Storia ed…eutanasia di una legge. Ma nel resto del mondo…

 In Italia eutanasia e suicidio assistito sono illegali. Il 21 dicembre 2012 viene depositata in Cassazione una proposta di legge dal partito radicale. La prima firmataria fu Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni. Viene poi avviata la campagna «Eutanasia Legale» che raccoglie – e deposita in Parlamento – 67 mila firme. «Il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia» scrive nel 2014 l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio all’Associazione Luca Coscioni. I sostenitori arrivano da ogni settore: Vasco Rossi, Margherita Hack, Roberto Saviano, Rocco Papaleo, Umberto Veronesi, Platinette, Selvaggia Lucarelli, tra gli altri. Il 3 marzo 2016 inizia la discussione sulla proposta di legge nelle Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali. A settembre, sono più di 100 mila i cittadini che hanno firmato la petizione

L’eutanasia è stata legalizzata in Belgio nel settembre del 2002 ed è uno dei pochi Paesi in cui la pratica è consentita. Ma è anche l’unico – al mondo – dove si è deciso di estenderla anche ai minorenni. La legge arriva il 13 febbraio del 2014. I genitori devono fare richiesta al medico curante, il quale sottopone il caso al Dipartimento di controllo federale e valutazione dell’eutanasia, responsabile di dare il consenso a procedere dopo avere (anche) esaminato lo stato mentale del paziente. Necessario inoltre il suo consenso, dopo quello dei genitori. Il primo caso arriva due anni dopo l’entrata in vigore della legge: la notizia viene riportata dal giornale fiammingo Het Nieuwsblad. Nessun dettaglio su chi sia il minore che ha scelto la morte assistita. Né dal capo del Dipartimento, Wim Distelmans, che ha specificato che si tratta di un caso eccezionale: «Fortunatamente ci sono pochissimi casi di bambini che ci vengono sottoposti, ma questo non significa che dobbiamo rifiutare loro il diritto a una morte dignitosa».

L’Olanda è stata il primo Paese a legalizzare l’eutanasia, nell’aprile del 2001. Anche qui è possibile applicare la pratica della morte assistita sui minori ma c’è un limite d’età. Il paziente deve avere almeno 12 anni. Accettata anche per i neonati. Nel giugno 2015 l’associazione dei pediatri olandesi ha chiesto di rimuovere la soglia anagrafica, ma ancora la legge non è stata modificata.

Il Lussemburgo è il terzo – e ultimo – Paese europeo in cui l’eutanasia è legale. La legge entra in vigore nel marzo del 2009. Prevede che non venga sanzionato penalmente e non possa dar luogo ad un’azione civile per danni «il fatto che un medico risponda ad una richiesta di eutanasia».

Altri Paesi europei accettano il cosiddetto «suicidio assistito» o l’eutanasia «passiva». Il primo caso prevede che sia il malato ad agire concretamente per togliersi la vita, ma con l’assistenza di un medico. Mentre con il secondo termine si intende l’interruzione delle cure. Ammesse in Spagna, in Svizzera – se prestato senza motivi egoistici e garantito anche per i cittadini stranieri – e Germania. Qui nel 2015 arriva il voto del Parlamento, a patto che non ci sia uno «scambio commerciale». Non c’è nessuna legge a regolamentare l’eutanasia attiva, ma è accettata se c’è la chiara volontà del paziente. In Svezia arriva il via libera nell’aprile del 2010. In Francia c’è una parziale accettazione, con l’autorizzazione di due medici, mentre in Gran Bretagna è autorizzato solo in casi estremi.

La Colombia è l’unico Paese – oltre a Olanda, Belgio e Lussemburgo – ad aver legalizzato l’eutanasia. Il primo caso a luglio del 2015: un uomo di 79 anni con un cancro terminale chiede di poter mettere fine alla sua vita. Da qui, il dibattito e la decisione del ministero della Salute. Fondamentale è la volontà del paziente, e quindi la sanità mentale perché sia in grado di decidere con lucidità.

Il Partito Radicale deposita alla Camera le firme per l'eutanasia legale

FAR WEST VIRTUALE: SERVE UNA REGOLAMENTAZIONE SU DIFFAMAZIONE E PRIVACY

Non si può più andare avanti cosi: non si può più fare a meno di una regolamentazione del “Far West” virtuale dei social network. Lo impongono ormai i dati-monstre delle piattaforme più famose: ogni secondo su Facebook vengono pubblicati 50mila post, mentre su Twitter sono oltre 300mila i tweet e su YouTube vengono caricare oltre 85 ore di video! In mezzo a questo “mare magnum” ci sta di tutto, anche il peggio: dagli insulti ai politici di turno, fino agli sberleffi e al cyberbullismo, di cui può essere vittima un adolescente, ma anche una donna di 31 anni, come la povera Tiziana Cantone, travolta dalla vergogna di un suo video hard fatto circolare per tutta la Rete. Come si può porre un freno a tutto questo? I politici, da tempo, richiedono una regolamentazione che parifichi la diffamazione via web al reato di diffamazione a mezzo stampa, che può costare, al diffamatore, una querela e un processo sia civile e penale. Sui giornali e in tv non si possono offendere la Boldrini o Renzi (in testa alla classifica dei politici più insultati d’Italia) e, perciò, non dovrebbe essere possibile farlo nemmeno sul web. E su questo punto si trovano d’accordo anche altri personaggi pubblici, più o meno famosi, che siano cantanti (Gigi D’Alessio è, da sempre, uno di quelli più nel mirino), calciatori o attori. Non si possono insultare gratuitamente. Punto e basta. E su questo sono d’accordo. Del resto, siamo in un’epoca talmente tecnologica che i “leoni da tastiera” dall’insulto facile diventano poi, improvvisamente, i più servili tra quelli che si tolgono il cappello al potente di passaggio. Conta proprio il passaggio: dal virtuale al reale. E le cose cambiano parecchio. Ma al di là dell’onorabilità di certi personaggi, nel sottobosco insidioso di Internet c’è tutta una popolazione adolescenziale perenne connessa: e dopo i recenti fatti di cronaca e di bullismo telematico, che hanno portato addirittura a non sporadici suicidi di ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni, si comincia finalmente a parlare di limiti, barriere e sbarramenti al favoloso “world wide web”. Secondo esimi giuristi, è arrivato il momento di regolamentare la possibilità di accesso dei ragazzi ai social media: un limite di almeno 14 anni per essere membri e per postare foto e notizie. Oltre ad una maggiore attenzione da parte delle famiglie, troppo spesso distratte dalla “vita virtuale” dei loro figli. In realtà, le norme per tutelare bambini e adolescenti ci sono già: prevedono l’iscrizione alle piattaforme social solo ad una determinata età: Facebook, ad esempio, in molti paesi – Italia compresa – ha previsto un limite minimo di 13 anni, anche se poi l’Unione Europea l’ha alzata a 16, stabilendo che a decidere debbono essere i singoli paesi. In ogni caso, falsificare l’età è facilissimo: un po’ come per i distributori automatici di sigarette, vietati a minorenni. Ma poi basta inserire la tessere sanitaria di un amico maggiorenne e il gioco è fatto… Servono maggiori controlli, ma anche una nuova educazione civile, che deve necessariamente partire dai giovani, che diventeranno poi gli adulti di domani, per evitare di finire in “trappole mediatiche” come è accaduto alla povera Tiziana Cantone.
in attesa di leggi che vadano a riempire questi vuoti normativi, una novità importante sulla giustizia dei contenuti on-line scatterà dal 25 maggio 2018 e risolverà i problemi della extraterritorialità: in precedenza i colossi del web non riconoscevano le leggi italiane, ma quelle del paese in cui avevano sede. Ma l’Unione Europea ha stabilito che sulla privacy sia dominante la normativa vigente nel luogo di destinazione del servizio e non dove ha sede il gestore. Una conquista importante. Ma chissà se basterà.

INTER

Una pacata opinione sul linciaggio della Raggi……

di Luca Bottura

Non fosse grottesca, la caduta dal pero di Virginia Raggi sull’attenzione dei reporter sarebbe paradigmatica*. Simboleggerebbe perfettamente, cioè, la doppia morale grillina per cui tu puoi permetterti di mandare a fare in culo per quasi un decennio chiunque non la pensi come te, utilizzando – nel nome di una investitura divina – qualunque tipo di agguato semantico, forzatura, invenzione, complotto. Senza chiedere scusa mai. Puoi abusare delle credulità popolare indicando obiettivi da sottoporre alla lapidazione in ogni luogo e in ogni blog. Puoi alludere alle prestazioni erotiche della Boldrini, dare della vecchia puttana alla Montalcini, sguinzagliare Iene di partito contro gli avversari politici. Ma quanto tocca a te, è linciaggio. O massacro. (cit. Fatto Quotidiano).

Il guaio è che la Raggi è, forse, in buonafede. La Casaleggio and partners ha separato da tempo le azioni personali dalla responsabilità delle medesime. Ergo, ella ritiene che le debba essere risparmiato non solo ciò che il suo partito riserva quotidianamente agli altri – e in questo ha ragione, caspita se ha ragione: i toni andrebbero riscritti in toto – ma anche una qualunque forma critica, qualunque indagine giornalistica, qualunque attenzione informativa o persino satirica mediata da un’azione altrui. Potere di otto anni in cui, fingendo di voler proteggere la libertà di stampa citando classifiche ad minchiam, si è intimidito non solo il singolo giornalista ma la categoria in generale, delegittimando anche chi fa il proprio lavoro onestamente. Un lavoro nel quale è compreso andare a cercare dove stia il sindaco quando è scomparso da due giorni nel mezzo di una bufera fatta di assessori nominati con le estrazioni del bingo, avvisi di garanzia, balle spaziali, fughe da programmi televisivi – cui una volta si giurava di non voler partecipare – frequentazioni si spera incidentali coi peggiori poteri marci delle precedenti gestioni destrorse.

In questo mondo nel quale tutti hanno un prezzo, i cronisti sono creature eterodirette per mere ragioni di bottega. Sempre. Esiste un universo binario per cui ogni nota stonata rispetto alle balbuzie di una classe dirigente bugiarda (Di Maio), mitomane (Sibilia), rissosa e paracula (Taverna, Lombardi, Di Battista) serve a difendere Renzi e il partito democratico. Perché tutti teniamo famiglia. Anche io che di Renzi dico peste e corna ogni giorno col pretesto che di editori ne ho parecchi e quando posso mi edito da solo. E non ho il problema di dover guadagnare col mio blog. Quindi posso permettermelo. E se anche non posso, me ne fotto. Lo faccio lo stesso.

Ora, Virginia, dico davvero: ma l’ho firmato io o tu il pezzo di carta per cui se defletti dalla linea di un’azienda milanese paghi 150.000 euro sull’unghia? Chi è lo schiavo? Quello che fotografa incidentalmente tuo figlio, lo stesso che ti portavi sui banchi del Campidoglio quando ancora pensavi di stare nei meetup a far festa, o un sindaco che viene tenuto per la collottola intellettuale ed economica da un esagitato che vi abusa ad uso esclusivo della sua gloria, allo scopo di ottenere il pubblico plaudente per cui ogni guitto, anche il più talentuoso, venderebbe un rene?

La traduco: non siete legittimati. Non potete fare la morale a nessuno. Non siete voi che spegnete o accendete i riflettori, perché questa balla della disintermediazione per cui i giornalisti sono inutili birilli, e la sola informazione vera la fa direttamente un partito/azienda, è una cosa scurrile e pericolosa. Roba che quando avrete il potere vero, cioè tra poco, perché incarnate perfettamente l’Italia che chiagne e fotte, potrebbe diventare molto velocemente un’emergenza democratica.

Quindi adesso fa’ il favore, Virginia, di metterti il telefonino in tasca e di non riprendere chi fa il suo lavoro, lo stesso di gente che Grillo additava al pubblico ludibrio e cacciava dai comizi solo perché lavorava per la Rai. Lavoratori, gente normale, trattate peggio degli escrementi di cane. In modo classista, se capisci cosa intendo.

Perché è quello il problema: state al Governo e ancora fate i flimini, credete ancora di poter rispondere con tecniche acchiappaclic a gente che fa un altro mestiere. Un mestiere vero. Spesso nobile. Certo: ci sono giornalisti corrotti, incapaci, semplicemente acquiescenti. Ma la stampa: 1) rappresenta il Paese, proprio come gli elettori e i politici che dagli elettori vengono scelti. Quindi è fisiologicamente piena anche di brutta gente. 2)  In generale è un contropotere. E va preservato. Perché il giorno in cui l’avrete rasa al suolo, quando ti ritroverai come i Pizzarotti, le Mucci, gli Andraghetti, in mezzo a una gragnuola di cortigiani inferociti, con la bile caricata a pallettoni dalla famosa rete, non ci sarà più nessuno a difenderti dagli ordini di scuderia del Movimento.

Questo, se non un minimo di sensibilità civile, dovrebbe bastare a farti smettere con la pantomima.

Governa, se sei capace. Sei arrivata a gestire una città dove si sapeva con almeno sei mesi di anticipo che avreste stravinto. E non avevi la più pallida idea della squadra con cui avresti governato. E la Muraro dice di averti conosciuta a metà giugno, e chissà chi te l’ha indicata. Magari lo stesso che ti ha fatto il nome dell’assessore al bilancio per 15’. Altro che due fotocopie nello Studio Previti.

Al momento la giunta Raggi 1 è un Alemanno bis. E siccome tra chi ti ha votata c’è anche gente in buonafede, molta, che davvero sperava di cambiare, sarà meglio cominciare a darle qualcosa che non siano rottami di chi piazzava la pattuglia acrobatica dei suoi cognati all’Atac. Perché se avessero voluto il vecchio clientelismo o gli amichetti di mafia capitale si tenevano il Pd che ha azzoppato Marino. Col vostro decisivo contributo.

Altro che paparazzi. Altro che gossip. Altro che complotto. Smettetela di avvelenare i pozzi. E cominciate a lavorare per Roma. Perché se alla guida del Paese ci arrivate così, rischiate di raderlo al suolo. Grazie all’unico tratto che un tempo avreste avuto in comune con le Olimpiadi: il dilettantismo.

Buona fortuna. Dico davvero.

Ciao.

COMUNE, RAGGI COMMOSSA SI AFFACCIA DA BALCONE SINDACO - FOTO 1

SE LA SATIRA NON ABITA PIU’ QUI, ABOLIAMOLA.

Sono passati alcuni giorni, ma la vergogna delle vignette di Charlie Hebdo sul terremoto in Centro Italia è ancora forte. Sono stati milioni gli italiani che, sui social network, si sono sentiti “feriti” da quei disegni di cattivissimo gusto, fatti da un giornale che – dopo quelli che gli è accaduto nel gennaio del 2015 – avrebbe dovuto già capire da un pezzo che non è più il caso di scherzare con i morti. I propri e quelli degli altri.
Un’ondata di indignazione ha attraversato tutto il paese, facendoci dimenticare che noi eravamo gli stessi che mettevamo la foto con la scritta “Je Suis Charlie” sui nostri profili ‘social’. Ma se allora farlo aveva ragione e senso, stavolta quasi tutti abbiamo gettato alle ortiche il presunto sacrosanto diritto alla satira. Anch’io mi sono indignato di fronte allo stupido gioco di parole della prima vignetta, dedicato alla pasta italiana, culminato con le “lasagne” rappresentata dai palazzi crollati “farciti” dai cittadini di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, morti sotto le macerie. 295 vittime. Una vignetta vomitevole. E dopo le reazioni veementi sui social network italiani, i geni malefici di Charlie Hebdo cosa pensano (male) di fare? Un’altra vignetta, in cui si difendono dagli attacci ricevuti, scrivendo: “Italiani, non è Charlie Hebdo che ha costruito le vostre case, ma la mafia”. Senza parole. Eppure dovrebbero sapere, gli amici del giornale satirico parigino, che non è il caso di scherzare troppo: da noi italiani si sono presi solo degli insulti via etere, da altri si sono presi pure delle pallottole. E qualcuno, maligno, scrisse che se l’erano pure cercate. Frase altrettanto orrida, al pari delle suddette vignette. Lo stesso “Libero”, sempre provocatoriamente oltre le righe, ha addirittura scritto che “anche a noi viene voglia di sparargli”, a quelli di Charlie. No, non condividiamo. Assolutamente no. Ma un freno a questa satira che non fa nè ridere nè riflettere bisogna darlo.
Qualche “buonista” della primissima ora ci ha rinfrescato la memoria: “ma non eravate voi che ve la prendevate con i musulmani solo perchè sono permalosi e non vogliono che Maometto venga disegnato come un maiale? La satira va bene per i musulmani, ma non per noi italiani? Satira con due pesi e due misure?” Non so dare torto nemmeno a loro. Dopotutto hanno ragione. Eccome. Guai a toccarci da vicino, noi. Ma questa, di Charlie Hebdo, è solo immondizia spacciata per satira. Io ho nostalgia di Forattini, certo che si. Al massimo si beccava una denuncia da Spadolini disegnato nudo o una querela da D’Alema Baffone. Ma almeno, con un semplice tratto di matita, faceva ridere. E non cercava di farlo sulla pelle dei morti. E poichè la satira non abita più qui, allora sapete cosa possiamo fare? Abolirla.

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FERTILITY COSA??? LA LETTERA DI UNA DONNA CHE VORREBBE DIVENTARE MAMMA, MA….

Caro Ministro Lorenzin,
Sono una neo mamma 31enne che ha deciso di fare un figlio per pura incoscienza.
Perché bisogna essere incoscienti per fare un figlio oggi, nell’Italia che voi state governando.
Ho finito il liceo e preso una laurea per avere più possibilità. Non ne ho avute.
Allora ho fatto un master per distinguermi da quei millemila studenti con i quali condividevo il titolo di studio. Non è cambiato granché.
Ho compiuto i 26 anni che avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage, perché gli stage temprano, fanno imparare, sono una possibilità. Così ci dite. Dite pure che siamo choosy, viziati, che viviamo a casa con mamma e papà perché sogniamo una casa con piscina alla Melrose Place.
Un cazzo, caro Ministro.
A 26 anni dicevamo, avevo all’attivo una laurea, un master e 3 stage. Non pagati. Dove facevo fotocopie e poco altro e dove tutti e 3 i datori di lavoro durante il primo colloquio mi avevano informata che tanto non mi avrebbero mai assunto perché l’azienda non aveva fondi. Bella risorsa che ero. E pazienza. Meglio che stare a casa a infornare biscotti, mi dicevo.
L’anno dopo presi un altro master. Per differenziarmi ancora un po’.
Mi differenziai talmente tanto che mi sentii dire che ero troppo qualificata, che servivano dei tuttofare disposti a svolgere tutte le mansioni più una, come le caramelle di Harry Potter. Fantascienza, non c’è che dire.
Allora puntai sulle agenzie. Feci altri due stage, questa volta pagati. 500 euro al mese e che dio mi benedica.
A 29 anni mandai 89 curricula in tutta la mia regione. E no egregio Ministro. Non vivo in Sicilia dove non c’è lavoro. Vivo nel florido Veneto.
Poi finalmente le cose cambiarono.
A 31 anni (Alleluia Alleluia)con un lavoro che amo ho potuto fare un figlio.
Sono fortunata, lo so. Fortunata per essere in Italia perché all’estero alla mia età e con il mio percorso formativo sarei già stata promossa a manager, ma che ci voglio fare, non vorrò mica essere choosy, vero?
In Italia a 30 anni trovi – forse – il primo lavoro pagato decentemente.
Avrá intuito il succo del discorso: la mia generazione non fa figli perché non se li può permettere.
Perché voi avete creato un sistema in cui si è indipendenti economicamente tardissimo.
Perché c’è poco lavoro e quel poco è sottopagato.
Perché il vostro sistema scolastico è arretrato, il programma di storia delle superiori arriva sempre e solo fino alla seconda guerra mondiale. Se si vuole avere una cultura decente occorre farsela da soli.
Perché un asilo nido costa una follia e se non si hanno nonni disposti a giocare ai genitori occorre chiedere un part Time in ufficio. Il che significa guadagnare 600 euro al mese e spenderne 450 per il suddetto asilo. O accontentarsi dell’insulto del 30% del proprio stipendio (circa 400 euro al mese) per usufruire della maternità facoltativa, tenendosi il pupo a casa con sé e in barba la socializzazione precoce.
Facciamo carriera in tempi biblici e se ci impegniamo per cercare fortuna fuori dai confini nazionali vi permettete pure di mettere il broncio.
Siamo la generazione che guadagna 1200 euro al mese nonostante abbia investito anni nella propria formazione, ma funziona così quindi o ci va bene o possiamo fare i bagagli. (E sopportare il vostro broncio, cialtroni).
Considerato poi che un affitto per un appartamento medio al nord costa dai 600 ai 1200 euro al mese, più asilo, meno soldi in busta paga, me lo dice dove accipicchia andiamo?
Quindi caro Ministro no. Non siamo pigri. Non siamo Erode che odiamo i bambini.
Noi non possiamo fare bambini, che è molto diverso.
E di certo bisogna essere incoscienti per farli, perché se stiamo qui a pensare a quello che il governo ci garantisce, sarebbe meglio prendersi un pesce rosso e tanti saluti (poi mi spiegherà come mai i papà abbiano 48 ore di congedo parentale quando nasce un figlio, e vi sbattete pure a dire quanto i padri siano fondamentali nei primi mesi di vita dell’infante, ma vaffanculo).
Poi esimio Ministro nel caso non lo sapesse, per procreare occorre un compagno. Che magari non sia un demente perché se poi la prole viene su male è colpa dei genitori, e che magari non sia disoccupato, o pensa che i neonati si vestano d’amore e i bambini si nutrano di speranze? Considerato che il 42% dei giovani non ha un impiego, azzardo che il 20% di loro sia di sesso maschile. Quindi ricapitoliamo. Maschio, etero, occupato e con un decente intelletto. Dai, ci arriva anche lei Ministro che sia più facile scovare il Sacro Graal. E se volessi quindi farmi un figlio da sola?
Ah no, in Italia non si può.

E per quanto riguarda la fertilità. No, non è un bene comune. È mia e me la gestisco io. Almeno ci lasci questa illusione.

 

VIGNETTA FERTILITY

GIORNALISTI RAPACI?

In questi giorni frenetici scanditi dal terribile terremoto in Lazio e nelle Marche, in particolare nelle province di Rieti e Ascoli Piceno, oltre che dalle testimonianze di solidarietà e dalle raccolte fondi per le popolazioni colpite, i social network – e i loro leoni da tastiera – hanno sguazzato nel torbido, prendendosela con i cosiddetti “giornalisti rapaci”, quelli cioè che si recano sul posto di una tragedia con l’unico intento di carpire emozioni e lacrime alle sfortunate vittime. In tanto hanno scritto “ma che domanda è: come si sente?”. Non è la domanda più bella del mondo – ma nemmeno la più facile – da fare a chi ha perso tutto, un parente, un amico, la casa. Ma è questo il lavoro del reporter: cosa dovrebbe fare altrimenti? Riportare unicamente la conferenza stampa del premier, le parole di incoraggiamento del capo della Protezione Civile, la tristissima matematica delle vittime che aumentano giorno dopo giorno? Anche questo, ma non solo questo. Dietro, anche ad una tragedia, ci sono storie – anche belle, benchè poche – da raccontare, come quella della bambina di 11 anni salvata dalle macerie dopo quasi 16 ore dalla prima scossa. Oppure, purtroppo, tante storie tristi, ma che vale comunque la pena raccontare. Certo, con garbo. Senza aggressività. Senza morbosità. E non è colpa del moltiplicarsi delle emittenti, italiane o americane (c’è anche la CNN ad Amatrice), perchè la “tv verità”, che piaccia o meno, esisteva anche più di 30 anni fa. Il primo esempio non è, forse, il caso di Alfredino Rampi, il bambino caduto nel pozzo di Vermicino? Non fu il primo caso di “cronaca in diretta”? Ebbene, quella diretta della Rai, affidata a Piero Badaloni, è sempre stata indicata come un eccellente modello di televisione “di servizio”. Forse adesso sono più aggressivi i cronisti dei canali all news? Sono diventati dei rapaci? Non credo: è cambiato il modo di fare informazione, a cominciare dai suddetti social network (certo non esempio di correttezza, troppo spesso…), è cambiato il modo di percepirla. E non dimenticate che, a volte, sono le stesse vittime di una tragedia immane come quella di questi giorni ad aver voglia di raccontare, di sfogarsi, di piangere, anche di fronte al microfono di un estraneo giornalista. Perchè no? Sarà peggio, molto peggio, quando si spegneranno i riflettori: con la paura nera di essere rimasti soli, abbandonati. Ne ho esperienza diretta, con gli amici e conterranei dell’Emilia, che hanno subito un sisma, nel 2012, decisamente meno devastante di quello di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto. A volte, anche un microfono, una telecamera, un taccuino, una macchina fotografica, possono fare compagnia e dare conforto. Per cui, almeno stavolta, pur tra i mille difetti della categoria, non date la colpa ai giornalisti rapaci. Date, piuttosto, la colpa al maledetto terremoto, che ancora una volta, in Italia, ha seminato morte e distruzione.

ra

E l’Italia torna regina delle vacanze

Per tutta l’estate, baciata in fronte da un sole strepitoso (ma non tremendo come l’anno scorso), i telegiornali italiani ci hanno bombardato di ottimismo turistico: tra maggio e agosto 2016, l’Italia è stata letteralmente “invasa” di turisti, con percentuali in rialzo già dall’inizio della stagione estiva. Da un lato, è il segnale di una seppur lenta ripresa economica, evidenziata soprattutto dal maggior movimento di turismo interno (+10%, secondo i dati post-Ferragosto), vale a dire che gli italiani che hanno scelto località turistiche del Bel Paese per trascorrervi un periodo di vacanza (anche se in molti casi, si tratta di famiglie intere che dal Nord Italia tornano nei luoghi d’origine al Sud). Dall’altro lato, è sacrosanto segnalare il fatto che l’afflusso turistico in Italia, almeno per questa estate, è stato favorito dalla situazione internazionale: località un tempo molto ambite come l’Egitto (per il suo Mar Rosso), il Marocco, la Tunisia, la stessa Turchia e persino la Costa Azzurra hanno subito un drastico crollo di presenze italiane ed occidentali, a causa della paura del terrorismo o dell’instabilità politica in quelle zone del mondo, comunque vicine all’Italia. Ecco, quindi, il desiderio e la necessità di restare vicino casa: in Italia o, al massimo, in Spagna e in Grecia. Più di venti milioni di italiani, di fatto, sono rimasti in patria. Detto questo, gli albergatori di casa nostra non possono che essere soddisfatti dell’andamento della stagione estiva, con un agosto da tutto esaurito praticamente ovunque. 
Per quanto riguarda gli addetti ai lavori, il 68% dei tour operator ha ammesso un aumento del proprio traffico di pacchetti turistici venduti per l’Italia, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le mete più gettonate sono sempre le stesse: la Liguria (98% di riempimento nelle province di Genova e La Spezia, qualcosa in meno in provincia di Imperia: boom di austriaci e tedeschi, ma soprattutto olandesi), la Puglia (il Salento, in particolare: mare, ma anche borghi come Otranto), la Sicilia, la Toscana e, naturalmente, la Sardegna. L’isola, penalizzata negli ultimi anni da prezzi esorbitanti per i traghetti dalla terra ferma, ha beneficiato quest’anno dei notevoli sconti applicati almeno ai residenti e agli “indigeni” (chi ha origini sarde, pur non vivendoci stabilmente), mentre le tariffe rimangono ancora quasi proibitive per i “forestieri”. La Romagna si conferma un “evergreen”, con un aumento delle presenze del 2,5% in più rispetto all’anno scorso, come fa notare Federalberghi Emilia-Romagna, che tiene conto anche dell’exploit dei campeggi, che sembrano davvero tornati di gran moda. A Ferragosto, Rimini segnalava un 99% delle camere d’albergo occupate. Leggero calo, viceversa, per altre due storiche località, come Cattolica e Riccione. Bene anche il Veneto, con il fiore all’occhiello della sua località più famosa, Jesolo. Sempre un grande boom anche per le città d’arte (Roma, Firenze, Venezia, ma anche Torino, Milano e Napoli), con una clamorosa impennata dell’Umbria, il trionfo per gli amanti del verde e della fotosintesi clorofilliana, ma anche con deliziose cittadine cariche di storia come Gubbio, Spoleto, Todi e Assisi.
Secondo i dati di Federturismo di Confindustria, riportati dal Sole24Ore, la media della presenza degli stranieri sul nostro territorio è stata quest’anno di otto giorni, prevalentemente in albergo, con una spesa media di 800 euro a persona. Traffico molto intenso nelle stazioni ferroviarie, dove 25 milioni di persone hanno viaggiato ad alta velocità con Frecciarossa e Italo, e negli aeroporti, con gli scali milanesi di Linate e Malpensa che hanno ospitato durante i mesi estivi oltre 8 milioni di passeggeri.
Il luogo più visitato in Italia rimane decisamente il Colosseo, con 5 milioni e 625 mila turisti, che ne fanno (insieme al Vaticano, fonte travelandleisure.com) unodei venti luoghi più visitati al mondo, ogni anno. Dopo il Colosseo, in Italia, i posti più visitati sono le rovine di Pompei e il museo degli Uffizi a Firenze. Non solo mare, quindi. L’Italia è bella in ogni stagione. A patto di conservarla bella. 

otranto

Leoni da tastiera….

 ….per rispetto ad alcuni amici e per l’argomento delicato, ho tolto il post da Facebook (ma lo lascio qui) con la foto dei disabili che esultano alzandosi dalle sedie a rotelle alle Olimpiadi. Non era certo mia intenzione offendere nessuno, soprattutto chi soffre veramente di problemi seri, ma solo ironizzare sui tanti “falsi invalidi” che circolano per il nostro pianeta, non solo in Italia. 
Detto questo, comunque non si può davvero più scrivere niente, che tutti si impermalosiscono, pensando che qualunque cosa sia riferita a loro. Si sbagliano! E comunque qui funziona cosi: tutti ad insultare i politici, poi – quando ne passa uno – tutti a togliersi il cappello. E’ proprio vero: leoni da tastiera.

 

disabili