ARRIVIAMO A CENTO!

SABATO 14 NOVEMBRE I TEATROCI SBARCANO A CENTO, CON LO SPETTACOLO “CANI, GATTI, PARENTI E AFFINI”, IN BENEFICENZA PER IL RESTAURO DEL TEATRO BORGATTI DI CENTO, DANNEGGIATO DAL TERREMOTO DEL 2012. LO SPETTACOLO SI TERRA’ AL CENTRO POLIFUNZIONALE PANDURERA, CON INIZIO ALLE ORE 21. NOI CI SAREMO…E VOI???? locandina

LA LEGGE DEL MERCATO? E’ “DISUMANA”. MA SI PUO’ DIRE NO.

Quando mi capita di vedere un bel film, non perdo l’occasione per riflettere sul significato che il regista ha voluto dare alla sua opera. E’ il caso di “La Legge del Mercato” (La Loi du Marchè), film francese di Stephane Brizè uscito in questi giorni con una grandiosa interpretazione di Vincent Lindon, vincitore della Palma d’Oro di Miglior Attore al Festival di Cannes. Un film molto attuale, sulla crisi, economica ed individuale: una pellicola amara, malinconica, triste, rassegnata. Solo nel finale, negli ultimi istanti, si concede un attimo di speranza, speranza di un futuro migliore. La trama del film arriva direttamente dalla vita di tutti i giorni: il protagonista è un ultracinquantenne licenziato dalla propria azienda in crisi e che, tra inutili corsi di formazione e curriculum spediti ovunque, cerca disperatamente un posto di lavoro. Alla fine, dopo mille tentativi e peripezie, lo trova: guardiano in un grande supermercato, con il walkie talkie in dotazione e 100 telecamere per sorvegliare i poveracci che provano a rubare un caricabatteria o un pezzo di carne. E con i “ladri” (giovani sbandati, anziani disperati, cassiere che nascondono i buoni spesa) il nostro anti-eroe in uniforme si comporta da uomo integerrimo, senza cuore, spietato, “mors tua vita mea”, tutto pur di conservarsi il posto di lavoro. E’ la legge del mercato, no? Fino a quando, una delle cassiere “infedeli” – scoperta dal direttore – si toglie la vita proprio all’interno del supermercato. E il protagonista, a questo punto, non ce la fa più. Si toglie la divisa, la butta nel cestino e lascia per sempre il supermercato. E quel lavoro. Che lui non vuole assolutamente più fare. E quel tipo di vitalaleggedelmercato_posteritaliano. E’ anche una questione di dignità. Alla fine del film, mi è venuto da chiedermi: cosa fareste se a 50 anni vi trovaste senza lavoro e senza prospettive? Pur di sbarcare il lunario, accettereste qualunque lavoro, anche quelli “disumani” dove è necessario denunciare i poveri cristi come voi? Domanda difficile, forse senza risposta. E forse, a pensarci bene, non è nemmeno necessario andare al cinema. Basta confrontarsi con la vita di tutti i giorni. Una amara realtà per tanti di noi.

ONORE A VALENTINO ROSSI!!!

Dopo come è finito – in maniera prevedibile – il mondiale di motociclismo (con gli spagnoli in carrozza, a fare uno il galoppino dell’altro), rendiamo onore a Valentino Rossi (che può piacere o non piacere, ma è un grande campione!) e vi presentiamo in anteprima come saranno i Gran Premi del prossimo anno: primo Jorge Lorenzo e secondo il campione del mondo dell’antisportività Marc Marquez!!! Ma Valentino ci sarà!lorenzo marquez

“ADDIO A VERA, GIORNALISTA GENEROSA E ANTICONFORMISTA”

di Stefano Tallia
Giornalista Rai Piemonte e segretario Averassociazione Stampa Subalpina

“L’ultimo scambio di mail è di ieri mattina: una riflessione condivisa su come avvicinare i più giovani al sindacato, un appuntamento per parlarne ancora a quattr’occhi e trovare le parole giuste.
Era così del resto da venticinque anni, da quando, giovane attivista del movimento studentesco, incontrai Vera sulle strade della protesta torinese: giornalista attenta, curiosa e interessata anche alle tante sciocchezze che dicono i ventenni quando sognano un mondo migliore. Il confronto e lo scambio con lei erano quotidiani, ancor più intensi nelle rare volte in cui ci capitava di avere opinioni divergenti. Ma non è questo ciò di cui vorrei scrivere. I ricordi di un’amicizia è giusto che restino racchiusi dentro al cuore.
Fatemi parlare invece di quello che da oggi ci mancherà e del tanto lavoro che dovremo fare per rendere meno pesante la mancanza di Vera nel mondo del giornalismo piemontese.
Se in molti siamo diventati giornalisti, lo dobbiamo infatti a lei, a quel suo entusiasmo nell’interpretare la professione, a quella sua voglia che ci ha spinti a non mollare anche nei momenti peggiori. A quell’idea etica e al tempo stesso libera e non dogmatica del giornalismo. A quel cercare risposte che non fossero mai scontate.
Vera Schiavazzi, come hanno scritto molti colleghi, è stata per lunghi anni una delle colonne portanti della redazione torinese di Repubblica e ha arricchito con la sua firma molte altre testate. Lo ha fatto con curiosità e scegliendo sempre le parole giuste, ma è stata anche molte altre cose. Dirigente del sindacato, donna impegnata nel politico e nel sociale, c’è un filo rosso che ha legato la sua attività: l’essere al fianco dei più deboli e dei più giovani. Non a caso lo spazio che ha forse amato di più nella sua ricca carriera professionale è stato quello del Master di Giornalismo di Torino. Una scuola che ha fortissimamente voluto e difeso in più di dieci anni di lavoro, spesso sfidando solitudini e silenzi. E’ in quelle stanze che la sua missione per il giornalismo ha raggiunto il punto più alto. Non era una maestra con la penna rossa, Vera. Spesso, il suo modo di farci comprendere un errore, era quello di porre una domanda, quella domanda che ti costringeva a fare il passaggio successivo. Lo ha fatto decine di volte con me, lo ha fatto di certo con i suoi allievi del master.
Discussioni che poi si chiedevano sempre con un sorriso, con una battuta.
Oggi nessuno di noi ce la fa a sorridere, ma dovremo andare avanti nelle tante cose giuste che Vera ci ha insegnato. Lo dobbiamo a lei, lo dobbiamo a noi, lo dobbiamo a una società e a un mondo che non dobbiamo smettere di sognare migliori. E che solo quel buon giornalismo, lontano dalle ideologie ma vicino alle persone che ci ha insegnato Vera, può aiutarci a raggiungere”.

007? PREFERISCO IL JAMES BOND STAGIONATO…

TASSO CRITICONE CINEMATOGRAFICO – Posso dirlo, senza Lesa Maestà? Da quando 007 lo interpreta l’inespressivo, cattivissimo (senza un briciolo di ironia) e muscoloso Daniel Craig, ho smesso di andare al cinema a vedere i film di James Bond. Preferisco riguardare quelli vecchi, con Sean Connery e – ancora meglio – Roger Moore. (Al massimo Pierce Brosnan). E occhio alla Spectre!!!!james_bond_moore_vs_connery

CARNE ROSSA: CONSUMARE CON MODERAZIONE

La notizia che sembra aver sconvolto tutti, soprattutto i carnivori, è in realtà la scoperta dell’acqua calda: le carni rosse lavorate non fanno tanto bene alla salute, anzi, avrebbero un’incidenza cancerogena sull’insorgere dei tumori (in questo caso all’apparato digerente) pari all’eccessivo consumo di sigarette o, addirittura, all’amianto. Non sono un esperto, e quindi mi dovrei fidare degli esperti dell’agenzia dell’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che hanno compiuto questa indagine sulla carne, trasmettendoci il loro nefasto messaggio: la carne uccide. Sul web si è scatenato un vero putiferio: i carnivori che annunciano che continueranno tranquillamente a mangiare carne (vi consiglio www.braciamiancora.com)Panini-insaccati_o_su_horizontal_fixed, i vegetariani e i vegani che gongolano dicendo “Io lo sapevo”, i produttori di carne che inveiscono del tipo “ci vogliono rovinare”, i buontemponi che fanno caricature di confezioni di wurstel con su scritto “il wurstel uccide”, come se fosse un normale pacchetto di sigarette. Forse, come sempre, la verità sta nel mezzo: la carne rossa lavorata (quindi, soprattutto gli insaccati) non fa bene? E allora cerchiamo di non mangiarne troppa, solo un paio di volte alla settimana. I nutrizionisti sanno da anni che la tendenza è questa: riduciamo (all’osso) la carne rossa, ma non criminalizziamola. Lo sapeva anche James Bond, che in un film di 30 anni fa (“Mai dire mai” con Sean Connery), spedito in un centro di riabilitazione, si vide imporre una rigida dieta per restare in forma…”Troppi radicali liberi”, gli disse il suo superiore. Che, a un Bond sorpreso, spiegò cosi: “Sono delle tossine che distruggono il corpo e il cervello, provocate da troppa carne rossa e troppo pane bianco. Nonchè troppi Martini”. E 007, serafico, ribattè da par suo: “Farò a meno del pane bianco”.
Questo per dire che lo sapevamo già che la carne rossa non fa benissimo (eufemismo!): ma da qui all’allarmismo sicuramente scattato ce ne passa, eccome. E ci saranno conseguenze anche economiche: per questi primi giorni, c’è da scommettere un crollo negli acquisti e nei consumi della carne, persino della tanto apprezzata bresaola della Valtellina…e poi? E poi, forse, tutto finirà nel dimenticatoio. E sarebbe un grave errore. Ricordiamoci di questa ricerca: e riduciamo veramente il consumo di carne. Lo farò anch’io, che sono un carnivoro assolutamente convinto, un amante di prosciutto, mortadella e salame. Ma alla salute ci tengo. E da qualche tempo ancora di più, dopo aver perso un amico per un cancro all’intestino. E dopo essermi avvicinato ad un modo più intelligente e più sano di fare la spesa e di acquistare i prodotti al supermercato. Basterà per campare 100 anni? Temo di no, purtroppo. Non dimentichiamoci, infatti, che le brutte malattie – statistiche alla mano – colpiscono anche chi non fuma, chi non beve, chi non mangia carne. Purtroppo il veleno è tra di noi, nel cibo, nella terra, nell’acqua, nell’aria. Mi viene sempre in mente il grande scrittore Tiziano Terzani, 30 anni da vegetariano, una vita all’orientale per morire con il più classico e tremendo dei mali occidentali. Al di là di tutto, credo che una riflessione seria, molto seria, su quello che noi mangiano tutti i giorni sia assolutamente doverosa e si imponga anche alle istituzioni. Ma i primi a preoccuparcene dobbiamo esserne proprio noi stessi. Ogni giorno.

UNA SETTIMANA CONTRO LO SPRECO. E ADESSO SI CONTINUA….

Grazie all’amico Antonio Cajelli, ho vissuto una intensa settimana contro lo spreco alimentare. Già conoscevo le attività di conferenza-spettacolo del Cajelli e del suo prode compagno di avventura, l’avvocato Massimo Melpignano, già protagonisti di oltre 70 incontri pubblici sul tema “Brutti come il debito”, ma finalmente ho avuto modo di assistere dal vivo al loro nuovo “show”, dedicato alla lotta contro lo spreco alimentare: “C’era una volta il ueist (food)”. Dove “ueist” non è altro che la pronuncia italiana della parola “waste” (spreco). Chiaro il messaggio, no? Ancor più chiaro se l’incontro si tiene all’Expo, in un piovosissimo martedì milanese, nello spazio di “Casa Don Bosco”, là dove i salesiani non dimenticano mai l’importanza dell’istruzione e della formazione. Un’oretta filata via liscia liscia, ma ricca di indicazioni interessanti: dal neuromarketing alla sicurezza alimentare e alla lotta contro il cibo buttato, dal modo di fare la spesa al sapere leggere le etichette dei prodotti, dal “tonno a presunto chilometro zero” fino alla legalità del cibo. E molto altro. Argomenti in grado di interessare chiunque, perchè inevitabilmente legati alla nostra vita di tutti i giorni, visto che la spesa dobbiamo farla tutti e riempire il frigo, pure. E già, quel martedi sera, a casa, ho cominciato a pensare che sia davvero uno spreco non finire quello che – per fortuna – abbiamo nel piatto. Qualche buontempone mi ha detto che io do giù il mio contributo, visto che solitamente “spazzolo” via tutto e non lascio nulla per gli altri. Ma ritengo che il discorso sia molto più ampio. Eppure è già importante che ognuno di noi faccia la sua piccola parte. E comunque, non pago di quanto appreso dalla mitica coppia Cajelli&Melpignano, il sabato me ne vado addirittura a Milano, sfarzosamente vestita da ultime settimane di Esposizione Universale e, all’ombra del Castello Sforzesco, ho cercato di dare il mio piccolo contributo alla causa, partecipando insieme ad Antonio Cajelli (autentica star mediatica!) e al leggendario Alberto Dragotta, esponente del Ciheam di Bari (istituto agronomico del Mediterraneo) ad un incontro dedicato proprio al tema dello spreco alimentare. E non poteva essere altrimenti, visto che proprio quel giorno Milano ha celebrato il “Feeding the 5000”, evento internazionale sbarcato finalmente anche in Italia: di fatto, il comune ha offerto 5 mila pasti gratuiti a tutti coloro che sono passati sotto il tendone di piazza Castello, proprio dove c’era scritto “Cibo x tutti”. Pasta, carne e verdure. Davvero per tutti. Rigorosamente in coda. E pazienza se poi noi, alla fine, siamo andati al chiosco lì vicino, “dal Politico”: troppo forte era la tentazione di prenderci un panino Renzi o Salvini, Marrazzo o Berlusconi, Gelmini, Formigoni o Letta. Per la cronaca, io ho optato per un panino Rosy Bindi, fatto con la porchetta. E poi le cose non capitano mai per caso: durante il viaggio di ritorno, io e Antonio Cajelli abbiamo scoperto che una ragazza, passeggera dello stesso Frecciarossa, aveva dimenticato un sacchetto con dentro un hamburger e una bottiglia di acqua. Il valente Cajelli, alla stazione di Porta Nuova, a Torino, ha trovato due senzatetto che si sono piacevolmente divisi l’hamburger e l’acqua. Niente spreco, mai. E’ la nostra parola d’ordine. Un degno finale per una bella giornata, per una bella settimana contro lo spreco. ciboMa non è finita qui: adesso si continua, 365 giorni all’anno…

INTER-JUVE: DERBY D’ITALIA (CON POCHI ITALIANI)

Tutti lo chiamano “Il Derby d’Italia” e chissà perchè. Forse questa definizione non ha un esatto valore storico, ma sicuramente negli ultimi 15-20 anni è la partita più attesa dell’anno calcistico italiano, con buona pace del Milan, del Napoli, della Roma e compagnia bella. Quindi: se non va bene “Derby d’Italia”, “Rivalità d’Italia” può essere la definizione più azzeccata. Anche se, diciamo sinceramente, di italiano è rimasto ben poco: i due allenatori, qualche giocatore (nella Juve), la proprietà della Juve e basta. Visto che il padrone dell’Inter è un certo indonesiano. A parte l’italianità pressochè andata perduta, spesso in gioco c’è stato lo scudetto e, se non il triangolino tricolore, c’è sempre stata di mezzo una certa supremazia, tecnica e soprattutto dirigenziale e societaria, solitamente appannaggio della Juve. Con l’inevitabile contorno di polemiche, di rigori non dati, di scandali, di calciopoli, di passaportopoli, di scudetti cartonati e scudetti tri-stellati. Ma è sempre Inter-Juve, una signora partita. Nell’immaginario collettivo e nella memoria storica, forse sono tre (forse quattro) le partite bianconereazzurre rimaste scolpite: il 9-1 della Juve del 10 giugno 1961, il match-farsa da cui, probabilmente, prese il via la grande rivalità tra le due squadre. La storia è arcinota: in seguito ad una partita interrotta per invasione di campo al Comunale di Torino, invece della vittoria a tavolino all’Inter, fu decisa la ripetizione della gara e, per polemica, il presidente Moratti senior e l’allenatore Helenio Herrera mandarono in campo la squadra Primavera. Finì 9-1, (sei gol di Omar Sivori, uno di un certo Sandro Mazzola e ultima partita di Giampiero Boniperti) con conseguente scudetto alla Juve, che peraltro l’aveva vinto matematicamente già in anticipo, dopo una clamorosa sconfitta nerazzurra a Catania (da cui il famoso “Calmoroso al Cibali!” di Sandro Ciotti).
Gli interisti ricordano più volentieri il 4-0 dell’11 novembre 1979: tripletta di Spillo Altobelli e gol di Muraro. L’Inter era allenata da Bersellini, poi destinata a vincere il titolo, la Juve del Trap era una Juve di transizione, con Fanna, Verza e Marocchino. Un altro poker l’Inter lo rifila alla Juve un altro 11 novembre, cinque anni dopo, nel 1984: ispirazioni dell’ex Liam Brady, doppietta di Kalle Rummenigge (i suoi primi gol italiani) e reti di Ferri e Collovati. Castagner mette…in castagna il Trap, costretto a fare a meno di Boniek e, a partita in corso, anche di Paolo Rossi, sostituiti da Vignola e Koetting. Non proprio la stessa cosa…
Infine, la madre di tutte le polemiche: 26 aprile 1998, arbitro Ceccarini. Finisce 1-0, ma tutti si ricordano solo del celeberrimo fallo di Juliano su Ronaldo non punito con il calcio di rigore e la celeberrima sfuriata finale di Gigi Simoni, uno dei pionieri del genere “piangina”Inter-Juventus-744x445.
Anche per queste sfide, Juve-Inter non è, non può essere, una partita come le altre. Inter-vs-Juventus

BISOGNA SAPER PERDERE…

In un mondo dove tutti voglio solo vincere, può diventare effettivamente difficile riuscire a saper perdere. Lo cantavano persino i Rokes, attualmente misconosciuto gruppo musicale tirato puntualmente in ballo (come sto facendo io) in queste occasioni, grazie a quel loro brano del 1967. Bisogna sapere perdere. Già. Si potrebbe cominciare a parlarne da certi politici, che – ad ogni elezione – invece di pronunciare la fatidica maledetta parola “sconfitta” preferiscono un biblico giro di parole per dire che “abbiamo ottenuto qualcosa meno del previsto, ma sostanzialmente abbiamo tenuto”. Ecco, sapere perdere, appunto. Con stile. Lo spunto me lo dà, viceversa, una vicenda di cronaca sportiva marginale che viene dalle mie parti, esattamente dalla provincia di Bologna: una partita del campionato giovanissimi provinciale tra Ponte Ronca e Persiceto 85 è stata sospesa dall’arbitro sul punteggio di 31-0 per il Persiceto. “Manifesta inferiorità”, il motivo ufficiale dell’interruzione dell’incontro. “Ormai era un massacro”, ha dichiarato l’arbitro, un 20enne alla settima direzione arbitrale, in questo caso d una partita tra 14enni con, a quanto pare, evidenti differenze di talento. E poi, che è successo? Apriti cielo! L’AIA, la sezione arbitrale di Bologna, ho subito sospeso il giovane arbitro – che, crediamo, non avrà più tanta voglia di fischiare ancora – reo di non aver applicato il regolamento, che non prevede mai la fine della partita neppure in casi di risultati estremi come questo 31-0. Ma non è tutto: su questa notiziola si sono buttati a capofitto eminenti psicologi, ex arbitri ed ex calciatori. E, improvvisamente, mi sono sentito chiuso all’angolo: già, perchè io sto dalla parte dell’arbitro e degli allenatori delle due squadre. Il motivo? Tra ragazzi credo che il rispetto degli avversari possa essere manifestato anche e soprattutto cosi, con la fine anticipata di una gara che sta mettendo in forte imbarazzo – direi, in umiliazione – una delle due partecipanti. Magari il discorso sulla sportività vale per i professionisti (“il rispetto agli avversari si dimostra anche impegnandosi al massimo fino alla fine qualunque sia il risultato”, hanno filosofeggiato, tra gli altri, l’ex arbitro Paolo Casarin e l’ex azzurro Beppe Bergomi), ma non tra i ragazzi. Almeno io la penso così. Sarebbe come continuare a prendere in giro un compagno di scuola che prende sempre zero in pagella, e non perchè non si impegni, ma soltanto per manifeste inferiori capacità. Non vi sentireste un po’ cattivelli a farlo? Secondo il mio giudizio, il giovane arbitro è stato molto “umano” (andava premiato, non punito!), ma il migliore di tutti è stato l’allenatore del Ponte Ronca, sotto di 31 gol, che ha voluto risparmiare una figuraccia ancora più pesante ai suoi ragazzi ai quali è sicuramente molto affezionato. In certi casi, come questo, “gettare la spugna” è segno di classe, di coscienza dei propri limiti. Va bene mettercela tutta, ma non si può sempre e comunque andare avanti, a tutti i costi, sbattendo la testa contro il muro o contro una squadra molto più forte. Sarebbe un utile insegnamento anche per certi nostri politici e dirigenti, che non mollano mai la presa e non si dimettono mai, nemmeno quando mollare la presa, dimettersi e uscire dignitosamente di scena. sarebbe la sola cosa signorile da fare. Ma non la fa nessuno. calcio giovanile bis

L’AFFIDO, SEMPRE PIU’ VICINO ALL’ADOZIONE

Qualcosa si muove nell’intricato mondo delle adozioni. Non certo la tanto auspicata “sburocratizzazione” delle adozioni, che ancora impone regole, limiti e paletti quasi insormontabili che spesso scoraggiano anche le coppie più desiderose di diventare genitori (con conseguente ricorso alle adozioni illegali), ma almeno è un passo in avanti verso l’avvicinamento tra l’istituto dell’affido e quello dell’adozione vera e propria. La Camera dei Deputati, infatti, ha dato il via libera definitivo alla nuova legge sulla continuità affettiva, che introduce una corsia preferenziale per le adozioni da parte delle famiglie che hanno avuto in affido minori in stato di abbandono e adottabilità. La legge dice, di fatto, una cosa che più semplice non si può: le famiglie affidatarie hanno una corsia preferenziale nell’adozione. In parole povere: d’ora in poi il tribunale dei minori ha il dovere di “tenere conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria” prima di decidere i genitori adottivi dei minori in stato di abbandono. A tal fine, tuttavia, dovrà essere obbligatoriamente acquisito il parere dei servizi sociali. Una norma che dovrebbe essere naturale, scontata, visto che con quelle madri e padri ” a tempo” i bambini hanno magari già trascorso un pezzo di infanzia o di adolescenza. Invece in Italia ci sono voluti circa quindici anni, e un lavoro di mediazione certosina, perché si arrivasse ad una legge che permetterà, da domani, anche ai genitori dell’affido di “concorrere” all’adozione del ragazzino e della ragazzina dei quali, di fatto, sono già figure fondamentali. Evitando così traumi e lacerazioni. Nei nostri ricordi, infatti, riaffora ancora il clamoroso caso di una coppia di Cogoleto (Genova), che nel settembre 2006 nascose “in un luogo sicuro” la loro bambina bielorussa di 10 anni avuta in affidamento per paura che facesse ritorno in patria (cosa che poi ha fatto) nell’orfanotrofio dove subiva soprusi e violenza. Fu un vero caso diplomatico, ricordate? E adesso? Chissà che fine ha fatto quella bambina, che ormai avrà 20 anni, e chissà se vede ancora i suoi genitori affidatari… Ecco perchè la nuova legge è importante, certo che sì. Dalla norma sono però esclusi, ancora una volta, single e coppie di fatto: e viene da pensare che le coppie di fatto non abbiano veramente alcun diritto in Italia. O no?
LE NOVITÀbambini-affidamento
Affidatari in corsia preferenziale. La legge rivoluziona la disciplina sugli affidi. Se finora era espressamente vietato alle famiglie di adottare il minore che hanno preso in affido (e francamente non se ne capisce il motivo), ora le cose cambiano radicalmente: se viene accertata l’impossibilità di recuperare il rapporto con la famiglia d’origine, il tribunale dei minorenni, nel decidere sull’adozione del minore, deve tenere conto dei legami affettivi e del rapporto consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. La “corsia preferenziale” entrerà in vigore soltanto quando la famiglia affidataria soddisfi tutti i requisiti per l’adozione previsti dalla legge del 1983 (stabile rapporto di coppia, idoneità all’adozione e differenza d’età con l’adottato) e quando con l’affidamento si sia creato un rapporto “stabile e duraturo” con il minore.
Tutela della continuità affettiva. Nell’interesse del minore è garantita continuità affettiva con gli affidatari (come, ad esempio, il diritto di visita) anche in caso di ritorno alla famiglia di origine e adozione o nuovo affido ad altra famiglia. Il giudice peraltro, nel decidere sul ritorno in famiglia, sull’adozione o sul nuovo affidamento dovrà ascoltare anche il parere del minore.
Più poteri in tribunale. Si ampliano i diritti degli affidatari: chi ha il minore in affido è legittimato a intervenire (c’è l’obbligo di convocazione a pena di nullità) in tutti i procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, affidamento e adottabilità relativi al minore. E’ poi prevista la facoltà di presentare memorie nell’interesse del minore.
Per i ragazzi più grandi. Per i ragazzi più grandi, quelli sopra i 12 anni, la legge prevede che siano ascoltati dal giudice che deve decidere tra ritorno alla famiglia di origine, adozione o nuovo affidamento.
Adozione degli orfani. L’articolo 4, infine, riguarda una delle ipotesi di “adozione in casi particolari”: quella dell’orfano di padre e di madre che potrà essere adottato da persone a lui legate da un vincolo di parentela (fino al sesto grado) o da rapporto “stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori”. In tal caso, l’adozione è consentita anche alle coppie di fatto e al single; se però l’adottante è coniugato e non separato, l’adozione deve essere richiesta da entrambi i coniugi.
i requisiti per l’affido
Ma come funziona l’affido? Chi può proporsi come affidatario? A chi rivolgersi? E’ complicatissimo l’iter burocratico per le adozioni, ma non è molto più agevole nemmeno il cammino per l’affido. Secondo quanto spiega l’Afaa (l’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), i cittadini che danno la loro disponibilità alle istituzioni ad accogliere un minore in affidamento familiare possono essere: coppie sposate con o senza figli, coppie non sposate con o senza figli e – almeno in questo caso – pure i single. Non sono previsti limiti di età e neppure è prevista una differenza di età minima o massima tra gli affidatari e il minore affidato. “Non si ricercano famiglie eccezionali, quanto piuttosto consapevoli della scelta”, si legge nel sito dell’associazione. Che così continua: “In famiglia la decisione di dare la disponibilità all’affido va condivisa da tutti i componenti: coniuge, figli (se ci sono) e nonni, soprattutto se conviventi. Non è cioè consigliabile lasciarsi trascinare in questa esperienza per “accontentare” l’altro coniuge; i risultati possono essere negativi anzitutto per il minore affidato, costretto dalle circostanze a cambiare famiglia e ambiente, ma anche per la famiglia affidataria”.
Come diventare famiglia affidataria
Per dare la disponibilità ci si può rivolgere ai Servizi Sociali del proprio Comune. Da parte dei Servizi verrà così attivato un percorso di conoscenza e valutazione della coppia o persona singola disponibile; in caso di valutazione favorevole e in attesa dell’abbinamento con un minore seguirà un percorso di formazione all’esperienza dell’affidamento. La fase di conoscenza e valutazione è costituita da una serie di incontri (da 3 a 6 colloqui più la visita domiciliare) organizzati dall’équipe affidamenti del Comune (assistenti sociali e psicologi). Nel caso di famiglia con figli è necessario il loro coinvolgimento nel percorso di conoscenza con modalità concordate insieme ai genitori e compatibilmente con la loro età. Allo stesso modo gli operatori si preoccuperanno di coinvolgere gli adulti conviventi con gli aspiranti affidatari. Nell’attesa dell’abbinamento, che può richiedere un tempo più o meno lungo e non facilmente quantificabile, gli aspiranti affidatari ritenuti idonei verranno inseriti in un percorso di formazione. La formazione può essere effettuata prima, durante e dopo la fase della conoscenza e valutazione delle persone che vogliono accogliere. Questa fase deve essere condotta dall’assistente sociale e dallo psicologo e, dove presente, dall’educatore. I formatori devono aver cura di rendere consapevoli i partecipanti che la valutazione e la propria autovalutazione sono un processo protettivo indispensabile non solo per i minori che si vogliono aiutare, ma per i nuclei affidatari stessi. Si prevedono solitamente da 4 a 6 incontri a cadenza ravvicinata.
Come spiega l’Afaa, gli obiettivi della formazione sono molteplici: favorire negli affidatari la consapevolezza del proprio ruolo all’interno della rete dell’affido, stimolare una riflessione critica sulle dinamiche emotivo-relazionali che si attivano negli affidatari durante il progetto di affido e stimolare la visione del cambiamento che la famiglia affronterà durante il progetto di affido. La formazione si deve attuare preferibilmente in gruppo, in quanto si tratta di un contesto privilegiato che permette l’attivazione di dinamiche relazionali specifiche a ciascuno e favorisce lo scambio di punti di vista differenti. E’ opportuno che il gruppo di formazione sia composto da persone allo stesso livello di esperienza rispetto all’affido. Si possono utilizzare le diverse tecniche di conduzione dei gruppi, con l’obiettivo di sollecitare l’emergere di contenuti di tipo emotivo. E’ auspicabile l’utilizzo di strumenti diversi, come ad esempio: la testimonianza di una famiglia affidataria, la lettura di un progetto di affido, la visione di filmati sull’argomento e giochi di ruolo.
Nostro modesto parere personale: ben venga questo avvicinamento “di legge” tra affido e adozioni, ma crediamo che ci sia molto da “sburocratizzare” anche per quanto riguarda lo stesso affido familiare. La strada ci sembra ancora lunga.