua famiglia. Mio figlio però non l’ha presa bene, e ha iniziato a piangere. Per consolarlo le ho promesso un gelato, ma anche la gelateria era chiusa, le commesse della gelateria forse erano a casa coi famigliari. Con mio figlio ormai isterico sono tornato a casa, dove mia moglie mi ha rimproverato per lo stato del bambino. Mentre mi isolavo guardando Facebook, mia moglie ha riportato il piccolo alla calma, ma per farlo ha bruciato il pranzo. “Poco male dai” ho detto per riparare al danno “andiamo a mangiare al ristorante”. Arrivati al ristorante l’abbiamo trovato chiuso, le cameriere dovevano stare con la propria famiglia. Giusto, siamo tornati mestamente a casa, e abbiamo mangiato in silenzio un po’ di insalata di riso.
Il pomeriggio andrà meglio, mi sono detto, c’è la partita. Ma una volta accesa la tv, un comunicato mi ha informato che la partita non sarebbe stata trasmessa, perchè gli operatori la domenica non lavoravano. L’ora mi consentiva di raggiungere lo stadio, così mi sono avviato speranzoso. Giunto di fronte alla biglietteria l’ho trovata chiusa, un cartello informava che i tagliandi erano in vendita solo fino a sabato. Frustrato, stavo per inveire quando ho visto che comunque anche chi aveva il biglietto si assiepava davanti allo stadio chiuso. Stewart e addetti ai cancelli erano tutti a casa con le proprie famiglie per godersi la domenica. Sono rientrato a casa, dove ho trovato mio figlio e mia moglie molto abbattute perché in tv c’erano solo programmi registrati, visto che nessun impiegato nelle telecomunicazioni era al lavoro, così per salvare la giornata ho proposto di andare al cinema. Rinfrancati ci siamo recati al multisala più vicino, ma l’abbiamo trovato chiuso. Le cassiere erano probabilmente a casa a godersi la domenica in famiglia. Abbiamo girovagato per il centro dove tutto era chiuso, mio figlio piangeva disperato, mia moglie mi rimproverava per non essere andati in montagna a passeggiare fra i sentieri del Cai (che sono sempre aperti). Fra il frignare e il brontolare non ho più retto e ho avuto una crisi di panico. Mi hanno portato all’ospedale, quello sì che era aperto.

Adesso lo capite quanto è ipocrita e anacronistica la vostra crociata per i negozi chiusi la domenica?

“La collana di rose bianche”

Dal mio cassetto dei desideri e delle scritture, riemerge il racconto *La collana di rose bianche“, scritto nel 2007 e ambientato alla Reggia di Venaria. Finalmente prende corpo, nero su bianco, nella raccolta “Evanishing“, in uscita ad inizio ottobre per i *tipi* del Fiorino di Modena.

Migranti, le diverse facce della stessa crisi

Diverse frontiere, diversi paesi coinvolti, diverse facce di una stessa crisi, europea, dei migranti.

In Italia

Fino al 2014 è sembrato un problema quai esclusivamente italiano e – nonostante l’aumento degli arrivi via mare dalla Libia – diversi governi europei rifiutarono di finanziare l’operazione Mare Nostrum, poi rimpiazzata da Triton dell’agenzia europea Frontex.
Ma dopo la “rotta dei Balcani” dell’estate 2015, Grecia, Ungheria e Germania diventarono mete alquanto allettanti per i migranti in fuga dalla Siria e da altri paesi.
Ricordate gli striscioni alla stazione di Monaco di Baviera con scritto “Welcome Refugees“?

Il 2016, tuttavia, fu un anno record di sbarchi di migranti arrivati in Italia provenienti dalla Libia, un dato – riferimento soltanto ai primi otto mesi – che rimase molto alto anche per il 2017 e che crollò drasticamente nel 2018, grazie all’accordo con la Libia siglato – nell’estate 2017 – dall’allora mnistro degli esteri Marco Minniti e per effetto della recente chiusura dei porti decisa da Matteo Salvini.

 

In Spagna

Il raffronto delle statistiche italiane con quella della Spagna nello stesso periodo e riferite a tutti i 12 mesi di ciascun anno – evidenzia un netto disequilibrio: nel 2016, in Spagna, sono arrivati migranti in numero sette volte inferiore all’Italia, invertendo la tendenza nel 2018 – con l’arrivo della sinistra di Pedro Sanchez al governo – arrivando quota 29.541 nei primi sei mesi e superando il numero dei migranti accolti in Italia.
Il caso della nave Aquarius arrivata a Valencia è stato emblematico.

 

In Ungheria

Uno dei paesi più contrari all’accoglienza dei migranti è l’Ungheria di Viktor Orbán: il numero dei richiedenti asilo a Budapest è calato notevolmente negli ultimi tre anni, passando dai 29.432 del 2016 agli appena 453 del 2018.
Stiamo parlando di numeri bassissimi, anche perchè dopo l’accordo con la Turchia di Erdogan, l’Ungheria è fuori dalle mappe della migrazione di massa.
Frontiere magiare che, per i migranti, Orbán continua a voler mantenere chiuse.