E’ FRESCO DI STAMPA IL MIO NUOVO LIBRO, IL QUARTO: SI INTITOLA “IL NEMICO DEL GIAGUARO”, E’ UN GIALLO A TINTE NOIR, AMBIENTATO NEL 1992, IN PIENA TANGENTOPOLI, A META’ STRADA TRA LA NOIOSA PROVINCIA ITALIANA, A FERRARA, E L’EUROPA DELL’EST DEL DOPO-MURO DI BERLINO. ALLA FINE PROVATE AD IMMAGINARE CHI SARA’ “IL NEMICO DEL GIAGUARO”.
LA PRIMA PRESENTAZIONE DEL LIBRO AVVERA’ DOMENICA 17 MAGGIO ALLE ORE 11, A TORINO, IN VIA DEGO 6, ALL’INTERNO DELLA CIRCOSCRIZIONE CENTRO, NELL’AMBITO DEL SALONE DEL LIBRO OFF 2015! VI ASPETTO!!!! CI SARA’ ANCHE L’APERITIME…
FELTRI COME LA FALLACI? PERO’ UN PO’ HA RAGIONE…
Mentre l’Unione Europea fa finta di costringere i paesi membri ad accettare i tanti, troppi migranti che dal Nordafrica e dintorni stanno arrivando sulle coste italiane (fa finta perchè, naturalmente, già parecchi paesi europei hanno detto chiaramente “no, non li vogliamo”), mi capita di leggere casualmente un articolo con l’estratto del primo capitolo del nuovo libro di Vittorio Feltri. Il grande direttore bergamasco, battagliero da par suo, uno dei miei idoli giovani ai tempi della sua direzione de “L’Indipendente” (un tantinello filo-Lega Nord inizio anni ’90), a dire il vero mi pareva un po’ imbolsito dal passare degli editoriali, degli anni e dei frequenti salotti televisivi. Leggo con curiosità l’incipit del suo libro dal titolo “Non abbiamo abbastanza paura”, dedicato all’Islam e al nostro rapporto con i musulmani “normali”. Ecco: mi ha sorpreso. Citando più volte la collega Oriana Fallaci, di cui si arroga il ruolo di immeritato erede, Feltri ci racconta la vita di tutti i giorni dei musulmani di casa nostra, passando dal sorriso largo un metro della sua colf somala il giorno maledetto delle Torri Gemelle alla tragedia di Oslo del 2011 (ricordate il killer pazzo che sparò contro i giovani di una convention politica?) fino ai grandi tragici eventi degli ultimi mesi, Charlie Hebdo e Museo di Tunisi, i video terribili degli incappucciati dell’Isis e delle loro povere vittime vestite di arancione. Tutto ciò, scrive Feltri, dovrebbe farci una paura boia. Lui ammetta di avercela: “una paura fottuta”. Ma noi italiani, noi occidentali, non “abbiamo abbastanza paura”, convinti che siano fenomeno marginali, non più lontanissimi ma nemmeno cosi vicinissimi, e poi prima o poi le forze del Bene trionferanno sul Male e sulle Bandiere Nere. Feltri non la pensa così e prova a spiegarci il suo punto di vista. Devo dire che mi sono ritrovato nella sue parole: abbiamo paura sul momento (pensiamo a Charlie Hebdo), ma poi tutto passa, tutto scorre. Ha ragione, Feltri. Credo proprio che mi comprerò il suo libro. E cercherò di leggere anche il libro “Sottomissione” di Michel Houellellebecq, che tanto ha fatto discutere, soprattutto in Francia.
Con questo libro, dopo tante polemiche politiche stucchevoli, ritroviamo un Feltri in grande spolvero. E, a modo suo, prova a spiegarci come salvarci dall’Islam. E come possiamo salvarci la pelle.
I DURI LAVORI DEL DOTTOR TASSO…
E meno male che c’è sempre qualcuno che mi ricorda che fare il giornalista è sempre meglio di lavorare….in effetti, il dottor Tasso ha tentato di cimentarsi in altre attività professionali decisamente più manuali, tipo il coltivatore diretto e mungitore di vacche, nonché l’apprendista muratore, ma i risultati sono questi, sotto gli occhi di tutti…
LA FACCIA PULITA DI UNO SPORCO PALLONE
In pochi giorni il mondo del Dio italiano del Pallone – sempre più allo sfascio, paradigma di un Paese altrettanto catastrofico in molto aspetti della vita quotidiana – ci ha regalato il meglio e il peggio del proprio repertorio. Anzi, in ordine cronologico: il peggio e il meglio di sé. Partiamo dal derby di Torino, storicamente vinto sul campo dal Toro dopo vent’anni d’attesa, ma macchiata in maniera irreversibile da incidenti che, per la sfida della Mole, stanno diventando una pessima abitudine. Calci, pugni e sassi all’autobus dei giocatori della Juve da una parte (granata), addirittura una bomba carta fatta esplodere dentro lo stadio dai tifosi bianconeri e lanciata verso il settore dei tifosi avversari. Possiamo dirlo? Poteva pure scapparci il morto. E allora, in quel tragico caso, sarebbe stato patetico e dolorosa, il gioco dello scaricabarile tra le società e le tifoserie e la scarsa professionalità delle forze dell’ordine, che per 48 ore non sono riuscite a capire chi fosse il responsabile della bomba carta. Per fortuna non è successo il peggio: e proprio per questo, dopo i primi giorni di bufera, di titoloni sui giornali, di parole al vento e di promesse ministeriali di “ulteriore giro di vite” (ulteriore?), si rischia di tornare all’abitudinaria consuetudine degli incidenti dei nostri stadi, che sia l’assalto dei tifosi (?) ai giocatori del Cagliari, che sia le macabre messinscena degli ultras del Varese sul loro stesso terreno gioco. Da Vincenzo Paparelli (tifoso della Lazio morto allo stadio il 28 ottobre 1979, colpito da un razzo lanciato dalla curva della Roma) in poi, poco è cambiato negli stadi. E le vittime sono state tante, troppe. Ora ci sono più steward e meno poliziotti, ma la violenza cova ancora, sempre, sotto la cenere. Come fare ad estirparla? Il presidente del Coni Malagò si riempie la bocca della Thatcher, degli hoolingas inglesi e delle severe pene inflitte allora ai supporter d’Oltremanica. Forse potrebbe pure funzionare: certo la galera sarebbe un deterrente più convincente di un patetico Daspo (che peraltro qualcuno invoca anche per il picchiatore argentino dell’Atalanta Denis, autore di un cazzotto post-partita ad un avversario già negli spogliatoi). Succede di tutto in questo calcio e, sinceramente, non viene proprio voglia di portare amici, mogli, fidanzate e figli allo stadio. Certo che no. Meglio la pay-tv, sul divano, al calduccio, senza balordi attorno. Poi però…
Poi però accade di andare a vedere una partita “storica” per la promozione del piccolo grande Carpi (70.000 abitanti, in una zona laboriosa dell’Emilia, messa in ginocchio dal terremoto, ma subito in grado di risollevarsi senza troppi piagnistei), una squadretta di provincia che non piace a Lotito e ai grandi soloni del calcio italiano, ma che per la prima volta nella sua storia sbarca in serie A. E pazienza se non fa cassetta, se non fa audience, se non ha pubblico, se non ha nemmeno lo stadio a norma: nonostante tutto è arrivata prima in classifica e merita la serie A. L’altra sera, sotto una pioggia battente, ho visto amici e amiche, fidanzati e fidanzate, mogli, mariti e tanti bambini, tutti insieme allo stadio, pronti a festeggiare per una lunga notte, tutti insieme senza nessuna paura, solo per il gusto del calcio, solo per stare insieme, divertirsi, senza pericoli, senza preoccupazioni. Che sia questo il calcio del futuro? Piccole città, piccoli stadi, il calcio pane e salame del Carpi, del Sassuolo e del Chievo? Probabilmente è un’utopia, ma visto che il Dio italiano del Pallone ogni tanto si ricorda di santificare ancora il gioco più bello del mondo, allora non è tutto perduto. A parte che il Carpi e i suoi tifosi rimangano cosi come sono e non cerchino di scimmiottare i “mastini” delle curve. Se così sarà, la speranza di “salvare” il calcio – il nostro oppio della domenica (ma anche di tutti gli altri giorni, ormai) – sarà finalmente concreta. E se migliorano gli stadi, crediamo che possa migliorare anche la nostra società.
P.s. In bocca al lupo al Carpi per la prossima serie A!
LA PICCOLA GRANDE BARZELLETTA DEI MUSEI GRATIS
Dal 1° luglio 2014, la legge-Franceschini, ministro dei Beni Culturali, ha introdotto finalmente una bella novità: la prima domenica di ogni mese tutti i musei e palazzi storici italiani saranno aperti gratuitamente al pubblico! Una grande notizia, che porta l’Italia allo stesso livello di altri paesi europei, come ad esempio la Francia, che da anni adotta questo sistema di promozione turistica. Ebbene: a distanza di diversi mesi, con un colpevole ritardo, ho potuto verificare sul “campo” il non completo successo di questa iniziativa. Un classico esempio di poca chiarezza all’italiana. E’ successo la prima domenica di aprile, quando alcuni amici e parenti sono venuti a trovarmi a Torino: quale migliore occasione per visitare alcuni dei musei e palazzi storici più noti? E allora cominciamo con la Reggia di Venaria, splendida residenza sabauda riaperta nel 2007 dopo quarant’anni di abbandono, degrado e oblio. Ebbene: l’ingresso alla Reggia di Venaria è tutt’altro che gratis. Il costo della visita completa (Reggia+giardini+mostra) costa addirittura 25 euro (ma solo un euro per i ragazzi fino ai 16 anni). 25 euro per la Reggia di Venaria? Un po’ tanti se pensiamo che il Louvre di Parigi – un tantino più famoso – costa appena 10 euro e che British Museum e National Gallery di Londra hanno ingresso sempre gratuito, con offerta libera consigliata di due sterline. Ma, al di là del costo, perchè la Reggia di Venaria non è gratis la prima domenica del mese? Giriamo la domanda ai solerti inservienti (talmente solerti che, alle 18, già non vedevano l’ora di chiudere baracca e burattini): “La Reggia di Venaria non è gratis perchè non è un museo o edificio statale, ma regionale”. Capito? E noi che pensavamo che un museo regionale fosse pubblico come quello statale: e invece no! Che fregatura…
Poco male: ci spostiamo di pochi km e da Venaria ci trasferiamo a Stupinigi, nella bellissima Palazzina di Caccia, anche questa spettacolare vestigia dei Savoia dei loro tempi migliori e più rigogliosi. Ma anche qui niente da fare: pure la Palazzina di Stupinigi è regionale e non statale e quindi, anche in questo caso, niente prima domenica del mese gratis nemmeno in questo caso! Si vede che va così: i musei italiani saranno anche aperti alla domenica, ma con le dovute eccezioni. E allora scrivete: “Aperti solo i musei statali”. Insomma: una piccola grande barzelletta, quella di tutti i musei aperti. Anche se, in questo caso, la responsabilità è delle istituzioni locali, lentissime nel recepire le direttive del ministero. E così, quella domenica, con gli amici e parenti, abbiamo dovuto ripiegare sul Museo Egizio, appena rinnovato: qui si che l’ingresso è gratuito. Ma con due ore di coda! Ergo: abbiamo lasciato perdere. E quando ho accennato a lamentarmi, qualcuno ha osato zittirmi dicendomi: “Si informi meglio, guardi il sito internet!”. Detto, fatto: almeno per la prossima volta. Il sito di riferimento è www.beniculturali.it: e così ho scoperto che la prossima prima domenica del mese potrò andare gratuitamente agli Scavi di Pompei, al Colosseo, al Castello Sforzesco di Milano, agli Uffizi di Firenze, alla Pinacoteca di Brera e in decine e decine di altri musei, grandi e piccoli, in tutta Italia. Ma, tra gli altri, non si potrà entrare gratuitamente all’Arena di Verona, alla Torre di Pisa, al Palazzo Ducale di Genova (in Liguria i siti statali visitabili gratis sono solo 5: possibile che gli altri siano tutti regionali?), al Palazzo dei Diamanti di Ferrara e nemmeno al Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono custoditi i famosi Bronzi di Riace: la loro riapertura è prevista solo dal 1° maggio, dopo sei mesi di lavori per il nuovo allestimento e ancora non si sa se alla domenica il museo, peraltro periferico e poco visitato, sarà aperto al pubblico. Insomma: una bella iniziativa, rovinata dalla solita pessima organizzazione all’italiana. Però, volendo, per migliorarla basta poco. Così come le tessere-sconto: meglio gli sconti per gli over 65 o, come in altri paesi, per gli under 25? Questione di scelte. Forse l’Italia non è un paese per giovani.
LA NOSTRA NUOVA COMPAGNA DI VITA: LA PAURA
Tra la tragedia di Charlie Hebdo, l’attentato di Tunisi e l’aereo della Germanwings fatto precipitare contro la montagna da un pilota depresso, il 2015 è già da annoverare fra i peggiori anni della nostra vita. E siamo solo a fine marzo! Alla faccia dei brindisi di “Buon Anno” di appena tre mesi fa. Ricordate?
E tutti questi sono avvenimenti “globali”, che riguardano indirettamente tutti, in ogni angolo di mondo. Poi, a peggiorare un anno già funesto, ci si mettono anche le piccole grandi tragedie personali. Nel mio caso, la scomparsa della mia mamma e il terribile suicidio di un giovane collega che consideravo un amico.
Già non vedo l’ora che questo maledetto 2015 si tolga dai piedi.
Sembrava impossibile fare peggio del 2014, invece…al peggio non c’è mai fine.
E, come se non bastasse, i problemi di lavoro, che ormai attanagliano tutti. Con la paura dell’incertezza. Con l’incertezza della paura.
Già:la Paura.
Ormai è diventata fedele compagna della nostra vita: abbiamo paura del futuro, abbiamo paura di non arrivare alla fine del mese, abbiamo paura di avere una brutta malattia, abbiamo paura delle bande di rumeni e albanesi (e italiani) che assalgono le nostre case, abbiamo paura dei terremoti e delle alluvioni, abbiamo paura delle facce da arabi, avremo paura di andare al museo, avremo paura di salire su un aereo, avremo paura di andare persino in spiaggia sul Mar Rosso, la nostra vita non sarà più senza paura.
E’ l’effetto del “terrorismo del Terzo Millennio” (anzi: mi sono stupito che nessuno abbia rivendicato, anche falsamente, la tragedia dell’aereo tedesco), è l’effetto di una crisi che sembra non finire mai, e’ l’effetto di una microcriminalità dilagante, è l’effetto della mancanza di fiducia verso le istituzioni, verso la scuola, persino verso la famiglia.
Come ne usciamo dal tunnel della paura?
Affrontandole, le nostre paure.
Evitando le situazioni e – soprattutto – le persone negative.
Più facile a dirsi che a farsi, certo.
Io stesso sto cercando di togliermi le piccole grandi paure che ho, nella vita di tutti i giorni. Bisogna farlo, altrimenti rimango impantanato nelle sabbie mobili di una vita sottotono, di una vita che non ci appartiene. E anche stavolta scomodiamo Paolo Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
Una bella frase ad effetto, anche stavolta più facile a scriversi che a farsi.
Ma anche una sacrosanta verità.
Vi fa paura?
O ci proviamo a non aver paura?
CIAO, MAMMA!
C‘era uno splendido sole per l’ultimo saluto alla mamma…che bella l’omelia di don Gabriele…….
La famiglia Tassinari -oltre a me, mio papa’ Guido, mia sorella Susanna, mia moglie Antonietta e mio cognato Stefano- ringrazia tutti i parenti, amici e conoscenti che hanno potuto partecipare al funerale di Maria Teresa Ghisellini e tutti coloro che in questi giorni, con tutte le modalita’ possibili di comunicazione, ci hanno testimoniato le loro condoglianze e la loro vicinanza. Grazie ancora. La mamma ne sarebbe orgogliosa!
VITA DURA PER I GIORNALISTI. E UN PO’ CE LA MERITIAMO…
Dalla tragedia di Parigi del settimanale satirico “Charlie Hebdo” in poi, la vita dei giornalisti (ma anche dei vignettisti) è diventata sempre più dura. Rimestare di nuovo nella melma di quello che è successo in Francia sarebbe un esercizio complicato e superfluo: non è certo la prima volta che i giornalisti fanno una brutta fine per quello che hanno scritto (o disegnato). Penso, i momenti storici diversi, a Mino Pecorelli e Walter Tobagi in Italia, penso ai tanti giornalisti messicani sterminati nel loro paese, penso ad Anna Politkovskaja, fiera oppositrice del regime-Putin, penso ad Ilaria Alpi in Somalia, Enzo Baldoni in Iraq e Andrea Rocchelli in Ucraina, a tutti i reporter di guerra che muoiono ogni anno per raccontare le vicende umane dai fronti più caldi del mondo. Per una vignetta (per tante vignette, già tanto discusse e discutibiii), però, non era mai accaduto. Qualcuno, qui in Italia, ha voluto ricordare che, al massimo, per una vignetta non gradita, l’allora premier Massimo D’Alema querelò il mitico Forattini. Quisquilie d’altri tempi. Certo il nostro mestiere di giornalista è sempre stato pericoloso: se non ai kalashnikov, esposto quanto meno proprio alle querele per diffamazione. Ne presi una anch’io, vent’anni fa, da parte di un bravo ragazzo di buona famiglia, che però si autodefiniva naziskin, partecipava ai camp estivi in Afghanistan, marciava con i neofascisti e a casa aveva persino un busto del Duce. Chissà dov’è finito adesso…spero non sia diventato un “foreign fighters”. Dicono che per un giornalista, una querela sia come per l’arbitro un cazzotto: una sorta di necessaria iniziazione. Sarà: ma io mi sono preso 8 mesi di reclusione (con la condizionale, “se avessi picchiato tua madre avresti preso di meno”, mi disse il mio mediocrissimo avvocato) e 11.000 euro di danni morali (sentenza avvenuta nel 2009, 15 anni dopo il “fattaccio”). Fatti miei, direte voi. E’ vero. Ma il mondo del giornalismo ha perso prestigio, e un po’ ce lo meritiamo: e non è un caso se si è passati dalle grandi imprese dei giornalisti americani nel caso-Watergate, che portarono alle dimissioni dell’allora presidente americano Richard Nixon alle grandi imprese televisive di Barbara D’Urso, che non sarà simpatica, ma il suo mestiere lo sa fare (e gli altri rosicano e la denunciano all’Ordine perchè fa la giornalista senza avere l’inutile patentino…). Segno dei tempi che cambiano (e del giornalismo che cambia). Fatto da bravi cronisti locali, di provincia, e da giovani rampanti che si definiscono giornalisti solo perchè hanno fondato un blog o si sono inventati “opinion leader” sui social network. E poi, purtroppo, ci sono quelli che cercano sempre il pelo nell’uovo e scavano nel torbido: avete presente il caso delle due ragazze Greta e Vanesse rapite e poi rilasciate in Siria? Ecco, appunto. Vorrei che qualcuno, leggendomi qui o sentendomi parlare in tv, dicesse: “il nostro giornalista Cristiano Tassinari è diverso”. Sarebbe un grande motivo di orgoglio.
STAVOLTA CLINT EASTWOOD ESAGERA CON L’EROE AMERICANO…
In poco più di 24 ore avrei potuto fare una scorpacciata di film di Clint Eastwood, attore e regista ormai di culto. Per la prima volta, l’altra sera in tv, ho visto il suo “Million Dollar Baby”, con la splendida, intensa interpretazione di Hilary Swank nel ruolo di una cameriera trentenne che, stufa di una vita sottotono, cerca di affermarsi con la boxe. E, con gli insegnamenti del suo maestro, per un po’ ce la fa: fama e ricchezza. Poi succede il patatrac, fino al tragico epilogo finale. Senz’altro un eroe (anzi: un’eroina di tutti i giorni, per i perdenti della vita di tutti i giorni) che diventa il cardine di quello che viene definito forse il miglior film di Clint Eastwood da “anziano” (la pellicola è del 2004).
Su un altro canale, sempre l’altra sera, davano addirittura “Una 44 Magnum per l’Ispettore Callaghan”, un classico degli anni ’70 con un ancor giovane Clint Eastwood, poliziotto dai metodi ruvidi ma efficaci, con i capelli scuri e il ciuffo sbarazzino, alla prese con tutti i malaffari delle grandi città americane e della stessa polizia. Un altro eroe “anti-eroe”, di quelli che piacciono al vecchio Clint e agli spettatori di tutto il mondo, che un po’ si riconoscono nel riscatto sociale di chi, ogni tanto, ce la fa. Uno su mille, o giù di lì.
Il giorno dopo, in preda alla Eastwood-mania, sono andato al cinema a vedere il suo ultimo film da regista: “American Sniper”, interpretato da Bradley Cooper e Sienna Miller. Preceduto da milionari incassi a stelle e strisce e critiche divise in Italia, devo dire che non mi entusiasmava molto l’argomento: i film di guerra mi hanno un po’ stufato, dai “Cannoni di Navarone” in poi. Però è di Clint Eastwood, mi sono detto, diamine: e invece ho preso un solenne granchio. Un film di guerra che è l’apoteosi dell’uomo che diventa il cecchino più temuto di tutto l’Iraq, da Falluja fino a Mosul. Secondo me, un’americanata: nel peggior senso della parola. Ma è evidente che, proprio negli States, dove è forte il senso patriottico, il film ha avuto grande successo. A me non è piaciuto per niente: basta con “buoni contro cattivi”. Per essere un eroe, non serve imbracciare il fucile e ammazzare tutta quella gente. Nè nella realtà, nè tantomeno al cinema. Stavolta Clint Eastwood ha toppato. Lo aspettiamo al prossimo film. Farà sicuramente di meglio. Soprattutto se tornerà a raccontarci storie di quotidiano eroismo.
LE INUTILI POLEMICHE SULLE FIGLIE DEGLI ALTRI
Adesso che le acque sembrano essersi un po’ calmate, mi va di dire la mia sulla vicenda di Greta e Vanessa, le due ragazze di 20 anni che per 6 mesi sono state prigioniere in Siria e che dopo Natale erano apparse nei nostri teleschermi festivi tutte vestite di nero, implorando il nostro paese di liberarle. Sono contento che siano tornate a casa. Come lo sarò, quando torneranno a casa dall’India i due marò. La storia delle due ragazze è, però, più “pacifica”: con la spensieratezza -e l’ingenuità- dei loro vent’anni sono partite alla volta dell’Iraq e della Siria nella convinzione di poter “salvare il mondo”. Si sono sbagliate. E di grosso. Lo hanno capito, chiedendo scusa a tutti, in particolare a mamma e papà. E laggiù non ci torneranno più. Potranno fare del bene anche vicino a casa loro. Non hanno salvato il mondo, ma l’importante è che si siano salvate almeno loro. Nei giorni successivi alla loro liberazione, invece di tirare un immenso sospiro di sollievo insieme alle loro famiglie, ci siamo impegnati tutti -soprattutto certi giornali davvero di basso livello, seguiti a ruota da un becero tam tam dei social network- nel gioco al massacro più inutile degli ultimi tempi: sparare addosso alle due ragazze, inventare balle incredibili e improbabili (addirittura sesso consenziente con i rapitori, invocando persino la sindrome di Stoccolma o addirittura pensare che Greta e Vanessa fossero già al soldo del Califfo dell’Isis. E qualcuno ha pure visto che le due ragazze erano ben nutrite, come se fossero state in vacanza in Medioriente..). Che tristezza tutta italiana. E poi, la domanda più assurda di tutte le domande: l’Italia doveva davvero pagare questi presunti 12 milioni di dollari (50 centesimi per ogni italiano!) ai terroristi islamici per il rilascio delle due ragazze? Facile fare polemica con i figli degli altri. Io credo che, a questa domanda, ci sia solo una risposta: SI. Provate ad immaginare, anche solo per un attimo, che Greta e Vanessa fossero state le vostre figlie. Cosa avreste voluto? Che lo Stato le liberasse a qualunque costo? Ecco, appunto.