Ciao, Silvio!

Imprenditoria, televisione, Milan, politica.
Può piacere o non piacere, ma Silvio Berlusconi è stato quello che tutti vorremmo essere stati: “Un uomo di successo”.
(P.s. Il selfie è palesemente finto, ma lui si sarebbe fatto una risata)…

Una piccola offerta per l’Emilia-Romagna: una goccia nell’Oceano

OFFERTA PER L’EMILIA-ROMAGNA
Oggi ho fatto un piccolo bonifico da parte della nostra compagnia teatrale “I Teatroci” a favore della Protezione Civile dell’Emilia-Romagna, per aiutare la popolazione colpita dalle recenti alluvioni. Abbiamo donato una parte dell’incasso dello spettacolo della scorsa settimana al Q77 di Torino, aggiungendovi alcune offerte private fatte da diversi spettatori a fine serata.
Una piccola offerta, una goccia nell’Oceano, ma qualcosa lo abbiamo fatto anche noi.

Non esattamente una botta di allegria, ma fa riflettere…

Ci avete mai pensato?
Tra 100 anni, per esempio, nel 2123, saremo tutti sepolti con i nostri parenti e amici.
Gli estranei vivranno nelle nostre case, che abbiamo lottato tanto per costruire e possiederanno tutto quello che abbiamo noi oggi.
Tutte le nostre proprietà saranno di sconosciuti, che non sono ancora nati… compresa quell’auto per cui hai speso una fortuna, probabilmente sarà rottamata o nella migliore delle ipotesi sarà nelle mani di un collezionista sconosciuto.
I nostri discendenti, poco o quasi nessuno sapranno chi eravamo, né si ricorderanno di noi. Quanti di noi, conoscono il padre di nostro nonno?
Dopo la nostra morte saremo un ricordo per qualche anno, poi saremo solo un ritratto sulla libreria di qualcuno e qualche anno dopo la nostra storia, le nostre foto, le nostre gesta saranno nel bidone dell’oblio della storia… non saremo nemmeno più ricordi.
Forse, se un giorno ci fermassimo ad analizzare queste domande, capiremmo quanto fosse ignorante e debole il sogno di ottenere tutto…
Se solo potessimo pensarci, sicuramente i nostri approcci, i nostri pensieri cambierebbero, saremmo altre persone…
Avere sempre di più, senza avere tempo per ciò che vale davvero la pena in questa vita …

Io cambierei tutto questo per vivere e godermi quelle passeggiate che non ho mai fatto…. quegli abbracci non dati… quei baci ai figli e ai nostri amori… quegli scherzi che non abbiamo avuto tempo di fare… I viaggi e i momenti da condividere…

Questi sarebbero sicuramente i momenti migliori da ricordare, in fondo ci riempirebbero la vita di gioia….. che sprechiamo, con avidità, prepotenza e intolleranza giorno dopo giorno!
C’è ancora tempo per noi! Pensiamoci!!!
(Anonimo)

“Non c’è pace per il bradipo”: ma voi tiferete per i buoni o per i cattivi?

In contemporanea con il Salone del Libro 2023 di Torino, esce il nuovo libro di Cristiano Tassinari, un giallo scritto a quattro mani con il veterinario-chansonnier Gualtiero Papurello. Il romanzo, dalla copertina in stile “Giallo Mondadori”, si intitola “Non c’è pace per il bradipo“, edito dalla casa editrice “Atene del Canavese“, con la preziosa supervisione dell’agente letteraria Loredana Cella.
Il romanzo dei due novelli “Fruttero e Lucentini” – loro definizione immodesta ma scherzosa – è il naturale seguito di “Pesci Grossi“, pubblicato durante la pandemia in formato cartaceo e e-book (anche su Amazon), e definito “il primo giallo sulla Torino-Lione“, evocando la famosa (e famigerata) linea ferroviaria senza fine, ma anche le due città assai care a Tassinari, ferrarese d’origine, ma torinese di residenza e giornalista free-lance pendolare proprio a Lione.

Se “Pesci Grossi” aveva raccontato la storia di una “eliminazione di massa” dei Grandi della Terra, appunto i “Pesci Grossi” – intesi come leader spietati e disumani, come il presidente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e di altre istituzioni “sanguisuga”, che hanno ispirato tra i lettori una netta divisione tra i buoni e i cattivi – stavolta ci sono “nuovi cattivi” a dare la caccia ai buoni. E chi c’è dietro i cattivi?
Papurello&Tassinari, coppia di…fatto anche a teatro, con il gusto per il colpo di scena, immaginano che il grande “burattinaio” sia il Cattivo per eccellenza di questo periodo. Infatti, il libro – senza voler spoilerare oltre – finisce così: “Vladimir, ti vengo a prendere“…
Un finale thriller, che lascia aperta la storia ad un eventuale terzo capitolo…

 

L’Eurovision, Mengoni e la nuova bandiera arcobaleno

Non solo per la sua bellissima canzone “Due Vite“, ma anche per la sua umanissima emozione e per l’entrata sul palco di Liverpool durante la “flag ceremony” portando con sè la bandiera dell’Italia e la nuova bandiera Lgbtqi.
Marco Mengoni non è passato inosservato alla finalissima dell’Eurovision Song Contest 2023. Non ha vinto, si è classificato quarto (ma avrebbe meritato molto di più, senz’altro di più della canzone vincitrice, “Tattoo”, scopiazzata qua e là dalla svedese di origine marocchina Loreen), ma ha vinto idealmente e colto nel segno grazie alla sua voce, al suo look e alla sua sensibilità. Che, in questa occasione, lo ha portato ad essere un vero “portabandiera” dei diritti Lgbtqi.
Peccato davvero che Marco non abbia vinto: se lo sarebbe meritato.
L’Italia rimane così ferma a quota tre successi nell’Eurovision: Gigliola Cinquetti (1964), Toto Cotugno (1990) e i Måneskin (2021).
Sui social, in molti si sono poi scatenati nel commentare il gesto del 34enne cantante nato in provincia di Viterbo, scambiando persino questa nuova bandiera per quella della Pace (e qualcuno ha scritto “Quelle dell’Ucraina sono finite?”). Ma tutto fa brodo, è tutta pubblicità…si dice così, no?
The show must go on.
E, allora, scopriamola questa nuova bandiera: cinque colori in più, il bianco, il rosa, l’azzurro, il marrone e il nero, posizionati a lato, quasi come un distintivo o, forse, come un promemoria.
È stata disegnata dal graphic designer Daniel Quasar, per rendere la celebre Rainbow Flag ancora più inclusiva.
Le nuove strisce colorate sono dedicate alla comunità di colore, a quella transgender, ai malati di Hiv e a chi è morto per portare avanti la battaglia dei diritti.
Speriamo di vederla sempre più spesso.

Quando andavo al cinema con mio papà…

Tra il 1980 e il 1982, tra i 10 e 12 anni, sono andato al cinema 🎦 🎬 a vedere questi quattro film (1980: “Il bisbetico domato”, 1981: “Innamorato pazzo”, 1982: “Bingo Bongo”, 1982: “Grand Hotel Excelsior”), sempre con Adriano Celentano come protagonista, insieme ad altri attori ed attrici (Ornella Muti, soprattutto).❤️
Erano film carini e simpatici, almeno agli occhi di un bambino di poco più di 10 anni. E, soprattutto, ci sono andato con mio padre, il signor Guido. Solo con lui. Mia mamma, la Teresa, alla domenica pomeriggio preferiva stare in casa e riposare, guardando la tv sul divano.
In quel periodo, io e mio padre siamo andati a vedere anche qualche film di Bud Spencer e Terence Hill, mi ricordo in particolare ”Non c’è due senza quattro” (1984). Sempre un bel po’ di sganassoni…
Poi, l’epoca dei film al cinema con mio padre finì. E, da neo adolescente, cominciai a prendere la corriera con gli amici per andare al cinema con loro, la domenica pomeriggio d’inverno: cominciammo con uno 007 con Roger Moore e Grace Jones, “Bersaglio mobile” (1985); mi ricordo ancora gli amici che erano con me quel giorno…
Poi, tanti anni dopo, sono tornato un’altra volta al cinema con mio padre, a vedere un film di Rambo, ma uno di quelli con Stallone già un po’ vecchio (“John Rambo”, del 2008). Poi, niente più cinema, insieme. E un po’ di manca.
Ci penso sempre quando rivedo in tv uno di quei film, di quei tempi (stasera c’era “Grand Hotel Excelsior”, con Abatantuono che voleva fare la “lievitazione”)…🎈🎈🎈

 

Arriva la “Barbie Down”, la bambola più inclusiva che c’è

Milioni di persone in tutto il mondo affetti da Trisomia 21 (più conosciuta come Sindrome di Down) ora hanno una bambola Barbie con cui identificarsi (anche se, in realtà, i lineamenti del viso sembrano assolutamente normali).
La nuova Barbie è stata appena messa sul mercato dalla Mattel: è l’ultima novità della linea “Fashionistas”, che comprende già diverse versioni di Barbie e Ken, che rappresentano minoranze specifiche.
La bambola è stata sviluppata in associazione con la “National Down Syndrome Society of America” (NDSS).
Oltre al vestito giallo e blu, i colori simboli della malattia, la Barbie indossa anche una collana rosa, che rappresenta le tre punte del 21° cromosoma, quello che causa la Sindrome di Down.
“Questo significa molto per la nostra comunità, che per la prima volta può giocare con una bambola Barbie che le somiglia”, ha dichiarato la presidente dell’associazione, Kandi Pickard.
La Mattel cerca così di rappresentare più donne possibili. dopo la Barbie “Curvy”, quella molto alta e quella molto bassa, fino ad arrivare, in anni più recenti, alla bambola non udente, quella sulla sedia a rotelle e quella con una protesi alla gamba.
L’originale, lanciato nel 1959, aveva gambe lunghe, una vita sottile e capelli biondi fluenti.
Secondo uno studio dell’Università del South Australia, c’era una possibilità su 100.000 che una donna avesse le sembianze di una Barbie… Da qui la battaglia di diverse organizzazioni per una bambola più rappresentativa delle donne reali.
Nel 2016 sono così state lanciate Barbie Curvy, Barbie Tall e Barbie Petite, oltre a diverse tonalità della pelle, per rappresentare etnie diverse (e persino l’astronauta Samantha Cristoforetti)…
Secondo i “Centers for Disease Control and Prevention”, la Sindrome di Down è la “condizione cromosomica più comune” diagnosticata oggi negli Stati Uniti. Circa 6.000 bambini nascono ogni anno, in tutti gli Usa, con la Sindrome di Down.

Quando il gelato al pistacchio di Bronte diventa un lusso

Il pistacchio di Bronte non se lo possono più permettere neppure in Germania.
I tedeschi, che hanno scoperto solo poco tempo fa il piacere del gelato rigorosamente “made in Italy” (l’85% delle gelaterie di tutta la Germania appartiene ad italiani), rischiano di dover dire addio ad uno dei loro gusti preferiti.
Un cono con due palline di gelato (se una è al gusto pistacchio) diventa un lusso anche nella ricca “locomotiva d’Europa”.
I costi salgono e si teme che la prossima estate in Germania il prezzo di un cono con due palline di gelato superi la soglia dei 4 euro, che per una famiglia con due bambini è comunque una spesa difficile da affrontare, tutti i giorni, per tutta l’estate…
Come dicevamo, il gelato è stato una scoperta tardiva per i tedeschi, grazie ai gelatai italiani che giungevano per la stagione estiva, soprattutto dal Veneto. Ma oggi non ne possono più fare a meno e ne consumano più di noi: nel 2021, il bilancio ufficiale è stato di 988 milioni di euro, che riguarda anche il gelato industriale, ma è difficile calcolare gli introiti delle piccole gelaterie familiari.
In febbraio, in Germania, il prezzo del latte, l’ingrediente base, in confronto con l’anno scorso, prima della guerra in Ucraina, è salito del 90%, e anche il prezzo dello zucchero. Quello della panna, invece, è sceso del 5%. Rincarati in media del 30% i prezzi di cioccolata, noci, fragola. E il pistacchio è il più caro e diverse gelaterie non offrono più questo gusto, oppure è un pistacchio con sapore artificiale.
“Io, da palermitano, sono un esperto, e quando è verde lo evito. Il vero gelato con pistacchio di Bronte è grigio. Quando lodai un gelataio di Orbetello, lui quasi si commosse: qui in Germania, i clienti non capiscono, non lo vogliono perché non è verde”, racconta Roberto Giardina, storico giornalista e corrispondente da Berlino (vive da quasi 40 anni in Germania), in uno spassoso articolo sulle righe di “Italia Oggi”, che ci ha ispirato questa riflessioni sul gelato.
È diminuito anche il prezzo della vaniglia, un altro dei gusti preferiti dai tedeschi, ma non basta a pareggiare l’esplosione dei costi per l’energia.
La storica gelateria “Sarcletti”, aperta a Monaco nel 1879, pagava fino a dicembre 2022, 5 cent per kilowattora: adesso si è arrivati a 28. Quasi sei volte tanto!
Salgono anche l’affitto e il costo per il personale. L’ anno scorso la paga minima oraria è passata da 10,45 euro a 12 euro, ma è difficile trovare dipendenti, se non pagando di più. Da “Sarcletti”, nella borghese Monaco di Baviera, una pallina costa un euro e 80, appena 10 cent più rispetto all’estate scorsa. Due palline arrivano a 3,50. Prezzi ancora decisamente competitivi.
In Spagna, in Italia e Francia si arriva già a pagare tre euro per pallina e i tedeschi là non si lamentano perché si sentono in vacanza, ma diventano parsimoniosi (se non addirittura tirchi) appena tornano a casa loro.
Secondo l’ultima classifica di settore, la miglior gelateria di Germania si trova a Bonn, la vecchia capitale, ed è ovviamente gestita da un italiano.
La prima gelateria tedesca aprì nel 1799 a Amburgo, ben 244 anni fa. Ma il primo gelato da passeggio, il cono, risale al 1920.
I primi gelatai italiani giunsero verso il 1870, passando dall’Austria. Nel 1933, Hitler cercò di boicottarli, convinto che i gelatai fossero in gran parte ebrei, ma i coni piacevano anche ai nazisti, e dal 1933 al 1937 le gelaterie nel III Reich raddoppiarono, da 2mila a 4mila.
Nel 1935, Langnese (l’Algida tedesca) cominciò a produrre il gelato industriale. E i gelatai italiani? Si limitarono a esporre il ritratto del Führer accanto a quello di Mussolini, comunque convinti che il gelato migliore fosse sempre quello artigianale, fatto in casa e…tricolore (verde-bianco-rosso, mentre la bandiera tedesca è nera-rossa-gialla).

DAL VOSTRO INVIATO A MODENA

All’alba del nuovo giorno, con l’eco degli applausi e, soprattutto, delle risate, giungono i miei ringraziamenti per la bellissima serata di ieri, al Teatro Cittadella di Modena.
Con oltre un centinaio di spettatori, abbiamo raccolto una cifra significativa, che potremo devolvere in beneficenza all’Associazione G.P. Vecchi, presieduta da Emanuela Luppi, che si occupa di assistenza e sostegno per i familiari degli ammalati di Alzheimer. Una bella collaborazione che, speriamo, possa continuare.
Grazie, perciò, agli amici che hanno partecipato, con il loro contributo: il “vecchio amico” Marco Toselli e Virna, i “viaggiatori” Elena Angelini e Davide Bortolotti, la nostra attrice di diversi spettacoli Marina Montanari e la sua famiglia (un saluto affettuoso alla mamma!), la grande cantante Cristina Migliari (con 4 amici, dovevo salutarvi a modo!), Olivia Balboni (la sorella di Balbo Andrea Balboni) e Massimo, la mitica giornalista Patrizia Gazzotti, la nostra “fedelissima” Laura Soldani, la sempre presente Patrizia Gardinali, il simpaticissimo scrittore-musicista Roberto Roganti, con signora (vi devo assolutamente presentare Santiago!) e tutti gli altri amici che hanno passato il sabato sera insieme a noi.
Ringrazio, naturalmente, Don Pietro Rota, per l’ospitalità al Teatro Cittadella; la nostra fantastica responsabile della comunicazione Paola Ferrari (è lei che ci ha messi in contatto con l’Associazione G.P. Vecchi: e ci ha pure trovato il ristorante per la cena!); il leggendario Orazio Giannone, scrittore, filmmaker e attore, nostro “punto di riferimento modenese” quando siamo in terra geminiana, visto che oltre a fare stupendamente la parte di Poldo, ci ha anche portato moooolti oggetti di scena e scenografia; Anna, la moglie di Orazio, stavolta nelle vesti di “bigliettaia” super carica e di implacabile ragioniera (è lei che vi ha accolto in biglietteria!); il grande presentatore “all’americana” Alessio Bardelli, che ha reso frizzante l’inizio e la fine dello spettacolo (un saluto anche a mamma e papà: li ho visti in forma!): la “Regina delle Torte” (in realtà è molto di più!), Anna Rita Bonantini, insieme a Fabio: ci ha fatto una grande sorpresa, con un regalo esclusivo realizzato dal papà, il celebre scultore modenese Tomaso Bonantini.
Ringrazio, naturalmente, tutti gli attori della Compagnia “I Teatroci” di Torino, cominciando dalla impareggiabile regista Erica Maria Del Zotto (anche autrice della sceneggiatura di “L’AMOR SENZA BARUFFA FA LA MUFFA”), protagonista nei panni di Filomena detta “Mena”; quindi, insieme a me, gli altri due fondatori della Compagnia: Gualtiero Papurello (stavolta nel panni del saggio Don Giovanni Casanova) e Luca Bertalotti, a cui è toccato il ruolo drammatico della commedia, quello di Vanni, che vede spegnendosi la memoria della sua Wanda. Grazie a Paola Ivaldi, spumeggiante Gina dall’accento e dalla verve molto piemontese, alle prese con un marito campione del mondo di pigrizia, interpretato magistralmente proprio da Orazio Giannone; Caterina Fera, sempre più spigliata nei panni di Palmira, la perpetua assai svampita e segretamente innamorata di Don Giovanni; Mirco Negri, il nostro mago-audio video, che stavolta ha fatto letteralmente i salti mortali (credetemi: si è infilato su una scala altissima, sprezzante del pericolo, ma con il casco in testa…) per assicurare al pubblico la migliore acustica e la migliore illuminazione possibile; Riccardo Cestaro, il nostro “figlioccio” adottivo, direttamente da Bosco Mesola (Ferrara), inventore delle nostre locandine, dotato di molta pazienza, soprattutto quando gli chiedo mille ritocchi in extremis; Marco Sarro, che con la sua voce stentorea ha reso assolutamente credibile ascoltare il Signore – con le sue pillole di saggezza – parlare con Don Giovanni (un po’ come nei film di Don Camillo!); il nostro fotografo modenese ufficiale, Christian Gardinali, che ha fatto 600 scatti, a colori e in bianco e nero, che prossimamente vedrete…su questi schermi!
A chi non è potuto venire ieri sera, ce ne sono tanti, che avevano già precedenti impegni, cito per esempio gli amici Luigi Guicciardi Daniela Ascari Daniela Ascari Marco Melara, promettiamo presto un nuovo tour modenese e, nel frattempo, possono sempre mettere una mano sul ❤️ cuore e fare un’offerta all’Associazione G.P. Vecchi!
Grazie ancora a tutti! A prestissimo!

30 anni dell’Opel Tigra, il coupè preferito dalle donne

Era l’auto sportiva preferita dalle donne, quelle forti e indipendenti, che attraverso il ruggito della loro Opel Tigra (spesso e volentieri nella versione color giallo pallido: la ricordate) rivendicavano il loro diritto alla libertà.
Anche per questo la Tigra – presentata al Salone dell’Auto di Francoforte 1993 – è un modello “epocale”, praticamente indimenticabile, anche per chi non l’ha posseduta, ma avrebbe tanto voluta.
Ma cosa aveva di tanto speciale la Tigra? Indubbiamente la cosa migliore era la linea, aggressiva e “spensierata” come un vera coupè deve essere. Ma, nella sostanza, la Tigra era poco più di una versione sportiva della Opel Corsa, di seconda generazione, dalla quale ereditò il pianale e gran parte della meccanica. Dunque: un’utilitaria!
Essere considerata un’utilitaria, naturalmente, comportava dei vantaggi di tipo economico, poiché il costo della Tigra restava abbastanza contenuto, ma aveva anche dei limiti (peraltro ben nascosti o considerati poco importanti): rifiniture poco curate, certamente non raffinate e – soprattutto – un’abitabilità scarsa per coloro che erano destinati ai sedili posteriori. Tra l’altro, chi superava i 160 cm di altezza, non poteva proprio starci dentro…
La sua forza, però, era soprattutto l’aspetto estetico: fresco, innovativo, dinamico. E assolutamente moderno. Lo sarebbe anche oggi, nel 2023. La Tigra era una boccata di novità, il suo motivo laterale a “Z” e quello speciale lunotto posteriore la rendevano molto attraente e appetibile. Non a caso, dopo della Tigra, anche Ford e Renault lanciarono la propria coupé compatta: la Puma e la Megane Coach. Ma senza lo stesso successo.
Del resto, la Tigra è un fenomeno a parte: la sua “vita industriale” è durata solo sette anni (e 250.000 modelli venduti in tutto il mondo), perchè la Opel ne cessò la produzione nel 2000, per non fare concorrenza interna alla nuova Corsa. Eppure, dopo 30 anni, siamo ancora qui a parlarne con un filo di nostalgia. Ma se proprio volete fare un tuffo nel passato, si trovano – su Internet – molte Tigra usate in ottime condizioni, ad un prezzo che può arrivare anche ad oltre 6.000 euro…