L’ECATOMBE DEI CANDIDATI-SINDACO A ROMA

A Roma, in questa lunga volata pre-elettorale, stanno facendo tutti il gioco del Movimento 5 Stelle, che non rappresenta nemmeno più una ventata di freschezza, novità e trasparenza (basta vedere il caso del sindaco di Livorno, Nogarin), ma che rimane – agli occhi di molti cittadini – pur sempre una valida alternativa ai “soliti” politici.
Qualcuno si è tirato la zappa sui piedi da solo, come Stefano Fassina, ex Pd silurato dai poteri forti del partito (anche se lui dice di essersi tolto prima che gli dessero il benservito), la cui lista elettorale non è stata ammessa per irregolarità nella raccolta firme e che quindi non potrà essere della partita capitolina, a meno che in extremis non venga accettato il suo ricorso.
Un altro che è stato fatto fuori, stavolta dal “fuoco amico”, è stato Guido Bertolaso, disastrosa scelta berlusconiana sacrificata poi all’altare di sondaggi altrettanto disastrosi per l’ex boss della Protezione Civiel Spa.
Un altro candidato, già più credibile in quanto almeno conoscitore profondo della vita romana, Alfio Marchini, se ne esce con una dichiarazione che assomiglia molto ad un autogol dei più clamorosi: “Non celebrerò mai matrimoni gay”, dichiara proprio alla vigilia dell’approvazione della legge sulle Unioni Civili, scatenando la reazione della ministra Boschi che, tirandogli le orecchie, gli ricorda che “se sarà sindaco, dovrà rispettare la legge”. Marchini si alienerà le simpatie di qualcuno e risulterà simpatico ad altri, ma insomma, poteva evitare questa uscita poco felice, come se i mille problemi di Roma fossero solo i matrimoni gay…
Giorgia Meloni, di tutti, è la più famosa, se non altro per le sue frequentissime apparizioni televisive e la sua gravidanza iper-annunciata. Romana della Garbatella, appoggiata da Salvini (che le procurerà sicuramente un bel po’ di voti e altrettante antipatie), se la gioca con Marchini per far arrivare un candidato del centrodestra almeno al ballottaggio. Con il rischio concreto, però, di farsi fuori a vicenda…
Il candidato Pd, Roberto Giachetti, è davvero pallido e invisibile: di lui si ricorda solo una dichiarazione rilasciata al problema sulla presunta “questione morale” dei suoi candidati nella sua lista: tolleranza zero per chi ha problemi con la giustizia, non sono ammessi nemmeno quelli che hanno preso una modesta querela per diffamazione (reato, si, ma non gravissimo, ad esempio per i giornalisti, a tal punto che dopo 5 anni viene cancellato dal casellario giudiziario). Basterà per guadagnare voti? Ne dubitiamo.
Alla fine, la favorita, è l’avvocatessa Virginia Raggi, classe 1978: parla bene, è di bella presenza, sguscia velocemente dai confronti con gli altri candidati, come l’accusano di fare quelli del Pd. Ma è l’idea (presunta) di “novità” del Movimento 5 Stelle che potrebbe farle prendere il volo. A patto di non fare poi la figura di Pizzarotti a Parma e di Nogarin a Livorno…
Cosa? SINDACO ROMADite che fare peggio di Alemanno e Marino è impossibile? Chissà, speriamo. Ma al peggio, di solito, non c’è mai fine.
Crediamo proprio che i cittadini di Roma abbiano voglia di facce nuove, idee nuove per risolvere problemi vecchi come il Colosseo: dalle buche per strada alla corruzione imperante. Ci vorrebbe un Movimento Gente Onesta. Speriamo presto. 

RIFLESSIONI (AMARE) SUL LAVORO. E NON SOLO IL 1° MAGGIO…

di Luca Colantoni colantoni

Negli ultimi anni ho mangiato troppi bocconi amari, vista troppa polvere, passato troppi momenti bui, alle prese con chi prometteva, chi non pagava, chi ha aperto e chiuso situazioni lavorative per i suoi interessi personali. Alle prese con centinaia di mail da spedire, centinaia di telefonate e di sms senza ottenere uno straccio di risposta. No, oggi Primo Maggio, non me la sento di festeggiare. No, ho troppo rispetto per chi, come me, sa cosa vuol dire cercare e non trovare, sbattere contro muri di gomma e porte chiuse… Al contrario, invece, penso che oggi, nonostante tutto, mi sento fortunato perché non ho mai abbandonato la strada maestra e quindi oggi, per colpe non mie, mi ritrovo a lottare per fare sempre il lavoro che amo e che cercherò di fare fino allo stremo delle forze con voglia e orgoglio perchè ci credo…. Ecco, questo allora è il mio vero augurio per il Primo Maggio: che tutti possano, prima o poi, fare quello che più desiderano, che vengano fatte salve le professionalità di ognuno nei rispettivi ambiti, che ognuno possa vivere felice facendo ciò che sa fare di più e che quindi vengano messi al bando i nani e le ballerine di turno in questo Paese che si dice evoluto, ma che ancora, sottobanco, usa meccanismi da Prima Repubblica per far lavorare gli amici del loro quartierino. Se solo chi ci governa la smettesse con liti da vecchi bottegai per due o tre voti in più e con gli scandali. Se solo chi ci governa la smettesse di perdere tempo in discussioni il più delle volte inutili, di prenderci in giro, di tenersi strette poltrone, di farsi male e farci male. Se solo chi ci governa si guardasse intorno seriamente vedrebbe il vero volto dell’Italia: arte, cultura, gente onesta, grandi lavoratori, eccellenze, professionalità che andrebbero sfruttate e non maltrattate… e forse saremmo un Paese migliore… ma finchè non sarà così, mi dispiace, ma non sarà mai un Buon Primo Maggio… !!!

Non ci sarà un bis, ma questo Leicester rimarrà per sempre nella storia….

di Darwin Pastorin
(Huffington Post)

Dunque, è vero. Non è stato un sogno, non sono le pagine di un romanzo ritrovato di Osvaldo Soriano, è tutto vero, assurdamente, splendidamente vero: nella terra del football trionfa il brutto anatroccolo trasformato in principe, un principe vestito di blu: il Leicester dell’italiano, di Roma del Testaccio, Claudio Ranieri.

Manchester United, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Liverpool a inchinarsi. E tutti noi, nessuno escluso, a scoprirci “tifosi” di questi ragazzi che hanno fatto l’impresa, contro ogni pronostico, contro i club miliardari, un titolo conquistato giorno dopo giorno, canto dopo vanto, verso dopo verso, in campo e fuori. Ha ragione Alessandro Del Piero: “Racconterò questa storia ai miei nipoti”, così come abbiamo raccontato ai nostri figli, non solo le imprese degli eroi salgariani, ma lo scudetto del Cagliari del 1970: anche in quella abbagliante e memorabile stagione il calcio si vestì di favola e di meraviglia. Juve, Milan, Inter, Fiorentina, Napoli a guardare, ammirati e increduli, storditi. E c’è un filo conduttore tra le due conquiste. Ed è proprio Claudio Ranieri. Pochi giorni prima di sentirsi la Premier League in tasca, salutò con un video il Cagliari sicuro di ritornare in A. Fu il tecnico romano, dal 1988 al 1991, infatti, a ridare luce e gloria alla compagine sarda, portandola dalla C di nuovo alla massima serie. Ecco: come nella vita e nella storia, tutto infine ritorna. Su altre sponde, ma ritorna.

Ranieri non è più il “Tinkerman” del Chelsea, ovvero il “mister” rappezzatore e persino maldestro, non è più l’eterno sconfitto, il dimenticato d’Italia, il perdente di lusso: a Leicester è, ormai, un divo, vogliono fargli una statua, allo stadio gli cantano “Volare”, e “Il blu dipinto di blu” mette insieme la nostra canzone più amata all’estero e il club che tutto il mondo sta applaudendo, anche perché non è vero che i soldi sono tutto: pure oggi vince il sentimento, la poesia.

Il Cagliari scommise su un giovane attaccante, Gigi Riva, che nessuno voleva e che appena sbarcato in Sardegna pensava di essere finito in una specie di prigione. Riva diventò, invece, il breriano “Rombo di Tuono” e disse no a tutte le lusinghe miliardarie e ora la gente sarda è la sua gente. E per i pastori della Barbagia continua a essere perfetto come un dio greco. Ranieri ha puntato le sue carte su un attaccante, Jaime Bardy, che fino a qualche anno fa sbarcava il lunario facendo il metalmeccanico a Sheffield e venne scartato dal Lipsia: adesso tutti lo vogliono. Per non parlare del centrocampista algerino Riyad Mahrez, eletto miglior giocatore di questa stagione, e pescato tre anni fa nella serie B francese. Ma il merito principale va a Ranieri, al suo essere perbene, alla sua serietà e alle sue capacità. Il Cagliari vinse grazie alle strategie e al “lasciar vivere” del filosofo Manlio Scopigno, il Leicester deve le sue fortune a questo italiano mite, nobile, che si è preso la sua rivincita nel modo migliore. Facile vincere con il Real Madrid o il Bayern Monaco, provateci con una squadra inglese data sempre per retrocessa, o quasi.
ranieri
Anche José Mourinho si è lasciato andare, ed era tempo, in apprezzamenti sinceri nei confronti di Claudio Ranieri: non più battute al veleno e facile ironia, ma il rispetto che si deve a un professionista esemplare. Probabilmente non ci sarà un bis. Il Leicester resterà come il Cagliari. Ma una vittoria, quella vittoria, ha il valore di poema omerico. Resterà scolpita nella roccia. Nella memoria, nella nostalgia, nell’orgoglio di chi ha vinto, nella narrazione epica. Una, soltanto una: ma indimenticabile. Sempre e per sempre. Dilly Ding, Dilly Dong!

“LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT”: MA NON PRENDETELO TROPPO SUL SERIO…

Pluripremiato ai David di Donatello, idea originale, sceneggiatura interessante, opera prima, bella ambientazione periferica e proletaria, Claudio Santamaria ombroso, Luca Marinelli folle, Ilenia Pastorelli visionaria, la morale finale del “supereroe che salva tutti”, belle musiche, LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT è film decisamente sopravvalutato, un po’ trash, un po’ pulp e molto sanguinolento. E poi parlato solo in romanesco, noooo! Insomma: da vedere, consci che si trattaLo-chiamavano-Jeeg-Robot di una simpatica cazzata!

REFERENDUM NO-TRIV: LA SCONFITTA DEGLI ELETTORI

di Cristiano Tassinari

Adesso che sono passati un po’ di giorni e le polemiche sembrano essersi ormai placate, possiamo commentare a mente fredda (che di solito è buona consigliera) quello che è successo con il referendum sulle trivellazioni in mare dello scorso 17 aprile: un fallimento, visto il previsto risultato (al voto nemmeno il 32% degli aventi diritti, quorum lontanissimo), un buon risultato se si considera che quasi 18 milioni di italiani sono andati alle urne, sfidando il “divieto” da parte del governo-Renzi. Al di là del fatto che si è trattato di un referendum legittimo su un tema scottante, ma di natura tecnica piuttosto marginale (non si votava per il si o il no alle trivellazioni, ma solo per la durata delle concessioni delle stesse trivellazioni), direi che si è trattata dell’ennesima sconfitta degli elettori. Si, l’ennesima sconfitta degli elettori. Cittadini italiani che, nonostante la disaffezione per la politica, non hanno ancora perso la fiducia nel diritto di voto e lo esercitano ogni qualvolta si rende necessario. Fiducia, purtroppo, frustrata anche stavolta, come quasi sempre capita nei quesiti referendari: non a caso, negli ultimi referendum, solo quello del 2011 sull’acqua pubblica o privata raggiunse e superò il quorum del 50%. grazie ad un eccellente lavoro di battage pubblicitario da parte delle associazioni che lo promossero, cosa che non si è verificata stavolta, anche per gli ostacoli posti dal governo e dai grandi mezzi di informazione. Insomma: un’altra occasione persa per dare veramente voce ai cittadini. 
Quello che succederà sul piano delle conseguenze di questo fallito referendum, credo che sarà impercettibile, con grande felicità di chi – come Renzi – reputa sia una grande vittoria per le aziende e per gli operai che lavorano nell’indotto delle trivellazioni di petrolio e con grande dispiacere di chi crede che, viceversa, la vittoria dei SI sarebbe stato un bel segnale per ridare dignità e sicurezza al nostro territorio e al nostro mare. In Emilia-Romagna, ad esempio, non è ancora stato escluso del tutto il collegamento tra il terremoto del maggio 2012 e le misteriose trivellazioni di gas nella Bassa Modenese. Eppure, nemmeno nella civile Emilia è stato raggiunto il quorum, raggiunto solo in Basilicata, il nostro piccolo Texas, regione guarda caso salita recentemente alla ribalta per la vicenda del petrolio lucano, con tutti gli annessi e i connessi. E quindi, viviamo (e votiamo) anche sull’onda emotiva di quello che ci accade attorno in questi giorni. Giorni in cui ricordiamo i 30 anni dal terribile disastro di Chernobyl, di cui ancora in tanti (migliaia di morti e feriti) pagano le conseguenze. Era il 26 aprile 1986, ed esattamente un anno e mezzo dopo, nel novembre del 1987, andammo a votare per un altro referendum, quello sul nucleare. Con i risultati che conosciamo e che risentiamo pure nei discorsi da bar: “Noi in nucleare non ce l’abbiamo più, ma tanto ce l’hanno in Francia, che se poi succede qualcosa, la nube tossica arriva anche da noi…”. Già, perché invece le piccole grandi disgrazie non ce le abbiamo già da soli? Basta vedere quello che è successo a Genova, proprio il giorno dopo del referendum fallito: 50 tonnellate di petrolio finite nel torrente Polcevera. Immagini di uccelli candidi ricoperti di olio nero. Natura violentata e che un giorno si vendicherà. Ma quando lo farà, non dimentichiamoci che sarà un po’ colpa anche nostra, della nostra indifferenza, come se noi proprio non volessimo nemmeno provare a cambiare un pezzo di Mondo. E a volte, può bastare anche “solo” un voto. Una rassegnazione, onestamente, che non mi appartiene. Trivelle: Greenpeace in Adriatico,protesta contro Rospo Mare

BUON 25 APRILE A TUTTI GLI ITALIANI!

BUON 25 APRILE A TUTTI!
da www.iodonna.it

“”Arrendersi o perire!”. La parola d’ordine intimata dai partigiani riecheggiò un po’ ovunque nel Nord Italia lungo tutta la giornata (e poi anche nei giorni successivi) del 25 aprile 1945. Alle 8 di quel mattino, ilComitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) – il cui comando aveva sede a Milano ed era presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni,Sandro Pertini e Leo Valiani – proclamò così l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti.

Le forza partigiane si erano organizzate un anno e mezzo prima, nell’ora cioè della disfatta, quando alcune migliaia di italiani decisero di resistere all’occupazione straniera (poche migliaia, va detto, che però furono molte per un Paese schiacciato da vent’anni di regime poliziesco). E ora, mentre gli Alleati risalivano la Penisola, i partigiani attaccavano i presìdi fascisti e tedeschi del Nord Italia imponendo la resa. Il 26 aprile a Milano entrava un’autocolonna partigiana proveniente dall’Oltrepò e il CLNAI prendeva il potere «in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano». Tra le prime decisioni, la condanna a morte di tutti i gerarchi fascisti, incluso Benito Mussolini, che verrà fucilato tre giorni dopo. Già il 28 aprile una grande manifestazione di celebrazione della liberazione si tenne in città. Gli americani entrarono a Milano il giorno dopo e il 1° maggio a Torino. A quel punto, tutta l’Italia settentrionale era stata liberata (a Bologna era toccato il 21 aprile, a Genova il 23 e a Venezia il 28).

La Liberazione metteva fine a vent’anni di dittatura e a cinque di guerra. Un evento epocale, una “rivoluzione”, quella che non c’era stata durante i governi liberali e poi sotto la lunga ombra del regime, e che ora avrebbe portato di lì a un anno, per la prima volta, l’intera popolazione adulta italiana (comprese le donne) alle urne per decidere, con il referendum del 2 giugno 1946, fra monarchia e repubblica. Il 25 aprile, simbolicamente, viene così a rappresentare il culmine della fase militare della Resistenza e, poi, della nascita della Repubblica Italiana e della stesura definitiva dellaCostituzione. È al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi che si deve la proposta rivolta al principe Umberto II, allora luogotenente del Regno d’Italia, di emanare una legge per celebrare “la totale liberazione del territorio italiano”. Il principe accetta e “il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”.

Se il 25 aprile non è la festa della Repubblica italiana, che si celebra invece il 2 giugno, ma – molto di più – la festa di una libertà conquistata con il sangue, durante una guerra civile e contro lo straniero invasore, va ricordato che l’Italia non è l’unica a celebrare in un giorno speciale la fine dell’occupazione straniera: Olanda e Danimarca la festeggiano il 5 maggio, la Norvegia l’8, la Romania il 23 agosto. E al di là del Mediterraneo, l’Etiopia celebra la sua festa della Liberazione il 5 maggio. Liberazione non dai nazisti, ma dalla terribile occupazione italiana: ovvero, quando “gli altri”, gli invasori, eravamo noi.

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GOODBYE, KARINA…CI HAI FATTO SOGNARE!

di Luca Colantoni
(Alganews)Karina_Huff_-_Vacanze_di_Natale

Personaggio impossibile da dimenticare perché quei film hanno segnato un’epoca. Karina Huff è morta a 55 anni, colpita da un male che sembrava l’avesse abbandonata qualche tempo fa, ma che invece è tornato prepotentemente alla carica e, purtroppo, ha vinto. Nata a Londra nel 1961, quello con il quale è conosciuta è solo un nome d’arte che ha sostituito negli anni un improbabile Carrina Corona Elizabella che forse poco si addiceva ad una attrice. Una carriera relativamente breve. I cult di Vanzina, qualche altro film, la conduzione del programma musicale Popcorn e poco più. Poi la decisione di tornare a Londra ad insegnare letteratura inglese, ma nell’immaginario collettivo e per gli amanti del genere lei rappresentava l’anima bella degli anni ottanta.

Non importa se fosse Vacanze di Natale o Sapore di Mare, se interpretasse Samantha, l’americana di Pittsburgh oppure l’inglesina Susan, ma quegli occhi azzurri ed anche un po’ tristi, in quegli anni hanno fatto battere il cuore a molti. Era tornata in Italia dove aveva partecipato a Meteore. Una storia difficile la sua e ben lontana da quella ragazza sbarazzina “rimorchiata” da Christian De Sica e Jerry Calà in quei film. Oltre alla malattia ha dovuto affrontare una separazione e la crescita da sola del figlio, tutte cose che hanno reso ancora più tristi quegli occhi e sicuramente meno “felicina” (una delle tante battute scritte per lei dai Vanzina. Ndr.) la sua vita. A dare la notizia della sua scomparsa proprio il figlio sul profilo Facebook dell’attrice: “E’ con grande dispiacere che devo scrivere questo post. Dopo anni di lotta che sembrava un flusso senza fine di cattive notizie, mia mamma, la più bella, coraggiosa e intelligente persona che abbia mai conosciuto, è deceduta ieri…”.

“Somigliava a Petula Clark, la classica ragazza inglese anni ’60 – il ricordo di Enrico Vanzina, sceneggiatore di Sapore di Mare e Vacanze di Natale – io e Carlo la prendemmo per questo e per il suo accento che decidemmo di non doppiare, era perfetto così con un italiano buffo e una vena istintiva di tenerezza che si adattava perfettamente a quel ruolo”. Bella e tenera, la stessa immagine che aveva dato di sé nell’ultima apparizione tv in Italia nel salotto domenicale di Barbara D’Urso tre anni fa: Ormai una signora di mezza età, quasi lo stesso accento e poi quegli occhi e quella ingenuità d’animo di sempre che solo a guardarla, sembrava di vederla nuovamente in pista, corteggiata dai “piacioni” da neve e dai “machi” da spiaggia che gli offrono agiatezza e belle ville, ma pronta a scappare e costruirsi una storia con il “normalissimo” di turno.