Sono appena tornato da un breve soggiorno di lavoro a Barcellona. E’ una città meravigliosa, una città che ho già visitato diverse volte, ma che non mi stanco mai di ammirare. E’ una città che accoglie tantissimi italiani, anche quelli alla ricerca di un futuro migliore. E’ la città che poche settimane fa, giovedì 17 agosto, è stata teatro di uno dei più sanguinosi attacchi terroristici degli ultimi anni. La cronaca dei fatti la conoscete, purtroppo: un terrorista affiliato all’Isis ha imboccato il viale pedonale delle Ramblas al volante di un furgone bianco lanciato a folle velocità, ha travolto e ucciso 15 persone – tra cui due italiani, Bruno Gulotta e Luca Russo – e ferito altri 88 esseri umani. Fuggito tra i vicoli del centro di Barcellona e braccato in tutta la Spagna, il terrorista Younes Abouyaaquob è stato ucciso qualche giorno dopo, in un conflitto a fuoco, in un paese ad una cinquantina di chilometri da Barcellona.
A distanza di venti giorni è quasi surreale passeggiare per le Ramblas come se niente fosse. O quasi. A Barcellona sembra tutto tornato normale. Ma… Ma non si può fare a meno, almeno io non ci sono riuscito, di guardare le terribili fotografie del dopo-attentato e paragonare lo stesso pezzo di strada dove è avvenuto il massacro a quello dove stavo passeggiando io. Mi è capitato all’inizio delle Ramblas, all’altezza del Burger King, la cui insegna avevo notato in una fotografia raffigurante un ferito che veniva soccorso. Mi è capitato soprattutto calpestando il mosaico di Mirò, nel centro delle Ramblas, proprio là dove il furgone della morte ha terminato la sua folle corsa. Un’opera d’arte realizzata dall’artista catalano proprio per elogiare l’accoglienza e lo spirito internazionale di Barcellona…
La mia, spero lo capiate, non è morbosità, è solo umana curiosità. Riflettendo, naturalmente, su quanta fortuna abbiamo avuto a non essere in quel posto (sbagliato) nel momento sbagliato. Come, purtroppo, è successo alle vittime, ai feriti e persino ai superstiti. Che non dimenticheranno mai e poi mai.
A Barcellona sembra tutto normale, ma non è così. Il venticello del tramonto è meraviglioso, il mare e la spiaggia di Barceloneta annunciano un settembre ancora “caliente”, i ristoranti sulle Ramblas sono già pieni di turisti a caccia di paella e sangria, la vita – inevitabilmente – continua. La polizia catalana (il Mossos d’Esquadra) vigila in maniera nemmeno troppo discreta: anzi, i poliziotti sono un po’ dappertutto, la loro presenza rassicura come non mai noi piccoli e indifesi turisti. Due furgoni belli robusti della polizia sono sistemati ai lati della fermata della metropolitana di Plaça de Catalunya, dove tutto è maledettamente cominciato. Sembrano le imponenti misure di sicurezza del “senno di poi”, ma tant’è. La paura c’è, ma è meglio non confessarla. Tanto che cosa possiamo mai fare? Stare barricati in casa? Non andare più da nessuna parte? La vita continua. Purtroppo o per fortuna.
E Barcellona rimane bellissima. Anche se non è più la stessa.
Ius soli: è davvero un baluardo di civiltà?
Sono lieto di ospitare sul mio sito un articolo di Kawtar Barghout, 26enne coraggiosa “Islamica d’Italia” (si definisce cosi), che ringrazio per la collaborazione e per la disponibilità. Grazie ad Andrea Pruiti e al suo blog, che mi hanno permesso di scoprirlo.
“Ius soli: è davvero un baluardo di civiltà?”
di Kawtar Barghout
Negli ultimi giorni a livello mediatico si afferma che lo ius soli sia una legge di civiltà.
Sorge pertanto lecito domandarsi in che termini lo possa essere: in Italia vi sono gravi violazioni dei diritti umani nei confronti degli stranieri ?
A livello normativo la posizione giuridica degli stranieri è identica a quella dei cittadini italiani, infatti non vi è nessuna discriminazione sulla “carta”.
La Costituzione ne è la prova lampante, infatti l’art. 3 Cost afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Pure il cittadino straniero è investito dall’uguaglianza formale e sostanziale avendo così una copertura totale dalle discriminazioni che potrebbero sorgere a livello giuridico – istituzionale.
Infatti può esperire qualsiasi azione prevista dall’ordinamento in tutela dei suoi diritti nel caso in cui fossero calpestati.
Il cittadino straniero infatti per la sua posizione di parità con il cittadino italiano si vede riconosciuti a pieno titolo tutti i diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute, alla casa, all’istruzione, all’equo processo, libertà di circolazione nel territorio dello Stato, il diritto alla libertà ed alla sicurezza personale, il diritto a non essere sottoposto a pene, trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, diritto alla difesa ect ect.
La Corte costituzionale ha affermato che il principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. deve essere interpretato sia in connessione con l’art. 2 Cost., che prevedendo il riconoscimento e la tutela dei “diritti inviolabili dell’uomo” che non distingue tra cittadini e stranieri, ma garantisce i diritti fondamentali anche riguardo allo straniero (Corte cost. sent. 18 luglio 1986, n. 199), sia in connessione con l’art. 10, comma 2, Cost., che rinvia a consuetudini e ad atti internazionali nei quali la protezione dei diritti fondamentali dello straniero è ampiamente assicurata.
Il cittadino ovviamente gode di diritti maggiori rispetto allo straniero per via del suo rapporto permanente con lo Stato, infatti i diritti dello straniero «rappresentano un minus rispetto alla somma dei diritti di libertà riconosciuti al cittadino» (Corte cost. sent. 15-21 giugno 1979, n. 54) e ciò consente al legislatore di introdurre una serie di limitazioni nei confronti dello straniero soprattutto nei riguardi dei diritti connessi allo “status activae civitatis”, ovvero i diritti politici.
Queste limitazioni nei diritti nei confronti dello straniero non sono un’ingiustizia, bensì si basano sul principio della reciprocità (art. 16 delle preleggi): tutti gli Stati presentano delle limitazioni nei confronti degli stranieri presenti nel loro territorio.
Molti affermano per giustificare lo ius soli che il cittadino straniero non possa accedere ai concorsi pubblici.
La legislazione attuale afferma che lo straniero può partecipare a determinanti concorsi solo se non vi sia l’esercizio di pubblici poteri. (es. Ordinanza del 27 maggio 2017, R.G. 1090/17).
Queste riflessioni mi portano quindi, a giudicare lo ius soli una mera aberrazione giuridica in quanto il cittadino straniero in Italia non subisce alcuna discriminazione.
Il concetto di cittadinanza deve essere legato a quei nobili sentimenti che sono la condivisione del patto sociale, l’abbracciare i valori fondanti della nostra Costituzione e orgoglio nazionale.
Ridurre la cittadinanza a mera frequentazione di un ciclo scolastico o nascita nel territorio dello Stato è decisamente riduttivo vista la complessità e la sensibilità del tema in questione.
Il legislatore che si occupò della L. 91 / 92 non contemplò lo ius soli puro per questioni geografiche.
L’Italia essendo in una posizione delicata non era funzionale una legislazione di questo tipo.
Le mie considerazioni sul caso sono le medesime, vista la situazione migratoria attuale e soprattutto visti gli innumerevoli escamotage che permettono di ottenere un permesso di soggiorno di varia natura che poi si potrà convertire in permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, che è uno dei requisiti per l’ottenimento della cittadinanza italiana per i minorenni nati all’estero.
Affermare che lo ius soli puro è applicato negli Stati Uniti come mezzo per sottolineare la bontà di questa proposta di legge e l’arretratezza del nostro sistema giuridico è palesemente scorretto.
La Corte Permanente di Giustizia Internazionale – Parere 7/2/ 1923 afferma che “le questioni della nazionalità riguardano il dominio domestico, cioè riservati allo Stato”.
Lo stesso Dionisio Anzilotti afferma che ogni Stato è libero di regolare le condizioni della cittadinanza, quindi prendere a paragone un paese terzo e non la situazione attuale e concreta è l’approccio sbagliato ad una questione così spinosa che richiede pragmatismo.
L’attuale classe politica inoltre fa leva sul fatto che chi nasce in Italia senza la cittadinanza italiana risulta discriminato e non tutelato, ma tutto ciò non è veritiero.
In primis la cittadinanza non è un diritto qualora un soggetto non rischia di diventare apolide come affermato dalla Dichiarazione universale dell’uomo del 1948 (Art. 15: “ Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza “).
I bambini nati in Italia da cittadini stranieri non rischiano di diventare apolidi in quanto ottengono per ius sanguinis la cittadinanza dei genitori.
Sarà al compimento dei 18 anni con apposita domanda all’ Ufficiale di Stato Civile che acquisteranno la cittadinanza italiana (art. 4 comma 2 L.91 /92) e potranno esercitare i diritti politici che spettano solo ai maggiorenni come l’elettorato attivo e passivo e l’accesso ai concorsi pubblici, ect ect.
Per quanto riguarda chi non è nato in Italia la questione è che hanno un legame con un altro paese e non solo con lo Stato Italiano, ergo l’espletamento di un ciclo di studi non è la condizione sufficiente per l’ottenimento della cittadinanza italiana.
Il bambino nato in uno Stato estero avendo un legame con un altro Stato deve, a mio parere, sottostare al potere di discrezionalità dello Stato che vaglierà la sua posizione e deciderà se è nel suo interesse riconoscerlo come cittadino.
Il semplice espletamento di un ciclo di studi, che è un dovere oltre che per lo Stato anche per se stessi, non garantisce l’adesione al patto, il riconoscimento dei valori e dei DOVERI contenuti nella Costituzione che sono la colonna portante dello Stato di diritto.
Non è concepibile ridurre la cittadinanza a semplice espletamento di un ciclo scolastico o mezzo per evitare il visto scolastico per la gita in paesi in cui è richiesto perché concepito come un’ ingiustizia da alcuni stranieri e attivisti per i diritti umani.
La foto del giorno. Anzi, la foto dell’anno
Oggi, giovedì 24 agosto, anniversario del devastante terremoto che colpì un anno fa il Centro Italia, Roma è stata teatro di duri scontri tra forze dell’ordine e migranti, in occasione dello sgombero forzato di uno stabile occupato, pare, abusivamente. In mezzo a scene di tante violenza e guerriglia urbana – senza, in questo contesto, affibbiare la responsabilità da una parte all’altra – mi preme sottolineare, e pubblicare, la bellezza e la delicatezza di questa fotografia, così rara: la carezza di un poliziotto in divisa ad una ragazza migrante. La didascalia ideale sarebbe questa: “Siamo tutti dalla stessa parte”.
E’ la foto del giorno. Anzi, la foto dell’anno.
Peccato che sia solo una foto, e per di più rara.
QUESTA PAZZA (E INFUOCATA) ESTATE
E’ stata un’estate pazza e infuocata anche per questioni più strettamente legate al clima. In Italia, questa estate è stata giudicata la più calda degli ultimi quattordici anni, al pari di quella altrettanto bollente del 2003. Tutta colpa di Caronte, la bolla di caldo africano a cui è stato dato il nome dell’infernale traghettatore. Ed è stato proprio un luglio infernale, almeno in Italia, spazzato via soltanto dall’arrivo del ciclone Circe, Dea della mitologia greca. In altri paesi, come la Germania, il caldo anche insolito per queste latitudini, si è intervallato con piogge, temporali torrenziali, alluvioni e innumerevoli danni. Cicloni e trombe d’aria non sono mancate neppure nel Belpaese: prima di Ferragosto una tromba d’aria ha sferzato la bella spiaggia di Jesolo, in Veneto, provocando anche lì danni incalcolabili. Poi c’è il rovescio della medaglia: la siccità. Precipitazioni in calo anche del 75% rispetto agli anni scorsi, in alcune zone d’Italia: in Piemonte, in Liguria, in Emilia-Romagna, in diverse zone del Sud Italia. Con inevitabili conseguenze soprattutto sull’agricoltura.
La colpa di questo clima impazzito? Secondo gli esperti, naturalmente, la responsabilità è del riscaldamento globale (“Global Warming” in lingua inglese) della Terra. L’allarme parte addirittura dal Polo Nord: la stratosfera della calotta artica polare si starebbe riscaldando di ben 40 gradi. In pieno inverno, ad esempio, la temperatura dello strato di atmosfera che sovrasta il Polo Nord scenderebbe a meno 40 gradi, anziché i quasi meno 80 abituali. Il riscaldamento della calotta polare porterebbe al decentramento delle aree più fredde verso l’artico europeo: quindi in gennaio potrebbe far più freddo in Germania e Austria piuttosto che in Svezia e Finlandia. Una specie di Grande Freddo causato dal Grande Caldo. Assurdo, ma vero. E d’estate il caldo diventa ancora più…caldo. Quindi, secondo gli esperti, si prevedono per i prossimi anni estati sempre più roventi e inverni sempre più gelidi. Sarà proprio così? Qualche avvisaglia, in effetti, l’abbiamo captata.
Qualche responsabilità ce l’avrà anche l’Uomo, no? Certo, pare proprio di si. Ci sono fiori di studi scientifici che confermano l’influenza dell’attività umana sui cambiamenti climatici. Basta pensare alla nostra vita di tutti i giorni: i fumi delle nostre auto, delle nostre fabbriche, il nostro inquinamento. Gli effetti dell’anidride carbonica (Co2) sulle temperature medie del globo sono chiarissimi: gli studi sull’Effetto Serra hanno dimostrato con evidenze indiscutibili che l’incremento della percentuale di Co2 nell’atmosfera è un fattore chiave nell’incremento delle temperature. Il fenomeno è causato dall’effetto “schermo” che l’anidride carbonica svolge nei confronti delle particelle di aria calda che risalgono verso l’esterno, impedendo loro di raggiungere la stratosfera e di disperdere il calore in eccesso nello spazio. Esattamente come le copertura di una serra, permettono ai raggi solari di passare, e di scaldare l’interno, ma non al calore di dissiparsi.
Ma addirittura c’è chi pensa che in realtà i Governi del Mondo stiano facendo il doppio gioco: è il caso del generale Fabio Mini, già capo delle forze armate Nato in Kosovo, che parla apertamente di “guerra climatica” voluta dai Potenti per motivi biecamente economici, attraverso l’utilizzo di agenti chimici ad alterare il clima. Il generale ne è convinto: la “bomba climatica” è la nuova arma di distruzione di massa. A noi, questa interpretazione, puzza alquanto di bufala complottistisca, ma tant’è- Ci interessano prosaicamente di più le bombe d’acqua che ci piovono sempre più spesso giù dal cielo. Ma probabilmente, a questi e ad altri fenomeni naturali non dovremo far altro che abituarci e conviverci.
IL MERAVIGLIOSO SENSO DELLA FAMIGLIA
Questi 5-6 giorni che ho trascorso tra Calabria e Sicilia sono stati formidabili dal punto di vista turistico e, soprattutto, umano. Ogni anno, da decenni (da quando se ne sono partiti per il fenomeno chiamato emigrazione), nella zona delle Serre, nel Vibonese, una “giungla” ricca di vegetazione a quota 700 metri, di non facile accessibilita’, la famiglia di mia moglie si ritrova per un rendez-vous familiare meraviglioso, all’insegna dei ricordi e della nostalgia di quando si era più giovani, con un commovente attaccamento alla propria terra. Quest’anno, per una particolare celebrazione familiare, i “quasi” 100 anni di zia Immacolata, ci siamo ritrovati (mi ci metto in mezzo pure io!) in oltre 100 parenti, 30 dei quali provenienti dagli Stati Uniti, 5 dall’Australia, altri dalla Germania, da svariate zone d’Italia o, semplicemente, da contrada Ariola, comune di Gerocarne, provincia di Vibo Valentia, un tempo provincia di Catanzaro.
Tutti legati da…legami indissolubili di sangue con la Calabria.
Tutto per questo meraviglioso senso della famiglia. Una eccellenza “Made in Sud” che dovremmo esportare ovunque.
Non so se e quando si ripetera’ un evento cosi grandioso e forse irripetibile: ma io ho fatto benissimo a partecipare.
Me lo porterò per sempre nel cuore.
ACCONCIATURE…DA GUERRA
Ci sarebbe veramente poco da ridere, visti i venti di guerra che stanno soffiando tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti (ma potremmo dire: il Resto del Mondo). Per sdrammatizzare, ma non è facile, proviamo a fare cosi: già i capelli dei due leader (l’americano Donald Trump e il coreano Kim Jong-un) sono terribili per conto loro, nemmeno vogliamo immaginare cosa potrebbe accadere (nella realtà, ai soldati e ai civili) in caso di conflitto. Limitiamoci, perciò, a dire: queste qui sono proprio acconciature…da guerra! Prima cambiate registro, cari Trump e Kim, e fate la pace. Poi cambiate barbiere….
FANTOZZI? LA MASCHERA TRAGICA DELL’ITALIANO MEDIO
Antipatie o simpatie personali a parte, Paolo Villaggio è stato uno degli attori più amati del cinema italiano, almeno da oltre quarant’anni a questa parte, quando (nel 1975) uscì il suo primo film, Fantozzi, diretto – peraltro – da un grande Luciano Salce. Fu un successo incredibile, sulla scorta del successo dei suoi libri dedicati all’umile ragioniere e alla sua sgangherata combriccola d’ufficio e grazie anche alla sua popolarità televisiva di quegli anni, di cui io stesso ho memoria in certi sabati sera da bambino. Ma Fantozzi fu un trionfo al di là di ogni previsione. Nei suoi dieci episodi (i primi tre sono fantastici, gli altri un po’ meno), Paolo Villaggio ha fatto ridere, ha inventato neologismi, ha lanciato personaggi imprescindibili (la signora Pina, Filini, la signorina Silvani, la figlia Mariangela), ha fatto amaramente riflettere e ci ha fatti specchiare: come se dentro di noi, in ognuno di noi, ci fosse nascosto un pezzo di Fantozzi, con nuvoletta “fantozziana” incorporata.
Modestamente, mi ritengo un cultore di Fantozzi e, in generale, di Paolo Villaggio. Ho letto i suoi libri (ora ripubblicati, con discutibile tempismo, in una trilogia da…antologia), lo guardo e lo riguardo sempre volentieri, anche in film che non sono esattamente dei capolavori: da “Rimini Rimini” a “Fracchia la Belva Umana”, dalle “Comiche” a “Scuola di Ladri”, fino a “Ho vinto la Lotteria di Capodanno”, al bel “Io Speriamo me la cavo” e nella sua intensa interpretazione ne “La Voce della Luna”, l’ultimo film di Fellini. Per un certo periodo ho pensato che se Paolo Villaggio fosse stato americano e si chiamasse Paul Village, forse sarebbe stato osannato in tutto il mondo come un genio della comicità, quasi un Woody Allen. Poi mi sono reso conto Villaggio è troppo italiano per doverlo condividere con altri. E a lui, francamente, penso fregasse poco della sua popolarità.
LA GRANDE BELLEZZA O LA GRANDE BRUTTEZZA?
Qualche sera fa, in tv, ho intravisto un documentario dal titolo “La Grande Bruttezza” e ho subito intuito, dalle prime immagini, che si trattava di un filmato sulle condizioni di Roma, la nostra capitale. Il titolo, inevitabilmente – e anche senza troppa originalità – faceva il verso al film “La Grande Bellezza”, con il quale il regista Paolo Sorrentino, tratteggiando una dolce vita più moderna che però non c’è già più, ha vinto il premio Oscar. Il docu-film ha messo in risalto – con interviste a persone esperte di vari settori e che hanno pure lavorato al servizio del Comune – i tanti, mille problemi che angustiano Roma, con qualche riferimento di troppo (a parer mio) all’attuale recente gestione politica in Campidoglio, sede dell’Amministrazione Comunale. I problemi? La sporcizia. Le buche nelle strade. Il traffico caotico. La corruzione. Mafia Capitale. Le polemiche sui falsi centurioni romani. L’acqua razionata. E via discorrendo. Problemi enormi ed altri più piccoli, ma pur sempre problemi. Cose vere, intendiamoci: non inventate. Ma è perfino troppo facile sparare su Roma, sui suoi sindaci (di tutti i colori) che si sono succeduti negli ultimi venti e passa anni, sul “sistema-Roma”, marcio e corrotto. Di Roma, si può dire tutto il peggio possibile: sembra quasi permesso, quasi obbligatorio, come uno sport nazionale. Come le Fiat che fanno schifo, come Trenitalia sempre in ritardo, come Alitalia sempre in bolletta. Parlare male di Roma, insomma, non fa nemmeno più notizia. Ed è forse per questo che il documentario “La Grande Bruttezza” l’ho trovato piuttosto scontato e prevedibile. Soprattutto per me che, giusto qualche giorno prima, sono stato a Roma per una breve vacanza in compagnia di mia moglie, che a 40 anni non l’aveva mai visitata. Ma si può? E allora abbiamo rimediato.
Facendo – pur nella mia modestissima conoscenza della città – da Cicerone, devo ammettere che ci siano trovati molto bene, scoprendo (e riscoprendo, nel mio caso) una città più pulita del previsto, più organizzata del previsto, meglio servita del previsto, con mezzi pubblici efficienti e puntuali (anche fino al mare di Ostia). Saremo stati semplicemente fortunati? Tutto merito dei nostri “percorsi da turisti”? Forse entrambe le cose. In realtà, abbiamo usato la metro, gli autobus, i nostri…piedi e siamo stati soprattutto in centro e nelle zone limitrofe. E lì mi è piaciuto. Non solo passeggiare al tramonto tra Piazza Venezia, i Fori Imperiali e arrivare al Colosseo o godendoci uno strepitoso piatto di cacio e pepe di fianco alla Fontana di Trevi, ma “vivendo” anche le vie meno conosciute, ma più vive e reali, della città. A noi Roma è piaciuta. Molto. “La Grande Bellezza”, davvero. Sicuramente si può fare meglio nella gestione amministrativa della città, io non sono nessuno per poter dire come si fa e dove si deve intervenire e da dove cominciare, immagino soprattutto a partire dalla periferia, dalle periferie, degradate, di cui tanto si parla. Ecco, se qualcuno mi invita e mi fa lui stesso da Cicerone, mi riprometto – la prossima volta – di visitare anche la periferia, le periferie romane. Avrò sicuramente più materiale per risolvere questo dilemma su Roma: Grande Bellezza o Grande Bruttezza?
Io tifo per la prima.
TEMPI DURI PER LE EX MOGLI
Piccola rivincita maschile, soprattutto degli ex mariti, grazie alla sentenza 11504 della Corte di Cassazione datata 10 maggio 2017: pronunciandosi sul caso di un divorzio “eccellente”, quello tra l’ex ministro delle finanze (governo Monti) Vittorio Grilli e la moglie Lisa Lowenstein, di professione imprenditrice, i giudici hanno respinto il ricorso della donna, con il quale reclamava l’assegno di divorzio già negatole nel 2014 dalla Corte d’Appello di Milano, che aveva ritenuto incompleta la documentazione e, soprattutto, valutato che il marito, dopo la fine del matrimonio, aveva subito una considerazione “contrazione” dei redditi. Pronunciandosi su questo caso, la Cassazione spiega con un apposita nota il significato della sentenza: “La prima sezione civile – si legge – ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede”. La Corte ha ritenuto, quindi, che il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio non sia più un orientamento “attuale” con la sentenza di divorzio e che il rapporto matrimoniale si estingua non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale. “La fine di un incubo”, ha dichiarato Grilli, “Una sconfitta per tutte le donne”, ha commentato la ex moglie.
Un’autentica rivoluzione del diritto di famiglia. Un terremoto giurisprudenziale. Non hanno esitato a definirlo così i più famosi avvocati matrimonialisti (e divorzisti) d’Italia, tra cui Gian Marco Gassani, presidente dell’associazione dei legali che si occupano delle pratiche di divorzio e dei sempre più frequenti contratti pre-matrimoniali. In Italia, dunque, sono arrivati i tempi duri per le ex mogli. Soprattutto le ex moglie di personaggi celebri e facoltosi. Fece scalpore, nel 2014, la pratica di divorzio del calciatore Andrea Pirlo, costretto a versare 55 mila euro al mese alla ex moglie Deborah, cosi suddivisi: 40 mila euro per la signora, 15 mila per il mantenimento dei due figli della ex coppia. Certo, il calciatore se lo poteva permettere, ma la cifra di 660 mila euro all’anno rimane comunque un bel gruzzolo. Quasi un trattamento di fine rapporto, verrebbe da dire. Con le novità introdotte dalla Cassazione, tuttavia, quel assegno di mantenimento – improntato in modo evidente a conservare lo stesso tenore di vita di prima – sarebbe stato decisamente più magro. Ci ha provato un altro personaggio, ancora più famoso, a sborsare meno, ma a Silvio Berlusconi non è andata bene: la Cassazione, confermando una interpretazione non semplicissima delle norme, ha ribadito che Berlusconi è uno degli uomini più ricchi del mondo ed è rilevante la disparità dei suoi redditi rispetto a quelli della moglie Veronica Lario. Detto, fatto: il Cavaliere dovrà continuare a pagare due milioni di euro al mese (24 milioni all’anno!) alla ex signora Berlusconi.
Dove sta la fregatura? Tenore di vita si o tenore di vita no? Probabilmente dipende dalla differenza giuridica tra divorzio e separazione: i giudici rilevano che la separazione non elide la permanenza del vincolo coniugale e quindi l’ex coniuge più facoltoso – diversamente dal divorzio – ha ancora il dovere di garantire al partner separato lo stesso tenore di vita del matrimonio.
Tenore di vita si, tenore di vita no, divorzio si, separazione no. Non è facile districarsi tra questi cavilli giuridici. Se vi capita – anche se non siete calciatori, imprenditori o politici e le cifre non saranno così astronomiche – vi servirà un avvocato divorzista di quelli buoni. Sicuro.
Ma, giusto per avere un termine di paragone, vediamo quello che prevede la legislazione in Germania. Oltre all’obbligo di mantenimento dei figli, in caso di divorzio vi è l’obbligo di mantenimento alimentare di uno dei due coniugi in diverse circostanze: se non può lavorare perchè si occupa di un figlio, se è affetto da malattia al momento del divorzio, se a causa dell’età non può più lavorare, se frequenta un corso di formazione e riqualificazione professionale che assicuri un sostentamento duraturo, fino a quando non trovi una occupazione adeguata, se il reddito derivante da questa occupazione risulti comunque insufficiente per i costi di sostentamento. Insomma: i tedeschi si confermano tali, con una visione molto realistica e concreta anche del divorzio e dei suoi “effetti collaterali”.
Senza ironia, in effetti, non possiamo però che consigliare a certe mogli italiane – non tutte, per carità – di pianificare un piano B, qualora le cose non andassero per il verso (e per il portafoglio) giusto.