L’ASSOLO DI LAURA MORANTE PIACE ALLE DONNE

Dopo aver visto, qualche giorno fa, l’opera prima da regista di Laura Morante, “Assolo”, la mia domanda è stata: se ne sentiva la necessità, nel panorama del cinema italiano, di Laura Morante come regista? Ora so rispondere: si. Un bel filmetto, senza la presunzione di essere un filmone o un capolavoro. Un film assoloalla “Morante”: brillante, quasi comico, umorale, molto femminile e al femminile. Ed è soprattutto alle donne che è piaciuta questa storiella di una bella affascinante ultra 50enne che, tra ex mariti, padri dei suoi figli, amanti e flirt variegati, per la prima volta nella sua vita si ritrova single, una situazione assolutamente nuova (e difficile da accettare) per lei. E quindi, scatta la necessità di cominciare a pensare più a se stessa che agli altri, di iniziare a stare bene anche da sola. Una condizione che può capitare a molte donne, che si saranno sicuramente ritrovate in quella stessa situazione del “meglio sole che male accompagnate” (specie se l’accompagnatore è Marco Giallini). Non sarà facile, ma alla fine la nostra protagonista, piccola eroina al contrario, ce la farà. E, prendendo finalmente la patente, volerà libera e bella verso la vita, a bordo di una bella Spider rossa. 
Un film delicato, piacevole, sbarazzino (esilarante la scena del tentato e fallito sesso solitario…), genuino, caratterizzato da una bravissima Laura Morante e da ottimi attori di contorno, l’imbiancato Gigio Alberti e una “schiavizzata” Angela Finocchiaro su tutti. Un film che sta riscuotendo un buon successo di critica e di pubblico, anche in Francia, dove la Morante è ben conosciuta. E questo suo film sembra proprio una deliziosa commedia “alla francese”. Naturalmente, lo avete capito, speriamo che dopo “Assolto”, ne esca anche un altro, di film così.

LE MILLE STAGIONI DI VALENTINO ROSSI

Non lascia, Valentino: raddoppia: il suo obiettivo è arrivare a cifra tonda, 10 titoli mondiali in bacheca. Gliene manca uno solo, sfuggito – per le notissime…relazioni pericolose tra lui, Lorenzo e Marquez – solo qualche mese fa, nel super polemico finale di stagione della MotoGp. Valentino Rossi vuole entrare nella leggenda – anche se c’è già – pure dal punto di vista numerico: 10 titoli mondiali. E’ il suo chiodo fisso. Lo abbiamo intravisto determinato e carico, qualche giorno fa, alla presentazione della nuova Yamaha, fianco a fianco con il suo carissimo nemico Jorge Lorenzo: solo un contrattone con molti zero, infatti, permette ai due campioni di sopportarsi, comunque mal volentieri, in pista e fuori. Con buona pace dei giapponesi. E degli stessi organizzatori della MotoGp – la Dorna ha di fatto esautorato l’ex potentissimo Ezpeleta -, che da queste baruffe magari poco sportive hanno però ottenuto attenzione stellare e ascolti tv planetari. Non tutte le valentinopolemiche, dunque, vengono per nuocere. Anzi. Valentino è in scadenza di contratto: ne sta chiedendo un altro, alla Yamaha, altri due anni. Finirebbe nel 2018, a 39 anni suonati., Un altro record. Ma poi, siamo sicuri, lui vorrebbe arrivare a 40. Cifra tonda. Sempre. Intanto gustiamoci questo mondiale, al via il 20 marzo dal Qatar. Se dovesse vincerlo, il decimo, Valentino potrebbe poi decidere di appendere la moto al chiodo. Per dedicarsi ai rally o, magari, diventare un grande dirigente proprio nel mondo del motociclismo. Ne avremmo bisogno, di Valentino, anche lì, fuori dalla pista.

ORMAI E’ CHIARO: CI SONO ATTENTATI DI SERIE A E ATTENTATI DI SERIE B

Nel mare magnum dei social network (ma anche dei giornali e dei telegiornali “ufficiali”), ormai è chiaro: ci sono attentati di serie A e di attentati di serie B. Credo che dipenda quasi esclusivamente dalla distanza chilometrica e/o dalla presenza di connazionali coinvolti nell’attentato, oltre allo straordinario impatto mediatico dell’evento (penso all’11 settembre a New York). Le Torri Gemelle e Parigi sono stati casi eclatantissimi, che hanno colpito le coscienze di tutti, a tal punto che io – come credo tutti voi – so perfettamente dov’ero e cosa facevo nel momento esatto in cui ho appreso la notizia, anche nel caso, quasi 15 anni fa, di Ground Zero. E quindi: indignazione, sgomento, bandiere al vento, marce di protesta, marce per la pace, Je suis Charlie, Je suis Paris e disperazione per i turisti italiani (di Torino) morti ammazzati al Museo del Bardo a Tunisi. Poi, però, ci sono attentati gravissimi – pare sempre orditi dai bastardi con la bandiera nera, che a volte si prendono persino meriti non loro – che passano inosservati: è il caso di Istanbul, qualche giorno fa (grande commozione in Germania, certo, perchè le vittime erano quasi tutte tedesche) ed è il caso di Giacarta, la capitale dell’Indonesia, oggi. Attentati di serie B, non c’è dubbio. Poca indignazione, poco sgomento, nessuna bandiera turca tedesca o indonesiana sventolata sul web, nessuna marcia di protesta, nessuna marcia per la pace, nessuno slogan destinato ad entrare nella storia. E nelle nostre coscienze. Perchè?istanbul-attentato42-1000x600

CHECCO ZALONE E DAVID BOWIE, LE PRIME ICONE DEL 2016

Per motivi ovviamente diversi, queste prime settimane del 2016 sono state caratterizzate da due personaggi lontanissimi tra loro, eppure così cari al grande pubblico: partiamo – per esigenze storiche – da David Bowie, “il Duca Bianco” rivoluzionario della musica, che ci ha lasciati qualche giorno fa, a 69 anni, dopo una vita fatta di eccessi, anche del suo talento musicale sterminato. In tanti, tantissimi lo hanno ringraziato: non solo per le belle canzoni scritte in 40 anni di carriera, ma anche per aver sdoganato il “personaggio strano” che c’era in lui – fin dai tempi di Ziggy Stardust – e che, probabilmente, c’è in tutti noi, in qualcuno più nascosto che in qualcun altro. Ma che importa! Non che io fossi un innamorato pazzo di David Bowie – tutt’altro – ma la sua “Let’s Dance” è bellissima, come certe sue interpretazioni cinematografiche, anche involontarie: lo ricordo, ad esempio, sul palco di un suo vero concerto a Berlino durante l’inquietante film “Christiane F., noi ragazzi dello zoo di Berlino”, una pellicola generazionale dell’epoca dello “sballo”. E i ragazzi, sballati, andavano proprio a vedere un concerto di David Bowie. Perchè li faceva sentire normali. E’ questo è stato il grande insegnamento dello stesso artista inglese, che negli ultimi decenni aveva infatti indossati i panni, per lui forse scomodi, della normalità. Ed è stato persino normale vedere e leggere di tanti giovani e meno giovani – che magari nemmeno conoscono le sue canzoni – piangere l’addio al “Duca Bianco” come, probabilmente, non farebbero nemmeno per il nonno e lo zio. 
Normalità” è la parola chiave anche per Checco Zalone, nome d’arte di Luca Medici, avvocato barese classe 1977, super campione d’incassi, con oltre 52 milioni di euro guadagnati con il suo nuovo film “Quo Vado?” in nemmeno venti giorni di programmazione. E giù tutti, persino fini sociologi, a spiegare il perchè del successo di Checco Zalone, che da qualche film a questa parte (quattro ne ha fatti, tutti andati benissimo) ha stracciato tutti i mammasantissima della comicità all’italiana: non c’è più cinepanettone o Pieraccioni che regga, di fronte al suo straripante successo. Dovuto proprio alla normalità. Del suo pensiero, delle sue battute (al di là di qualche volgarità di troppo), della sua satira sui grandi fatti della storia dei giorni d’oggi (geniale la scena girata a Lampedusa con Checco Zalone che sceglie gli immigrati da accettare in Italia in base al fatto che sappiamo o meno giocare a calcio…). L’unico, altrettanto normale, nella sua comicità che potrebbe ancora fargli ombra è l’inarrivabile Lino Banfi, e infatti se lo è preso con sè, nella parte dell’onorevole che raccomanda tutti e dice di non mollare mai il posto fisso. Una coppia imbattibile. Con un filo di buonismo che fa chic e non impegna. Eche-bella-giornata-checco-zalone_650x435 Come ha detto, stavolta giustamente, Adriano Celentano, Checco Zalone è una medicina di cui nessuna farmacia dev’essere sprovvista.

“L’INCUBO DI COLONIA” IN TUTTO IL MONDO

Nemmeno un romanziere dal macabro gusto avrebbe potuto immaginare una scena che noi che non c’eravamo possiamo solo immaginare: l’incubo di Colonia. Mi riferisco, naturalmente, a quello che è accaduto la notte di Capodanno nella città tedesca, con un vero e proprio “assalto terroristico di gruppo” da parte di un migliaio di stranieri – per lo più arabi e nordafricani, lo confermano le notizie diffuse dalla Polizia – contro inermi donne tedesche che volevano semplicemente festeggiare l’inizio del nuovo anno. E’ accaduto nei pressi della stazione dei treni di Colonia, una delle città più belle e cosmopolite della Germania, famosa in Italia per il suo splendido Duomo ripreso molte volte, ad esempio, durante il famoso telefilm poliziesco “Cobra 11”. Già, ma di poliziotti – quella notte così speciale – ce n’erano davvero pochi in circolazione. Come mai? Com’è possibile che, con tutte le minacce terroristiche che anche la Germania ha subito in queste settimane, e per di più con l’allerta per la notte di Capodanno, la Polizia fosse così numericamente inferiore agli aggressori? La cancelleria Angela Merkel avrà il suo bel daffare per appurare la verità e, intanto, ha già drasticamente cambiato idea: basta accoglienza selvaggia (ricordate gli applausi ai siriani?) in Germana, chi sgarra – tra i profughi che commettono reati – verrà espulso dal paese. E francamente mi sembra il minimo sindacale da fare. Ma non so se basterà per fermare l’ondata di odio che si sta sempre più generando tra “noi” e “gli altri”: e se l’incubo di Colonia contagiasse tutto il mondo occidentale? Se orde di barbari decidessero di ocoloniarganizzarsi – via internet, via cellulare – e assaltare qualunque cosa capitasse loro a tiro, noi come reagiremmo? Ce la faremmo a resistere? Siamo in balia di tutti, questo è il mio timore, il mio terrore. E ogni giorno mi stupisco di come le cose non sia già più velocemente degenerate e come questi episodi non diventino sempre più numerosi. Non è solo l’Isis a farci paura, no. E’ anche (e soprattutto) l’arabo della porta accanto, a cui – a forza di non dirgli niente per paura che si incazzi – finiamo per concedere tutto. L’unica speranza è che il virus non si propaghi oltremodo (sembra difficile, però!) e che la maggioranza degli arabi e dei musulmani “buoni” continui a vivere, lavorare, fare figli, godersi la famiglia, proprio come tutti noi. Senza la necessità di sentirsi più felice ammazzando qualcuno con il kalashnikov.

CI VORREBBE UNA PRIMAVERA NORD-COREANA…

Mi sembrava che nel mondo avessimo già abbastanza rogne, per cui trovo particolarmente fastidiosa la presenza di questo dittatore nord-coreano dalla faccia di bamboccio, tale Kim Jong Un, che decide di iniziare l’anno nuovo con il test di una bomba ad idrogeno, se non atomica. E, allora, la domanda è questa: lo prendiamo sul serio o lo prendiamo solamente a calci nel culo? La potenza militare nei nord-coreani, a parte questo esperimento, sembra una barzelletta, se confrontata a quelle delle grande potenze. Eppure. Eppure urge sempre diffidare dalle pazzie di un dittatore che sembra davvero uscito, anche nel modo di vestire, da un film di 007, nel ruolo – ovviamente – del cattivo della “Spectre”. Ma questa è la realtà, in un periodo storico in cui ne abbiamo già abbastanza degli arabi (i terroristi, intebambocciondo) sparsi ormai in ogni dove. Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, dev’essere una città di una tristezza mortale, dominata da questo dittatore che non è meglio, ma forse è peggio, del padre che lo precedette. Un paese dove tutti gli uomini debbono pettinarsi come il loro dittatore (un look che grida vendetta!), un paese che consiglia agli anziani di restare in casa per evitare di rovinare l’immagine nel mondo (quale immagine?). un paese nel quale se passi davanti alla venerata statua del dittatore-padre e non ti inchini (pure gli stranieri), arriva la polizia e rischi il carcere. E ora pure la bombetta… Se le grandi potenze non fossero faticosamente impegnate altrove, a risolvere problemi che personalmente mi fanno molta più paura di un bulletto coreano, sarebbe già arrivato il momento di dargli una bella lezioni e di rimetterlo al suo posto. Soprattutto per salvare i poveri nord-coreani, che sono persino costretti a fare finta di esultare per un esperimento di bomba pseudo-atomica. Come ha detto il primo esule uscito vivo da un terribile lager di Pyongyang, “serve una primavera nord-coreana”. Sboccerà?

 

SORPRESI, PIACEVOLMENTE SORPRESI….

TORINO – Siamo sorpresi, piacevolmente sorpresi, dai consensi ricevuti dalla nostra ”prima” di ieri sera (venerdi 8 gennaio 2016) palcodi VIENI ANCHE TU SULL’AUTO BLU, al Teatro Cardinal Massaia di Torino (ancora grazie per l’ospitalita’). Dopo mesi di lunedi sera di prove, spesso difficoltose a causa degli impegni di lavoro, pur tra comprensibili sbavature da eliminare, abbiamo dato vita ad uno spettacolo-kolossal (165 minuti) con una scenografia accattivante, un concentrato di risate, musica orecchiabile , di impegno sociale e di satira politica che, a quanto pare, ha soddisfatto i 192 spettatori, molti dei quali addirittura preferiscono L’AUTO BLU al nostro mitico CANI E GATTI… Nota di merito assoluto per il Gigi Rizza di Vito Gioia e per l’indiano con i fiori di Marco Tancredi, per loro… applausometro a manetta. Ma tutti ce la siamo cavata alla grande, meglio del previsto, con l’adrenalina a prendere il sopravvento sulla fifa…blu: Cristiano TassinariGualtiero PapurelloLuca BertalottiGiorgia GiardulloFederica Fulco Marco Sarro e la nostra registaErica Maria Del Zotto…tutti bravissimi, bene bravi bis! Impeccabile Valter Varesco in regia! Ma alla fine, dove va a vivere il ministro Pornero? E soprattutto: avete capito come si chiamano le polpette svedesi in lingua originale? Seguiteci: magari ci troverete nel teatro della porta accanto…

AUGURISSIMI DI BUON 2016!!!

HO SCELTO UNA FOTO UN PO’ CASALINGA, COME E’ STATO CASALINGO IL NOSTRO VEGLIONE DI CAPODANNO…IN FAMIGLIA E CON BUONI AMICI, COME IL DOTTOR PAPUS, SEDUTO SUL DIVANO DI CASA…auguriAUGURISSIMI PER UN BUON 2016…CHE SICURAMENTE SARA’ MEGLIO DEL 2015!!!!!

I BUONI OSPEDALI, LA MALA SANITA’ E IL MALEDETTO DESTINO

In questi giorni di festa, purtroppo alcune notizie hanno sconvolta la nostra voglia di tranquillità e di normalità. Una, in particolare: all’ospedale Sant’Anna di Torino, una mamma di 39 anni, Angela Nesta, è morta, in circostanze misteriose, mentre stava per dare alla luce il suo primo figlio. La disgrazia non è accaduta durante il parto, ma durante le ore immediatamente precedenti, quelle del travaglio. Apparentemente le condizioni della donna erano normali, poi si è scoperto che durante la gravidanza era ingrassata di 44 chili (quando la media è di 9-12 chili in tutto), evidente segnale che qualcosa non andava. Poi, di mezzo, ci si è messo anche il maledetto destino, e nemmeno 7 medici presenti al momento in cui la donna si è sentita male sono riusciti nell’intento disperato di salvarle la vita. “Me l’hanno ammazzata!”, ha urlato, altrettanto disperato, il marito della donna, che – pensate – in un attimo ha perso tutto: l’amore della sua vita e il frutto del loro amore che lei teneva in grembo. In questi casi, di chi è la colpa? Dell’ospedale, dei medici, della loro negligenza, viene subito da dire: noi non possiamo sapere come sono andate veramente le cose, soprattutto se era umanamente possibile fare qualcosa per salvare la vita alla donna, oppure se il maledetto fato ci ha messo uno zampino troppo grande per noi piccoli esseri umani. Personalmente, conosco l’ospedale ginecologico Sant’Anna di Torino per fama (meritata fama, eccellenza della sanità italiana, almeno fino all’altro giorno) e per averlo frequentato – per motivi familiari – appena un mese fa. Sembra davvero un ospedale che funziona bene, con personale preparato e attento anche alle condizioni psicologiche delle pazienti (ci sono le future mamme al terzo piano, ma anche chi ha problemi “femminili” al secondo piano). Non è’ certo un ospedale da Terzo Mondo, come spesso di sente di dire a proposito di certe strutture pubbliche o private, di solito nel Sud d’Italia. Un buon ospedale ben attrezzato, con bravi medici, brave ostetriche e brave infermiere, può avere colpe nel peggiore dei casi di malasanità (perchè la morte di una donna mentre partorisce non può essere concepibile, nel 2015, eppure i casi sono ancora tanti, troppi)? Sulle responsabilità di chi e di come è successo, indagheranno gli ispettori inviati dal Ministero e la Magistratura (omicidio colposo contro ignoti, per ora: è questa l’ipotesi della Procura di Torino). Se c’è stato errore umano (“La tragedia forse è stata causata da un infarto”, ha detto il primario Chiara Benedetto) MAMMA E NEONATOverrà individuato e i colpevoli dovranno pagare. E sarà comunque una magra, magrissima consolazione per il marito e il papà che è rimasto in vita, con questo pesante fardello. Se di mezzo, viceversa, c’è soprattutto il maledetto destino avverso, c’è poco da dire, da aggiungere, da recriminare. Oppure, si, certo. Ma non più contro i medici. Bensì contro chi, da Lassù, appare sempre più distratto.